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lunedì 4 giugno 2018

QUANDO LE STORIE SONO LIBERE

Sta per partire un nuovo progetto che mi entusiasma in modo particolare. Si chiama “StorieLibere.fm” ed è un portale che raccoglie una serie di podcast originali.


A differenza di altri paesi, dove il formato del podcast ha da tempo raggiunto una sua identità specifica e una diffusione notevole, in Italia il formato è ancora molto poco valorizzato. La quasi totalità dei podcast presenti nel nostro paese non è altro che la replica di trasmissioni radio, ossia di contenuti non ideati per questo formato specifico. Qualcosa però comincia a cambiare anche da noi. Il punto di svolta in questo senso l’ha probabilmente fornito alcuni mesi fa “Veleno”, un’inchiesta giornalistica di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli per Repubblica, che ha dimostrato forse per la prima volta a un pubblico molto vasto (è stato al primo posto nella classifica dei download per settimane) come si possa utilizzare il mezzo del podcast per produrre un contenuto seriale di alta qualità, con caratteristiche proprie e che non ha niente da invidiare a radio e tv. Forse sull’onda di un simile risultato, o forse più semplicemente perché i tempi sono maturi, negli ultimi tempi sono nate diverse nuove produzioni (cito per esempio Postcast de Il post e PodLast, i podcast della Stampa). 
In questo scenario in ebollizione, si colloca anche la nascita di StorieLibere.

Per citare le parole con le quali loro stessi si presentano sul sito: “StorieLibere.fmè un progetto di narrazione e intrattenimento che si propone di ridare centralità alla parola. Una piattaforma di podcast audio affidati a narratori militanti.”
Fra i militanti ho il piacere di esserci anch’io.
I podcast presenti sul sito saranno tutti scaricabili gratuitamente e sono dedicati alle tematiche più diverse: per esempio, “Morgana”, il podcast di Michela Murgia (scritto con Chiara Tagliaferri) è sulle donne controcorrenti (“esagerate e stronze, difficili da collocare”); “Mexico ‘68” dello scrittore Riccardo Gazzaniga, già Premio Calvino, è dedicato alle Olimpiadi che hanno cambiato il mondo; “F***ing genius” del divulgatore scientifico Massimo Temporelli racconta le grandi figure che hanno reso possibile la nostra evoluzione;  “The Owl podcast” del cestista Jacopo Pozzi presenta le storie dei maggiori campioni del nostro sport; “Il gorilla ce l’ha piccolo” del biologo e conduttore Vincenzo Venuto ci illustra i comportamenti sessuali degli animali… 


Il mio programma si chiamerà “Esordienti. Un podcast per chi scrive” ed è una sorta di tutorial vocale per tutti gli scrittori in erba che aspirano alla pubblicazione, con istruzioni pratiche, consigli e interviste ai maggiori esponenti del mondo editoriale. Debutterà il 10 giugno con la prima puntata, alla quale seguiranno altre cinque.
Un’anteprima dei contenuti del sito è stata offerta ai visitatori dell’ultimo Salone del libro di Torino, con un interesse e un gradimento di pubblico davvero inaspettati. 


Ora però il portale è finalmente on line e su storielibere.fm potete già ascoltare i trailer di tutti i podcast presenti e farvene un’idea. 

venerdì 1 giugno 2018

RITORNO AL FUTURA

La newsletter "Futura" del "Corriere della sera" questa settimana ospita un mio breve racconto basato su un ricordo scolastico. Una storia di alunni disagiati e insegnanti capaci.

