lunedì 25 novembre 2013

POESIA PATERNA

La più bella poesia dedicata a un padre che abbia mai letto è quella che Paolo Nori dedica a suo padre, muratore, pubblicata nell'ultimo libro "Mo mama" (ed. Chiarelettere). Dice così:

"Adesso ho capito che tu sai
quanto è lungo un metro
quanto durano otto ore
quanto pesa un quintale. 
A tanto 
è servito il mio studiare"





martedì 19 novembre 2013

DISCHI PER TESTONI

Il sito letterario “La Nottola di Minerva”, diretto dallo scrittore Ivano Porpora, mi ha chiesto di tenere una rubrica musicale per il proprio blog. Dopo aver valutato e scartato diverse ipotesi, ho deciso che l’argomento che mi premeva di più affrontare era quello degli album che io ritengo essenziali e che nella quasi totalità dei casi il resto del mondo considera marginali e trascurabili. Poiché è evidente che sia io ad avere ragione e gli altri torto marcio, ho così dato il via a una serie intitolata “Dischi che proprio non capite” (sottotitolo: "Una rubrica antipatica di Matteo B. Bianchi). 
La prima puntata è dedicata al mito di Karen Carpenter.
(Karen chi?!? Appunto).

La trovate qui.


lunedì 18 novembre 2013

IL RITORNO ANFIBIO DEI NOME

L’avevo annunciato qualche settimana fa e finalmente ci siamo. Esce questa settimana il nuovo singolo dei Nome, intitolato “Anfibio”. Dopo il successo di “Le cose succedono” e “Io non riesco più a stare zitto”, che vedevano alla voce (oggi si può dire) Davide Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti, il nuovo ospite del progetto è il giovane cantautore Davide Ferrario. Oltre a lui, la formazione del gruppo prevede me in quanto autore di testi, Michele “Mezzala” Bitossi (del gruppo Numero6) come autore delle musiche e Ivan A. Rossi nelle vesti di produttore e arrangiatore. Rispetto ai due singoli precedenti, “Anfibio” segna una svolta musicale verso territori più elettrici e urbani. Il testo parla della difficoltà di ognuno di noi... Ma a chi la racconto? Il testo parla della mia difficoltà nel rapportarmi con gli altri, quella sensazione di essere sempre fuori posto e il tentativo disperato di adattarmi ai contesti più disparati, alla ricerca continua dell’accettazione.
“Anfibio” da oggi è in anteprima sul sito di Rockit, con video e download gratuito. 
Da venerdì 22 (data di uscita ufficiale) sarà poi disponibile su tutti i canali digitali.

Ne riporto di seguito il testo.

Buon ascolto!

ANFIBIO

Non deluderti
fare ancora meglio di così
Un sostegno
un compagno
indispensabile

Come in trincea,
come persi nell’alta marea
senza spada
senza radar
senza nemici

Cerco nei tuoi gesti un segno
Qualcosa che plachi il mio travaglio
In divisa e senza distintivo
in playback, ma anche dal vivo
In t-shirt, in abito da sera
in parrocchia o fuori di galera
Un’intera vita in equilibrio
animale, di natura anfibio

E non passerà
questa ansia non si placherà
con il tempo
con l’impegno
con l’analisi
E’ una gara che
a ogni tappa sposta il limite
il baluardo
di un traguardo
irraggiungibile

Cerco nei tuoi gesti un segno
Qualcosa che plachi il mio travaglio

Affettuoso, sguardo glaciale
Stravagante ma molto normale
Sempre sazio, sempre a digiuno.
Sono dei vostri, non sono di nessuno
Un’intera vita in equilibrio
animale, di natura anfibio

mercoledì 13 novembre 2013

UNA MAIL PRIVATA CHE RENDO PUBBLICA

Ciao Matteo,
ti rubo due minuti per dirti una cosa sul post “Novene isteriche”. O meglio su una risposta che dai a un commento, quando, incazzandoti, scrivi: vai in analisi. Il punto è che usi queste parole per attaccare, richiamando (e quindi sostenendo) un implicito che è nella mente di tutti: se uno ha bisogno di andare in analisi è un gradino sotto chi è normale e il suo discorso non può essere valido, a priori.
Lo so, se uno ha problemi non può buttarteli addosso e smerdarti. Il problema però in questo caso è il fatto di non essere corretti o onesti, non il fatto di avere bisogno di andare in analisi. Non è per spaccare il capello in quattro; non mi so spiegare meglio. Tu ti offendi se uno offende chi è gay, ma offendi chi ha bisogno di "andare in analisi". Dire: vai in analisi, come aggressione verbale (in risposta a un'aggressione verbale mascherata da riflessione) equivale a dire: sei uno stronzo. Non è un fatto di senso immediato di quello che dici (magari uno ha veramente bisogno di andare in analisi), ma della connotazione che ha, dell'implicito che richiama, e delle parole come azione in una comunicazione (come dire: stai zitto, vai in analisi piuttosto, idiota - ti sto attaccando, e per farlo uso come arma il discredito sociale che ha chi ha problemi psicologici, o mentali. E indirettamente sostengo quella condanna sociale).

Baci
L.

