Siamo felici, almeno un po’, tutti i giorni? Quanto dura la felicità? E’ quantificabile, è misurabile, anche quando si tratta di piccole gioie quotidiane?
Partendo da queste domande qualche anno fa un mio amico, lo scrittore Valerio Millefoglie, ha stilato una tabella e, inventandosi “Dottore”, ha cominciato a distribuirla in giro a conoscenti e (soprattutto) a sconosciuti. I soggetti reclutati dovevano segnare sulla griglia quante volte nel corso di una giornata potevano considerarsi felici, quanto durava la sensazione e a da cosa era provocava. Tutto era valido: poteva trattarsi anche di pochi secondi e di motivi futili, come un buon caffè o il sorriso di un collega in ufficio. L’importante era segnarli. I soggetti presi in esame erano dei più disparati: l’anziana vedova, il musicista rock, le ragazzine adolescenti, un gruppo di extracomunitari, i fedeli di una comunità di preghiera... Un’umanità varia, che poteva rappresentare un campionario umano significativo.
Valerio utilizzava queste tabelle nei suoi reading. In seguito a un doloroso evento privato (la morte del padre), ha deciso di riprenderle in esame e di provare a scriverne, nel tentativo di ritrovare per se stesso un po’ di felicità attraverso la felicità degli altri.
Oggi questo materiale è diventato un libro: “L’attimo in cui siamo felici” (Einaudi Stile Libero). La definizione di romanzo che campeggia in copertina è approssimativa: il testo in effetti è qualcosa di indefinibile, l’incrocio fra un memoir, un saggio, un esperimento scientifico, una sperimentazione letteraria. Post-post-post-modernismo.
Certamente una delle cose più originali e toccanti che vi capiterà di leggere quest’anno.
quando apro un libro e comincio a scorrerne l'incipit
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