ENRICO REMMERT
“La guerra dei Murazzi”
Marsilio, euro 16,50
Se c’è una cosa che da anni non riesco a spiegarmi è come mai Enrico Remmert non sia un autore di grande successo in Italia. A mio avviso ha tutte le caratteristiche per esserlo: una scrittura molto dinamica, brillante, immediata senza essere mai banale, in grado di tirarti dentro nelle storie da subito e a mantenere un ritmo costante di andatura, racconta di vicende e personaggi contemporanei e originali e ha già dato prova altrove di essere materia da best-seller (il suo primo libro è stato un grande successo in Francia, per dire). Mi risulta incomprensibile, per esempio, perché il suo ultimo romanzo “Strade bianche” non si entrato in classifica, né sia diventato un film, avendo tutte le potenzialità per fare entrambe le cose. Misteri dell’editoria.
Ora che esce il suo nuovo libro però non fate l’errore di farvi sfuggire anche questo.
Credo che “La guerra dei Murazzi” sia definibile con una formula contraddittoria: un libro di racconti che può leggere chi di solito non ama i racconti.
Perché dico questo? Perché più che la tradizionale raccolta di testi brevi a me sembra un campionario di ciò che si può fare con la narrativa in termini di lunghezze diverse: i quattro racconti che compongono il libro sono del tutto differenti per ambientazione, tipo di personaggi e lunghezza. Uno dura 60 pagine, uno 8, uno 100 e uno 30. Una specie di schizofrenia narrativa che può essere sintetizzata con una motivazione sacrosanta: ciascuno ha lo spazio che gli serve.
Il racconto che da il titolo alla raccolta rievoca (con grandissima efficacia) i retroscena complicati e violenti che hanno portato alla chiusura dei locali della movida torinese tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000, visti attraverso lo sguardo di una giovane cameriera che in uno di questi bar ci lavorava. Il secondo racconto è incentrato su un maestro giapponese di acconciature invitato in Italia come star di un convegno del settore. Il terzo è il picaresco viaggio a Cuba di tre italiani allo scopo di esplorare la possibilità di investire nel settore industriale locale. L’ultimo la storia di un ragazzo che cerca un isolamento momentaneo dalla società e si trova a dover accudire un cane dall’indole assassina.
Tutte e quattro le storie hanno la potenza di un romanzo ma Remmert ha scelto di dargli la dimensione che lui riteneva adatta a ciascuna di loro.
Lo ripeto: anche chi non ama i racconti stavolta si ricrederà. Fidatevi.
PEPPE FIORE
“Dimenticare”
Einaudi, euro 18,50
Peppe Fiore è uno di quegli autori in grado di reinventarsi da un libro all’altro. Se il suo romanzo di debutto (“La futura classe dirigente”) era il ritratto sarcastico del mondo televisivo romano e il secondo (“Nessuno è indispensabile”) una grottesca analisi delle nevrosi del lavoro d’ufficio, con questo terzo libro compie una nuova e inaspettata svolta.
“Dimenticare” è la storia di un uomo che si rifugia in una stazione sciistica abbandonata per allontanarsi dalla sua vita precedente e ricominciare da capo. Da cosa sta sfuggendo? E cosa spera di trovare in un paesino di poche anime?
Il romanzo si svolge in questa ambientazione montana tranquilla (boschi, silenzi, giornate di lavoro solitario) eppure serpeggia sempre qualche forma di inquietudine: leggende locali di aggressioni da parte di animali selvaggi e misteriosi individui che appaiono per fare altrettanto misteriose consegne.
“Dimenticare” è un romanzo che si legge come un thriller senza avere le caratteristiche tipiche del thriller. La tensione costante che aleggia nel testo è frutto anche delle doti di sceneggiatore che Peppe Fiore ha sviluppato in questi anni (è fra gli autori della serie tv noir “Non uccidere” e story-editor di una produzione internazionale quale “The young Pope” di Sorrentino). Un libro che alberga molti misteri, ai quali però riesce a dare una soluzione e una spiegazione sempre. E con una mossa davvero magistrale, arriva a svelare uno di questi enigmi addirittura nell’ultima riga, anzi, con l’ultima parola.
Se siete i tipi che si leggono l’inizio e la fine di un testo in libreria prima di decidere se comprarlo (so che esistono individui folli che lo fanno), ecco, stavolta fatevi un favore, evitatelo. Vi togliereste il piacere di un finale perfetto.
ALESSANDRO CANALE
“Il controsgobbo”
Marsilio, euro 17
Se il titolo di questo romanzo vi appare incomprensibile è perché si tratta di un termine preso dallo slang della criminalità romana. Il “controsgobbo” è una rapina di facciata, compiuta per nascondere un colpo molto più grosso: in pratica il modo per crearsi un alibi perfetto, facendosi arrestare per un crimine molto minore e allontanare da sé tutti i sospetti di coinvolgimento nell’altro, più clamoroso, furto avvenuto quasi nelle stesse ore.
È la tecnica messa in pratica da un piccolo criminale detto Mortaretto quando gli capita l’occasione di compiere una rapina leggendaria, assai maggiore delle sue operazioni standard, e che va a infastidire organizzazioni molto più feroci e potenti di lui. Il carcere è la sua salvezza e il lasciapassare per una vita tranquilla, in attesa di rimettere le mani su quel tesoro sepolto.
Ma quanto bisogna aspettare per non destare più sospetti? E una volta uscito di prigione e cercato di riprendere un’esistenza regolare, come si fa a resistere all’opportunità di compiere una nuova rapina, se ci sono tutte le caratteristiche per una cosa facile facile?
“Il controsgobbo” è un romanzo divertente e pieno di idee, con una trama costruita benissimo e un linguaggio che sembra un incrocio perfetto e impossibile tra la commedia italiana degli anni ’70 e lo stile contemporaneo di un Niccolò Ammanniti o di un Antonio Manzini. Un libro scoppiettante, in vari sensi, e finora (è uscito prima dell’estate) ingiustamente ignorato. Andate a ripescarlo.
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