Ogni tanto capita di leggere libri che ci sembrano straordinari (alla lettera: perché escono dall’ordine stabilito delle cose e riescono a tracciare nuovi scenari).
A me è successo con “Noi gli animali” di Justin Torres.
Di “Noi gli animali” non sapevo nulla. Mi ha colpito la copertina e la frase di Michael Cunningham che lo definiva un libro “che non assomiglia a nessun altro” (anni addietro, grazie a una citazione di Cunnigham avevo fatto un’altra, strepitosa scoperta, l’ “Autobiografia del rosso” di Anne Carson, quindi mi fido molto del suo gusto).
Sono tre le ragioni per cui lo considero una lettura importante.
In primo luogo per la struttura: capitoli brevi e brevissimi, spesso autoconclusivi, dall’andamento quasi acronico (solo verso il finale il tempo si sposta in avanti, l’azione svela sviluppi futuri: per tre quarti del testo le azioni sembrano svolgersi in un eterno e contemporaneo passato).
Molti, quasi tutti, i capitoli potrebbero essere estratti e letti come racconti, alcuni di una bellezza struggente. Ma non tutti possono vivere separati dagli altri. In questo la forma del romanzo è ibrida, e inclassificabile, e dunque personalissima.
Poi, la lingua. Grazie anche all’ottima traduzione di Sergio Claudio Perroni, si capisce quanto questo libro si fondi sulla potenza della parola, su una lingua epica, che sembra nascondere epifanie in ogni riga. Alcuni esempi:
“Il mistero di Dio è nel tre. Noi eravamo il mistero di Dio”
“Quando tornammo a casa da scuola, la cucina era tutta piena di papà”;
“Bestemmiò me e Cristo, e le sue lacrime caddero, e io ebbi sette anni”.
Infine, l’evoluzione narrativa: il romanzo è scritto quasi interamente alla prima persona plurale. Il “noi” si riferisce ai tre fratelli protagonisti, una sorta di monade all’interno della quale è difficile scorgere le identità individuali, i tre fratelli sembrano essere facce dello stesso organismo, un unico animale che deve affrontare il mondo e sopravvivergli. Solo nelle ultime pagine la monade si infrange: non c’è più un “noi” collettivo, compare una frattura insanabile fra un “io” e un “loro”. Il protagonista da plurale si fa singolare (ora, finalmente, scopriamo chi è dei tre) e la sua unica possibilità di sopravvivenza è trovare un nuovo nucleo dove inserirsi, dove diventare di nuovo “noi”.
Ho letto che Justin Torres ha impiegato sei anni, all’apparenza un’eternità per un libro così snello (meno di 130 pagine). Ma la densità della scrittura è tale che non è difficile capire perché sia costato tanta fatica.
“Noi gli animali” è uno di quei regali che noi i lettori dovremmo farci ogni tanto, per farci travolgere dalla potenza.
Siccome anch'io mi fido di Cunningham e di te, lo comprerò.
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