Teresa Ciabatti
LA PIU’ AMATA
Mondadori
Pagg. 218, 18 euro
Teresa Ciabatti è irrisolta, anaffettiva, inadeguata, sciatta, grassa, fallita. Lo dice lei stessa in “La più amata”, romanzo autobiografico strutturato come una suite in tre movimenti e un conciso finale, dal quale tutti i protagonisti, e in primo luogo l’autrice, escono a pezzi.
Di questo libro si è già detto molto, subito. A una settimana dalla pubblicazione tutti i principali quotidiani ne hanno parlato in termini più che elogiativi e ancora a lungo se ne parlerà, perché si fanno insistenti le voci di una prossima candidatura allo Strega. In questo momento forse c’è ancora spazio per fare alcune considerazioni personali e quindi le condivido prima che arrivi la valanga di tutte le altre.
La storia della famiglia Ciabatti è raccontata in tre fasi: la prima segue l’ascesa (inarrestabile) del padre Lorenzo (famiglia benestante, svariate proprietà immobiliari, studi negli Stati Uniti, nomina immediata al ruolo di primario a Orbetello). Per gli abitanti della zona il Professore è una figura mitologica che incute timore e rispetto. E la villa miliardaria con piscina che fa costruire ne è l’emblema più radioso.
La seconda parte narra l’infanzia di Teresa trascorsa nel lusso assoluto, fino al confronto con le coetanee a scuola, quando da ragazzina si accorge che l’avvenenza fisica di alcune compagne è una forma di sicurezza e successo che a lei non è stata fornita. Ecco allora che sfoderare il proprio status sociale, la propria ricchezza, è il solo modo per riconquistare il ruolo di centralità che sente spettarle di diritto.
La terza parte è dedicata alla madre Francesca e al tracollo sociale che deriva dalla sua decisione di separarsi dal marito.
“La più amata” è la storia di un’ossessione, quella di una figlia che ha perduto tutto (i genitori, la ricchezza, la sicurezza, l’autostima) e che vaga disperata fra le stanze del suo passato alla ricerca di una spiegazione: davvero il padre (fascista, faccendiere, amico di Licio Gelli, amante di molte donne o forse frocio) era stato travolto dai debiti e aveva dovuto vendere tutto? Davvero i conti all’estero sono stati prosciugati? O era vendicativo al punto da far sparire tutto pur di non lasciarlo alla moglie che aveva avuto l’ardire di abbandonarlo? E quindi far ricadere la colpa di lei su quella dei suoi stessi figli? O forse ancora ha voluto proteggerli dal rischio di chissà quali ritorsioni?
“La più amata” è una favola al contrario, è la trama di un arazzo vista dal retro: lo splendore del disegno è scomparso, restano fili e trame che rivelano solo il complesso intreccio. La bella vita era una promessa radiosa, la realtà ordinaria è uno schiaffo dal quale l’autrice non ha saputo riprendersi.
Dico l’autrice per convenzione.
Quello che le recensioni che ho letto sinora hanno trascurato è che questo romanzo è una sorta di precipitato del discorso che Teresa Ciabatti da anni sta portando avanti sulla rete, attraverso la sua pagina Facebook e il blog “Persona cattiva” tenuto per diversi mesi sul sito di iodonna.it. La riflessioni sulla sua infanzia perduta, sulla sfacciata superiorità fisica mostrata dalle compagne ai tempi di scuola, sull’incapacità di accudire la propria figlia e la necessità di affidarla alle cure della tata moldava sono ben note a coloro che la seguono on line. Tempo fa, con un tono tra il surreale e l’accorato, la Ciabatti invitava gli amici virtuali a fare una colletta per raccogliere i 3 milioni di euro necessari per ricompare la villa della sua infanzia (“Possiamo farcela! Forza ragazzi!”). In una vertigine auto-fictional che non mi sembra abbia equivalenti nel nostro paese, la Teresa Ciabatti in rete era già (ed è ancora) la Teresa Ciabatti protagonista di questo libro, una figura letteraria ipertrofica che trasforma ogni aspetto della sua vita (l’assenza temporanea della tata, le difficoltà con il gestore telefonico, i rapporti a scuola con gli altri genitori) in momenti epici, fonti d’indignazione e di autoesaltazione. (Nel post di rientro dalle vacanze estive scriveva: “Sono tornata. Applausi”).
In “La più amata” ritroviamo questa stessa figura che irride i compagni di classe (“Mai mi era capitato di vedere tanti poveri tutti insieme. Questa è una scuola di poveri”), che si lamenta disperata per l’impossibilità di ottenere quello che desidera (“Una liposuzione, via il grasso, mi addormento cicciona, e mi risveglio magra e invece non si può, perché, dimmi perché”), che pensa a se stessa come autrice in termini fallimentari (“Riscopritemi postuma”).
Non solo i confini tra autobiografia e fiction sono sfumati, ma anche tra materiali narrativi ed extra-narrativi, fra ciò che è dentro questo libro e ciò che è stato seminato fuori. Ed è questa intuizione meta-letteraria che mi fa pensare due cose: che Teresa Ciabatti in realtà non esista e che sia bravissima.
Finito oggi, libro splendido e faticosissimo per quanto è intenso.
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