La potete leggere qui


martedì 27 febbraio 2018

DIVENTARE LETTORI DEL MONDO



Fra Stati Uniti e Regno Unito circolano decine di splendide riviste letterarie (“McSweeney’s”, “GRANTA”, “The New Yorker”, “The Paris Review”,…), che la quasi totalità del pubblico italiano ignora perché già è poco avvezzo al mondo delle riviste di narrativa, figuriamoci poi se sono in lingua. Per sopperire in parte a questa lacuna ogni tanto vengono pubblicate da noi delle raccolte che ne offrono il “best of”, ma ovviamente un’antologia compilativa non offre la stessa esperienza dei numeri originali.
Per questo sono rimasto sbalordito quando ho saputo che una piccola casa editrice italiana ha scelto di tradurre per intero un numero della rivista letteraria “Freeman’s”. Il merito va alla toscana Black Coffee (il cui giovane catalogo già comprende romanzi davvero interessanti), che non solo l’ha pubblicato ma lo distribuisce in libreria al prezzo contenuto di soli 12 euro col titolo di “Freeman’s – Scrittori dal futuro”.
Come il nome dichiara esplicitamente, si tratta della creatura dell’editor John Freeman, che dopo essere stato per anni a capo di un’altra rivista inglese (la storica “GRANTA”), ha deciso di aprire la propria testata personale. In genere le riviste hanno un focus locale, presentando i nomi più interessanti del proprio paese. Lo sguardo di Freeman invece è aperto verso l’intero pianeta, grazie anche alla collaborazione e alla segnalazione di operatori dell’editoria incontrati in giro per fiere e manifestazioni a ogni latitudine. Il risultato è una raccolta davvero variegata, con racconti provenienti tanto dall’Inghilterra o dagli Usa, quanto dalla Turchia, dalla Norvegia, dalla Cina o dall’India.
L’intento del curatore è proprio quello di spingere il lettore a diventare cosmopolita. E per spiegare cosa intenda nell’introduzione al libro cita una conferenza della scrittrice Aminatta Forma tenutasi a Georgetown, durante la quale l’autrice ha detto: “Cosmopolita è chi possiede, o si è creato, più di un modo di vedere le cose, qualcuno la cui prospettiva non sia circoscritta ai confini dati dai valori di un’unica cultura nazionale. Cosmopoliti si può nascere, diventare o essere costretti a essere”. E Freeman aggiunge: “Pensateci: il migrante è cosmopolita, il rifugiato è cosmopolita, chiunque viva fra due o più luoghi, e quindi comprenda la complessa situazione in cui costoro si trovano, è cosmopolita. Che splendido concetto, specialmente in un’epoca in cui i governi basano la propria politica sulla crudeltà costituzionale e sull’assunto per cui alcuni individui in sostanza valgono più degli altri”. Poi, poche righe più sotto: “È possibile combattere attraverso le nostre scelte di lettura? A mio parere sì, e possiamo farlo senza perdere il gusto di leggere. È sufficiente tornare a considerarla come un’esperienza più ampia, quella da cui in così tanti siamo partiti: la lettura come viatico per la sorpresa, per la gioia, la complessità e la meraviglia, non come mappa immaginaria di ciò che sappiamo già”.
Riscoprire la lettura come atto politico, di presa di consapevolezza e di maturazione personale, mi pare già un motivo più che esaltante per avvicinarsi a questa rivista (l’entusiasmo e la chiarezza di visione che emergono da questa introduzione la rendono una delle più incisive che abbia trovato in un’antologia). 
Nelle raccolte è normale trovare pezzi più convincenti (o più vicini al nostro gusto) di altri, ma una cosa appare evidente leggendo la trentina di testi raccolti in “Freeman’s – Scrittori dal futuro”: che il livello letterario è mediamente notevole.
Da parte mia non posso fare a meno di segnalare almeno due fenomenali racconti.
“Un uomo sfortunato” dell’argentina Samanta Schweblin, una storia che si muove nel delicatissimo confine fra attenzione verso i bambini e pedofilia, dove è difficile stabilire se la morbosità risieda negli occhi del lettore o nell’ambiguo personaggio del titolo. Un equilibrio narrativo magistrale. (Il racconto è valso all’autrice un prestigioso premio letterario in patria ed è facile capirne perché).
“Il liberatore” dell’americana Tania James è forse il racconto migliore che abbia letto negli ultimi cinque anni: un testo nel quale il punto di vista muta di continuo, facendo dipanare la vicenda secondo prospettive sempre diverse, mostrando al lettore come ognuno dei personaggi coinvolti nella storia l’abbia vissuta in modo differente. Una vicenda che inizia banale, diventa tragica, poi compassionevole, attraversando lo spettro delle emozioni umane di chi viene toccato. 
Un racconto assolutamente perfetto.  


