Se c’è una cosa che mi fa impazzire sono i taccuini d’autore. Quando vado in un museo e scopro una teca dove sono conservati i quaderni con gli schizzi e gli appunti dell’artista esposto mi entusiasmo. Se poi i suddetti quaderni includono collages, ritagli, fotografie e piccoli oggetti incollati sopra allora vado proprio in fibrillazione. Da sempre mi affascina l’idea del laboratorio creativo, indagare il processo che porta un artista a realizzare le sue opere e i taccuini corredati da minutaglie rappresentano un po’ l’unica traccia concreta, tangibile, di questo processo. Ma al di là di questa bella motivazione culturale, mi piacciono proprio in sé come oggetti, vorrei averli io a casa, vorrei esporli, vorrei rubarli.
Di recente la casa editrice inglese Thames & Hudson ha pubblicato i taccuini del regista e pittore Derek Jarman, scomparso precocemente nel 1994. Jarman aveva l’abitudine di realizzare quaderni d’appunti per ogni suo film nei quali raccoglieva pagine di sceneggiatura, articoli di giornale, pezzi di stoffa, foto di attori provinati, rametti di piante, lettere, biglietti da visita, banconote straniere, qualsiasi cosa insomma potesse essergli utile per creare l’atmosfera giusta per il suo progetto.
La lussuosa edizione in volume contiene interventi critici e commenti di personaggi come Tilda Swinton, Jon Savage, Toyah Willcox, Neil Tennant dei Pet Shop Boys, ma è la riproduzione di alcune pagine dei taccuini che lo rende ai miei occhi un libro meraviglioso e irrinunciabile. Da giorni lo sfoglio con gli occhi luccicanti di emozione, e soprattutto indivia. Perché, diciamolo, la verità è che io vorrei, vorrei disperatamente essere in grado di realizzare taccuini così: con quella calligrafia meravigliosa e barocca, con quel gusto per l’impaginazione, con quelle immagini piene di note accanto. Vorrei essere quel tipo di artista. Ci ho pure provato a prendere più volte dei bei quaderni bianchi, delle moleskine, dei blocchi con le pagine setose in carte pregiate, nella speranza che mi inducessero a perseguire questa strada. Ma basta uno sguardo alla mia calligrafia per comprendere quanto l’impresa sia disperata. Desisto, sempre.
Guardo ammirato i taccuini degli altri, come il turista sul molo che fa ciao alla nave in partenza verso posti incantevoli e molto, molto distanti.
indivia? :-)
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