Cara L.
la tua lettera mi sorprende e mi porta a riflette su quanto spesso i sintetici scambi di battute pubblicati su internet si prestino a fraintendimenti o a libere interpretazioni.
Io sono andato per due volte in analisi, in momenti diversi della mia vita. La prima dopo un grave trauma familiare, circa quindici anni fa; la seconda in tempi più recenti per scelta personale, il bisogno di chiarire meglio con me stesso alcune zone d’ombra che mi sembrava mi ostacolassero il cammino. Considero l’analisi (o l’assistenza psicologica in generale) non solo uno strumento utile per superare certe difficoltà, ma anche una scelta matura e consapevole. 
Inoltre ho studiato psicologia all’università, ho approfondito il discorso sia in ambito disciplinare che privato, per interesse personale.
Tutto questo per dirti che se invito qualcuno ad andare in analisi non ho alcun intento ironico o denigratorio. Intendo al contrario che l’esperienza possa giovargli. 
In particolare lo scambio a cui ti riferisci era la mia risposta alle esternazioni di un certo Paolo che sosteneva che i gay che desiderano adottare un figlio siano irrisolti personalmente e stiano cercando di colmare un vuoto. (cito dal commento: “Il senso di vuoto che molti gay hanno dentro non lo si riempie costringendo un bambino a crescere con due padri e senza una madre, ma accettando la nostra natura.) Una posizione che ritengo francamente inaccettabile e che mi sembra invece la chiara proiezione delle insicurezze di chi scrive. In questo senso l’ho invitato a ricorrere all’analisi. Ho l’impressione che le sue posizioni dogmatiche e ingiustificate riflettano una mancata maturazione, una capacità quantomeno approssimativa di giudicare e affrontare i sentimenti.
Inoltre, io non mi sono offeso perché, come dici tu, Paolo “ha offeso i gay”. Mi sono arrabbiato perché ha stabilito, in maniera arbitraria e insensata, un parallelo tra il bisogno di paternità e la mancata accettazione di sé. Secondo il paradigma stabilito da questo Paolo, io, in quanto gay e non desideroso di figli, sono dunque realizzatissimo e non ho alcun vuoto interiore (pertanto sono un idiota a essere andato in analisi due volte quando non ne avevo bisogno affatto).
Per rispondere alla tua lettera dunque, ritengo che il discredito sociale non stia nel mio - sincero - invito all’analisi, quanto nelle posizioni sclerotiche di questo presunto teorico delle relazioni omosessuali. 

Ti abbraccio,

M


martedì 12 novembre 2013

MONDO PASSWORD

Lista delle password che devo tenermi a mente:

Quella della casella di posta Gmail.
Quella della casella di posta Hotmail.
Quella della casella di posta Yahoo.
Quella della casella di posta Aruba (a nome matteobb)
Quella della casella di posta aAruba (a nome ‘tina)
Quella della casella di posta Libero.
Quella dell’account Facebook.
Quella dell’account Twitter.
Quella dell’account Instagram.
Quella dell’account Pinerest.
Quella dell’account YouTube. 
Quella di accesso al sito matteobb.
Quella di accesso al blog matteobblog.
Quella di accesso a un certo Tumblr che gestisco in anonimato. 
Quella della casella di posta Gmail (a nome Roland).
Quella della casella di posta Gmail (di Indiana editore).
Quella dell’account Flickr di mia mamma (sì, mia mamma ha una pagina Flickr, che gestisco io ovviamente, lei non saprebbe neanche accedervi).
Quella dell’account iTunes. 
Quella dell’account Dropbox. 
Quella dell’account Getpocket. 
Quella dell’account Evernote.
Quella di una certa chat erotica.
Quello di un’altra certa chat erotica.
Quella per accedere ai servizi della mia banca on line.
Quella per accedere ai servizi della mia compagnia telefonica on line.


Ho tralasciato quelle relative ad account commerciali (negozi on line), che sono almeno altre cinque o sei.


venerdì 8 novembre 2013

DÉPÊCHE FICTION

Vabbé, se lo idolatro ci sarà un motivo.
Da alcuni giorni il mio scrittore preferito (Douglas Coupland, che ve lo dico a fare?) ha dato vita a un nuovo esperimento letterario, il tentativo di trovare una nuova formula di romanzo. La forma in sé non è nuova, anzi: si tratta di un classico ottocentesco (la pubblicazione a puntate su un giornale). La novità consiste nel desiderio di integrare il più possibile la contemporaneità dei fatti dentro la narrazione stessa (un libro influenzato in tempo reale da ciò che accade nel mondo) e dal giornale scelto per l’operazione, “Metro”, il free-press distribuito in metropolitana e nelle stazioni, un quotidiano che milioni di persone nel mondo (Italia inclusa) afferrano e leggono ogni giorno sui mezzi per andare al lavoro. 
Ha anche trovato una definizione per questo nuovo tipo di narrativa: “dépêche fiction”. 
Ecco come la spiega lui stesso: 

Non sono più sicuro che la fiction riesca a tenere il passo della vita, e di come la viviamo. Sono uno sperimentatore nato, e voglio tentare qualcosa di nuovo per cercare di sopperire a questa mancanza. L'ho già detto, e lo ripeto: come specie non siamo mai stati così intelligenti eppure non ci siamo mai sentiti così stupidi. Viviamo in un mondo di dispositivi elettronici e di nuvole informatiche e di bolle economiche. Il romanzo tradizionale sarà sempre fondamentale per la civiltà umana, ma ho l'impressione che sia necessaria una nuova forma di narrazione. La chiamo dépêche fiction: una fiction che cambia rapidamente. (Sì, un po' come i Dépêche Mode, una band che mi piace moltissimo). La dépêche fiction è una botta di caffeina. La dépêche fiction è un video pazzesco girato in Russia con una webcam fissata sul cruscotto della macchina. La dépêche fiction è scritta in modo da accumularsi nel cervello con il passare del tempo, per poi schiudersi, come uova aliene, e far dire al tuo cervello: "Hey! Sento un formicolìo, sento qualcosa di nuovo! E in ogni caso ho colto di sorpresa la tua vita!"
Il romanzo si intitola "Temp" (ossia "Temporaneo"). Trovate qui sul sito di Metro la prima puntata tradotta. Le successive vengono pubblicate a scadenza quotidiana.