N.B. Il magazine on line “Il tascabile” proprio questa settimana ha pubblicato l’introduzione integrale di John Freeman. Se volete leggerla la trovate qui








giovedì 21 dicembre 2017

COSA LEGGO IN QUESTE VACANZE?

Durante tutto l’anno ho consigliato i libri che ho trovato più interessanti fra quelli che ho letto. Lo faccio anche in occasione delle imminenti vacanze natalizie, anche se i testi che consiglio di natalizio hanno ben poco. In coda a questi suggerimenti trovate anche il link a quelli che ho già consigliato in precedenza. Auguri e buone letture!



James St. James - Party monster
(Trad. di Sara Sedehi)
Baldini & Castoldi, euro 19

Ormai avevo perso le speranze, invece dopo quasi vent’anni dalla sua pubblicazione originale (negli USA è uscito nel 1999), arriva finalmente anche da noi questo libro incredibile, che si legge come un romanzo di humor nero ma che è una storia del tutto reale.
James St. James insieme a Michael Alig formava il nucleo dei “Club Kidz”, gruppo di ragazzi che tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 erano i protagonisti (e in seguito anche gli organizzatori) dei party più folli e leggendari delle discoteche di Manhattan. Vere e proprie star della scena dance newyorchese, i due vivevano una vita di eccessi e sregolatezze culminate in un tragico evento quando Alig, completamente strafatto, ha ucciso l’amico e pusher “Angel” Melendez, gettandone poi il cadavere nel fiume Hudson. 
Uscito originariamente col titolo “Disco bloodbath” (mattanza in discoteca), il libro (che ha avuto un grande successo e svariate ristampe in America) è stato poi intitolato “Party moster” come il film che ne è stato tratto con Marilyn Manson, Cloë Savigny e un emaciatissimo e spiritato Macauley Culkin nel ruolo di Alig. 
Un libro furibondo, di una cattiveria spesso esilarante, un sulfureo mix di camp e noir, scatenato e fuori dai binari esattamente come le feste che racconta. 
Strepitoso. 



Colson Whitehead - “La ferrovia sotterranea”
(Trad. di Martina Testa)
Edizioni SUR, 20 euro

È il romanzo che quest’anno si è aggiudicato sia il premio Pulitzer che il National Book Award, ossia i due principali premi letterari statunitensi, e la traduzione di Martina Testa è stata recentemente citata dal Corriere della sera come la migliore dell’anno in Italia. Direi che sono già elementi sufficienti per consigliarne la lettura. 
Il libro ripercorre il periodo più cupo e violento della schiavitù in America. Ambientato nella Georgia dei primi ‘800, racconta le vicende di Cora, una giovane schiava che nel corso della sua vita subisce ogni forma di angheria e assiste a scene di una ferocia inaudita nei confronti di familiari e conoscenti. Sebbene le condizioni nelle quali erano costretti a vivere gli schiavi sono raccontate con dovizia di particolari spesso agghiaccianti, il libro si fonda su un’invenzione letteraria fantastica: l’esistenza di una rete ferroviaria segreta e sotterranea attraverso la quale i neri venivano trasportati in stati dove la schiavitù era stata abolita e resi di nuovo liberi. Nella realtà, la “ferrovia sotterranea” era la rete segreta di abolizionisti che aiutavano gli schiavi a fuggire e che solo in alcuni tratti utilizzava i binari ferroviari. Mischiando la verità storica più cruda e la finzione letteraria più poetica Whitethead ha scritto un libro appassionante e carico di umanità.  



