Sono reduce da un lungo tratto in metropolitana. Seduta accanto a me per tutto il tempo ho avuto una donna sui 35 anni, non bella ma estremamente curata, truccata e vestita come se dovesse andare a un appuntamento galante e non al lavoro (erano le nove e mezza di mattina). Quando mi sono accomodato a suo fianco era già impegnata in una conversazione al cellulare. Per il resto del viaggio non ha fatto altro che chiamate: appena terminava una telefonata ne iniziava un’altra (tra i vari interlocutori ho capito esserci state la madre e una sorella). Essendo a pochi centimetri da lei non potevo far altro che ascoltare i suoi discorsi, anche se parlava con un tono di voce regolare, non urlato come spesso accade di sentire sui mezzi pubblici.
La cosa curiosa in tutto questo era che la donna annunciava a chi stava all’altro capo del telefono le fermate in cui si trovava. (“Palestro!”, “San Babila!”, “Duomo!”). La prima volta ho immaginato che rispondesse alla domanda del suo interlocutore (“Muoviti sei in ritardo! Dove ti trovi adesso?”). Poi, quando ha continuato a farlo nelle chiamate successive, ho capito che non c’era alcuna richiesta. Lo faceva e basta, come un tic linguistico, l’impulso incontrollabile di condividere il suo percorso.
Mi sono chiesto se si tratti di una qualche forma di patologia del tutto contemporanea: l’ossessione della tracciabilità, di essere raggiungibili ovunque, di far sapere ogni proprio piccolo spostamento. Una conseguenza alla troppa esposizione ai social network? Il terrore di sparire durante il percorso? Boh.
Comunque ho pensato che sarebbe una caratteristica pazzesca per un personaggio. Dovrei infilarlo in un racconto o in un prossimo romanzo. Non serve neppure che me lo inventi: l’ho appena incontrato.
Fantastico! Mi ricorda tutte le volte che atterro all'aeroporto di Bologna o Monaco e, un tempo di Planck dopo essere salita sul bus che porta al gate, noto i passeggeri italiani smanettare freneticamente sul cellulare e poi annunciare, sollevati: "Sto sul bus". Chi vi sia all'altro capo del cellulare, non so e non conta. Ma mi fa impressione la velocitá con cui sentono il bisogno imprescindibile di comunicare a qualcuno la loro posizione, la loro collocazione. E i tedeschi non ci pensano proprio...
RispondiEliminaEh si, una cosa proprio sintomatica di questi "tempi moderni". Ogni tanto provo a forzare i miei ricordi per immergermi in quella dimensione dove i cellulari non esistevano ancora. La prima cosa che mi viene in mente è gli appuntamenti: ci si trovava sempre. Ricordo che mi accordavo sull'ora e sul posto e incontravo sempre la persona con la quale mi dovevo incontrare. Oggi non è più così, bisogna aggiornarsi sempre, una telecronaca che dura dal posto di partenza fino al punto d'arrivo, terminando con un:" mi vedi? Sono qui..." e l'altro: " dove? Non ti vedo..." , "ma come non mi vedi? Sto camminando verso di te..." . Come siamo arrivati a questo in così poco tempo proprio non lo so ma... Devo ammettere che ci rende sicuramente un tantino ridicoli, no? Io mi metto nel mezzo ovviamente perchè ammetto di aver fatto lo stesso... Sarà la paura di sentirci soli? Anche per un breve tragitto in metro? La necessità di sentirsi parte del mondo che ci circonda rimanendo in continuo contatto con chiunque? Boh, non saprei proprio...sono d'accordo con te per quanto riguarda i social network, a mio parere hanno influito moltissimo. Un discorso molto lungo e complesso... Tempi Moderni?
RispondiEliminacomunque stai facendo/hai fatto anche te la stessa cosa a postarla qui...!
RispondiEliminaio credo che sia una forma di esibizionismo. Sembra strano ma c'è chi si sente "figo" ad andare in metropolitana dalle parti di Montenapoleone. Se fosse stata alle fermate di Quarto Oggiaro non le avrebbe menzionate nello sue comunicazioni telefoniche. Idem per quelli che appena scesi dall'aereo messaggiano di essere sull'autobus: è esibizionismo per dire che si è appena andati in aereo.
RispondiElimina