venerdì 9 ottobre 2015

AUTOBIOGRAFIA DI UN LETTORE - FRAMMENTI (2)

Mi capita quasi sempre quando vado ospite a casa di qualcuno che ha molti libri di invidiare la sua biblioteca. In un primo momento provo una sensazione di serenità (l’essere circondato da tanti libri mi rassicura come il valium), poi però scatta la tentazione di spulciare fra i volumi, prenderne in mano qualcuno, leggere righe a caso. Mi sembra che le case degli altri siano piene di libri che dovrei avere. Non importa quanti ne conservi io a casa, e non faccio alcuna comparazione diretta (la tua biblioteca è meglio della mia), solo che vedere sugli scaffali dei libri acquistati (quindi filtrati dalla sensibilità del proprietario, che quei volumi li ha scelti, comprati, portati a casa e letti) improvvisamente attribuisce a quei testi un nuovo valore. Mi sembrano importanti, necessari. Perché li ho ignorati finora? Mi scopro fare liste mentali per acquisti futuri, a volte arrivo a segnarmeli su un quadernino o sul cellulare. Mi dico, domani prima di ripartire vado in libreria e li compro. 
Talvolta lo faccio sul serio, compro quei libri che ho solo sfogliato la sera prima. In altri casi la sensazione si rivela legata al momento: il giorno seguente, lasciata la casa, salutati gli amici, tornato alla mia vita regolare, ho perso parte di quell’impeto. Quei libri non mi sembrano più così necessari, prevale la parte razionale di me, che mi ricorda le decine di volumi che stazionano sui miei scaffali in attesa di essere letti, senza che sia il caso di aggiungerne altri.  

Il punto non è questo. Non importa in fondo se quei libri li compro o no. La cosa fondamentale mi sembra invece la relazione che scaturisce: entrando in contatto con quelle biblioteche è come se i libri mi parlassero e io sia chiamato comunque a rispondere. Ci siamo parlati. 


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