Nadja Spiegelman - “Dovrei proteggerti da tutto questo”
(Trad. di Tiziana Lo Porto)
Edizioni Clichy, 17 euro

Anche chi frequenta poco il mondo dei fumetti avrà comunque sfogliato o sentito parlare di “Maus” di Art Spiegelman, ormai un classico della letteratura contemporanea, una storia ambientata in un lager nazista nella quale i protagonisti hanno sembianze animali (gli ebrei sono rappresentati in forma di topi, da qui il titolo del graphic novel).  
Nadja è la figlia di Art, ma in questo suo romanzo autobiografico il padre è quasi assente: il libro è totalmente incentrato sul rapporto della ragazza con la madre e la nonna. E si tratta di una relazione assai complessa e stratificata. 
La madre, Francoise Mouly, è una donna elegante, anticonformista, volitiva e capace tanto di clamorosi gesti d’affetto quanto di dimostrazioni di freddezza assoluta. Direttrice di una casa editrice di libri per bambini e storica curatrice delle copertine del New Yorker, è per Nadja sia un modello da ammirare che una sfinge con la quale scontrarsi di continuo. 
Il progetto di Nadja di scrivere un libro su di lei e su Josée, sua madre, è un modo per avvicinarla e arrivare a scoprirla nei suoi lati più intimi. 
L’autrice ripercorre sia la propria adolescenza che quella di Francoise e Josée, alternandole nella narrazione e costruendo un affresco intergenerazionale di grande efficacia. 
Uno dei memoir più interessanti apparso negli ultimi anni. 



Chris Offutt - “Nelle terre di nessuno”
(Trad. di Roberto Serrai)
minimm fax, 17 euro

Questa è una interpretazione del tutto personale e non ho trovato riferimenti simili in nessuna recensione, però leggendo questo bel libro di racconti di Chris Offutt ho avuto la netta sensazione che fosse un perfetto contraltare alle storie di Kent Haruff. Mi spiego: se Haruff racconta la vita della provincia rurale americana in una chiave pacata e lirica, nella quale i rapporti e i sentimenti si rivelano nelle sfumature, Offutt parla di una provincia ancora più remota e selvaggia (il Kentuky del nord), dove l’isolamento geografico e il predominio della natura rendono le figure e le azioni assai più aspre e violente. In questi nove racconti, che rappresentano il debutto dell’autore (di cui minimum fax si appresta a pubblicare anche il resto della produzione letteraria), i protagonisti devono affrontare varie forme di brutalità: da quella psicologica (la pressione sociale che deve subire un giovane solo perché ha il desiderio di studiare) a quella fisica (la caccia e lo scontro con un orso selvaggio che ha assalito una madre, uccidendone l’infante che portava in spalla). Offutt mette in scena istantanee di vita che (come nel caso di Haruff appunto) finiscono per disegnare l’affresco di un’intera comunità, ruvida e remota, raccontata con una partecipazione e una comprensione ammirevoli. 



Amy Fusselman - “Il medico della nave / 8”
(Trad. di Leonardo Taiuti)
Black Coffee edizioni, euro 13

Da alcuni anni chi segue le mie recensioni lo sa, ho sviluppato una vera e propria passione per i libri composti da frammenti. Non poteva quindi sfuggirmi l’uscita in Italia di questa curiosa e personalissima opera di Amy Fusselman, autrice americana nota per i suoi testi apparsi su McSweeney’s e altre celebri riviste.
Si tratta di due testi brevi riuniti in un unico volume. Difficile però definirne il genere: memoir? saggio? racconto autobiografico? Per rendervi l’idea dirò che sono libere riflessioni dell’autrice su due temi forti e di natura intima.
Il primo si intitola “Il medico della nave” e riguarda un momento particolare della vita della Fusselman, ossia la scomparsa del padre avvenuta in concomitanza alla sua scoperta di essere incinta. Morte e nascita arrivano dunque a coincidere e sovrapporsi, spingendo la scrittrice ad analizzare i propri sentimenti verso il genitore perduto e verso il bambino che tiene in grembo. Alternate alle sue riflessioni ci sono stralci del diario del padre, un medico che durante la seconda guerra mondiale prestava servizio su una nave militare. Passato, presente e futuro arrivano a sfiorarsi e confondersi in un unico, rigoglioso flusso.
Il secondo testo, “8”, riguarda una tematica ancora più intima e delicata, gli abusi che l’autrice ha subito da bambina da parte di un vicino di casa, amico dei genitori, del tutto inconsapevoli dei suoi comportamenti in loro assenza. Fusselman cerco di capire quanto questo trauma abbia segnato la sua vita adulta, mettendolo in relazione con gli aspetti quotidiani della sua esistenza: incontrare una celebre popstar per strada, educare il suo bambino a dormire da solo, prendere lezioni per imparare a guidare una moto, collaborare alla messa in scena di un testo teatrale e cosi via.
Fusselman ha una scrittura limpida e lieve, molto affettuosa (nei confronti del padre, del marito, del figlio e, quando serve, anche verso se stessa), non di rado umoristica. Uno stile misurato e assai contemporaneo, verrebbe da dire, malgrado la gravita dei temi trattati.

Il libro è pubblicato dalla giovane casa editrice Black Coffee, interamente gestita da una coppia di giovani appassionati fiorentini, un altro validissimo motivo per consigliare questo testo.

Di altri libri usciti nel 2017 ho parlato qui:

http://matteobblog.blogspot.it/2017/10/3-libri-italiani.html

http://matteobblog.blogspot.it/2017/07/cosa-leggo-questestate.html

http://matteobblog.blogspot.it/2017/04/la-rockstar-paziente.html

http://matteobblog.blogspot.it/2017/03/libri-da-leggere-2-khemiri.html

http://matteobblog.blogspot.it/2017/03/libri-da-leggere-1-ciabatti.html

http://matteobblog.blogspot.it/2017/01/una-lettura-non-come-tante.html


mercoledì 15 novembre 2017

DOMENICA SUPERSONICA

Questa domenica, 19 novembre, come un supereroe parteciperò a tre incontri letterari in due città diverse. 
Si comincia domenica mattina alla Colazione con l'autore al festival Scrittorincittà di Cuneo, dove presenterò "Maria accanto". Nel pomeriggio, a Milano, per la rassegna Bookcity, alle 16.30 intervisterò l'amico Peter Cameron sulle sue passioni (letterarie e non) e alle 20, insieme a Jacopo Cirillo, Marco Rossari e Gianmario Pilo, anticiperò qualcosa sul libro di Yoko Ono che sto scrivendo in un appuntamento dedicato alla collana "Incendi" dell'editore ADD.
Ci vediamo (tre volte) lì. 


Ecco i dettagli:




CUNEO - Festival "Scrittorincittà"



Ore 9

Presentazione di "Maria accanto"
Con Raffaele Riba
"Book & Breakfast"
Open Baladin
piazza Foro Boario


MILANO - "BookCity"



Ore 16.30

"Un giorno queste passioni ti saranno utili"
Dialogo con Peter Cameron
Auditorium
Mudec - Museo delle culture
via Tortona, 56


Ore 20

"Incendi. La passione per la musica"
Con Jacopo Cirilli, Marco Rossari e Gianmario Pilo
Teatro Dal Verme
via Giovanni sul muro, 2










lunedì 30 ottobre 2017

3 LIBRI ITALIANI




ENRICO REMMERT
“La guerra dei Murazzi” 
Marsilio, euro 16,50

Se c’è una cosa che da anni non riesco a spiegarmi è come mai Enrico Remmert non sia un autore di grande successo in Italia. A mio avviso ha tutte le caratteristiche per esserlo: una scrittura molto dinamica, brillante, immediata senza essere mai banale, in grado di tirarti dentro nelle storie da subito e a mantenere un ritmo costante di andatura, racconta di vicende e personaggi contemporanei e originali e ha già dato prova altrove di essere materia da best-seller (il suo primo libro è stato un grande successo in Francia, per dire).  Mi risulta incomprensibile, per esempio, perché il suo ultimo romanzo “Strade bianche” non si entrato in classifica, né sia diventato un film, avendo tutte le potenzialità per fare entrambe le cose. Misteri dell’editoria. 
Ora che esce il suo nuovo libro però non fate l’errore di farvi sfuggire anche questo.
Credo che “La guerra dei Murazzi” sia definibile con una formula contraddittoria: un libro di racconti che può leggere chi di solito non ama i racconti. 
Perché dico questo? Perché più che la tradizionale raccolta di testi brevi a me sembra un campionario di ciò che si può fare con la narrativa in termini di lunghezze diverse: i quattro racconti che compongono il libro sono del tutto differenti per ambientazione, tipo di personaggi e lunghezza. Uno dura 60 pagine, uno 8, uno 100 e uno 30. Una specie di schizofrenia narrativa che può essere sintetizzata con una motivazione sacrosanta: ciascuno ha lo spazio che gli serve. 
Il racconto che da il titolo alla raccolta rievoca (con grandissima efficacia) i retroscena complicati e violenti che hanno portato alla chiusura dei locali della movida torinese tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000, visti attraverso lo sguardo di una giovane cameriera che in uno di questi bar ci lavorava. Il secondo racconto è incentrato su un maestro giapponese di acconciature invitato in Italia come star di un convegno del settore. Il terzo è il picaresco viaggio a Cuba di tre italiani allo scopo di esplorare la possibilità di investire nel settore industriale locale. L’ultimo la storia di un ragazzo che cerca un isolamento momentaneo dalla società e si trova a dover accudire un cane dall’indole assassina. 
Tutte e quattro le storie hanno la potenza di un romanzo ma Remmert ha scelto di dargli la dimensione che lui riteneva adatta a ciascuna di loro.
Lo ripeto: anche chi non ama i racconti stavolta si ricrederà. Fidatevi. 


PEPPE FIORE
“Dimenticare”
Einaudi, euro 18,50

Peppe Fiore è uno di quegli autori in grado di reinventarsi da un libro all’altro. Se il suo romanzo di debutto (“La futura classe dirigente”) era il ritratto sarcastico del mondo televisivo romano e il secondo (“Nessuno è indispensabile”) una grottesca analisi delle nevrosi del lavoro d’ufficio, con questo terzo libro compie una nuova e inaspettata svolta.
“Dimenticare” è la storia di un uomo che si rifugia in una stazione sciistica abbandonata per allontanarsi dalla sua vita precedente e ricominciare da capo. Da cosa sta sfuggendo? E cosa spera di trovare in un paesino di poche anime?
Il romanzo si svolge in questa ambientazione montana tranquilla (boschi, silenzi, giornate di lavoro solitario) eppure serpeggia sempre qualche forma di inquietudine: leggende locali di aggressioni da parte di animali selvaggi e misteriosi individui che appaiono per fare altrettanto misteriose consegne. 
“Dimenticare” è un romanzo che si legge come un thriller senza avere le caratteristiche tipiche del thriller.  La tensione costante che aleggia nel testo è frutto anche delle doti di sceneggiatore che Peppe Fiore ha sviluppato in questi anni (è fra gli autori della serie tv noir “Non uccidere” e story-editor di una produzione internazionale quale “The young Pope” di Sorrentino). Un libro che alberga molti misteri, ai quali però riesce a dare una soluzione e una spiegazione sempre. E con una mossa davvero magistrale, arriva a svelare uno di questi enigmi addirittura nell’ultima riga, anzi, con l’ultima parola. 
Se siete i tipi che si leggono l’inizio e la fine di un testo in libreria prima di decidere se comprarlo (so che esistono individui folli che lo fanno), ecco, stavolta fatevi un favore, evitatelo. Vi togliereste il piacere di un finale perfetto.  


ALESSANDRO CANALE
“Il controsgobbo”
Marsilio, euro 17

Se il titolo di questo romanzo vi appare incomprensibile è perché si tratta di un termine preso dallo slang della criminalità romana. Il “controsgobbo” è una rapina di facciata, compiuta per nascondere un colpo molto più grosso: in pratica il modo per crearsi un alibi perfetto, facendosi arrestare per un crimine molto minore e allontanare da sé tutti i sospetti di coinvolgimento nell’altro, più clamoroso, furto avvenuto quasi nelle stesse ore.
È la tecnica messa in pratica da un piccolo criminale detto Mortaretto quando gli capita l’occasione di compiere una rapina leggendaria, assai maggiore delle sue operazioni standard, e che va a infastidire organizzazioni molto più feroci e potenti di lui. Il carcere è la sua salvezza e il lasciapassare per una vita tranquilla, in attesa di rimettere le mani su quel tesoro sepolto.  
Ma quanto bisogna aspettare per non destare più sospetti? E una volta uscito di prigione e cercato di riprendere un’esistenza regolare, come si fa a resistere all’opportunità di compiere una nuova rapina, se ci sono tutte le caratteristiche per una cosa facile facile?

“Il controsgobbo” è un romanzo divertente e pieno di idee, con una trama costruita benissimo e un linguaggio che sembra un incrocio perfetto e impossibile tra la commedia italiana degli anni ’70 e lo stile contemporaneo di un Niccolò Ammanniti o di un Antonio Manzini. Un libro scoppiettante, in vari sensi, e finora (è uscito prima dell’estate) ingiustamente ignorato. Andate a ripescarlo. 

lunedì 23 ottobre 2017

DOVE TROVO 'tina?

Da oggi il nuovo numero di 'tina è acquistabile anche presso tre librerie a Milano, Bologna e Roma.
Chi non vive in queste città e vuole procurarsi una copia scriva a tina@matteobb.com

Trovi 'tina numero 31 presso:


Gogol & company

via Savona 101
MILANO

Igor libreria

c/o Senape
via Santa Croce 10
BOLOGNA

Giufà

via degli Aurunci 38
ROMA


giovedì 5 ottobre 2017

MARIA ACCANTO (Autunno tour) - DATE OTTOBRE

Tre nuovi appuntamenti per ottobre!

Sabato 7 ottobre
PADOVA
Ore 17
Tralaltro Arcigay
Corso Garibaldi, 41

Martedì 10 0ttobre
IVREA
Ore 19
Chiesa San Gaudenzio (!)


Lunedì 16 ottobre
SCALO MILANO
Ore 18
Libreria RED Feltrinelli

Locate Triulzi (Mi)




venerdì 21 luglio 2017

COSA LEGGO QUEST’ESTATE?

Alcune proposte di lettura.


Nickolas Butler
Il cuore degli uomini
(trad. di Claudia Durastanti)
Marsilio 

Se vi dicessi che questo è un romanzo sui boy-scouts scappereste a gambe levate, ma del resto la copertina lo suggerisce in maniera piuttosto evidente, quindi inutile tentare di nasconderlo. Il libro in effetti racconta la storia di tre uomini i cui destini sono legati a un campo scout. Tre uomini raccontati in vari momenti della loro vita (adolescenti sfigati o troppo idealisti, adulti cinici e tendenti all’alcolismo, anziani saggi e divenuti più comprensivi con l’esperienza). Butler, a mio avviso, in questo secondo romanzo è riuscito proprio laddove era stato debole nel suo esordio (il tanto decantato “Shotgun lovesongs”): se nel primo romanzo i personaggi mi erano parsi tutti bidimensionali (i buoni insopportabilmente buoni, gli innamoramenti delle medie che duravano tutta la vita, le star che rifiutavano il successo mondiale perché incapaci di dimenticare il paesino dove sono cresciuti...), in questo secondo sono estremamente sfaccettati, capaci di grandi eroismi quanto di atti di codardia, sprezzanti verso i figli ma allo stesso tempo gelosi della loro innocenza, alla fine dei conti tutti fragili e dannatamente umani. In una parola, veri. 



Daniela Mazzoli
Sarò strana io
Quodlibet

Da anni nutro una particolare predilezione per i libri in forma di frammenti: pensieri, annotazioni, brevi prose, aforismi. Un genere letterario frequentato raramente e giusto da qualche autore sperimentale americano (come la geniale Jenny Offill). Scoprire che un’esordiente italiana si è cimentata nella medesima impresa non poteva che entusiasmarmi. “Sarò strana io” è una sorta di romanzo ridotto a brandelli, una raccolta di riflessioni della protagonista sulla sua vita, il suo lavoro, la sua famiglia e soprattutto sugli uomini per i quali perde la testa. Il tutto all’insegna di un’ironia sferzante e assai efficace. 

“Quasi sempre si capisce subito di cosa ci si pentirà”

“Ho una soglia del dolore così alta che non riesco a raggiungerla”

“La telepatia non è una scienza esatta; tutte le sere io pensavo «chiama, chiama, chiama». Ma lui non chiamava”

“Ogni tanto qualcuno dovrebbe passare a venderti Coca e popocorn con il banchetto al collo, mentre stai vivendo”

“Non siamo soli nell’universo, siamo soli nel condominio”

“Certe volte uno preferisce avere torto, pur di avere qualcosa”

Questi sono solo alcuni esempi dello stile di questo anomalo libro, ideale per essere letto anche a piccoli sorsi, ripreso e abbandonato a piacere, senza perderne il senso. Un testo perfetto, per dire, per i tragitti brevi in bus e in metropolitana. Come un breviario moderno, nel quale ogni tanto (spesso) riconoscersi con un sorriso. 



Theodore Sturgeon
Godboy
(trad. di Martina Sirka Mosur)
Atlandide

La casa editrice Atlantide è una delle più curiose realtà del panorama letterario italiano: produce infatti solo libri a tiratura numerata e limitata (di ogni titolo stampano 999 copie: esaurite quelle non ci sono altre ristampe), in volumi eleganti e molto curati. Una specie di Adelphi in chiave punk. Fra gli ultimi libri pubblicati, merita senza dubbio una segnalazione questo straordinario romanzo, uscito negli USA nel 1986 e mai tradotto prima  in Italia a causa del suo scandaloso contenuto. Si tratta dell’ultima opera di Theodore Sturgeon, autore di culto amato fra gli altri anche da Stephen King e Kurt Vonnegut, il cui titolo “Godbody” (corpo di Dio) già si presenta come fin troppo allusivo. È la storia di una piccola comunità della provincia americana nella quale fa la comparsa un essere misterioso, un uomo bellissimo e dall’aria innocente e irresistibile. Tutti coloro che lo incontrano, uomini e donne, incluso il pastore del paese, ne saranno profondamente cambiati, alcuni anche attraverso il congiungimento carnale con lui, in un’esperienza che ha poco del fisico e molto del trascendentale. 
Un romanzo che può essere letto tanto come sacrilego quanto come estremamente poetico e illuminante. Qualsiasi sia la vostra interpretazione, resterà uno dei libri più originali che vi sarà capitato di leggere.



Garth Greenwell
Tutto ciò che ti appartiene
(Trad. di Matteo Colombo)
Mondadori

Vincitore del British Book Award, finalista in una serie infinita di premi, inserito fra i 10 migliori libri dell’anno dal New York Times, il debutto di Garth Greenwell è un romanzo a tematica gay che esce dai contorni rassicuranti e familiari nei quali molta letteratura di genere oggi è (auto-) confinata, per toccare ambiti decisamente più sconvenienti e conturbanti. Storia di un insegnante americano (mai nominato nel testo) che vive e lavora in Bulgaria e che un pomeriggio, in un bagno pubblico deputato a un certo tipo di contatti fugaci, conosce Mitko, giovane e sfrontato prostituto che finirà per essere una presenza significativa nella sua vita. L’incontro scatena nel professore una serie di riflessioni, sul proprio passato, sui conflitti coi genitori, sulla natura dei suoi desideri, su ciò che lo appaga realmente e su ciò che lo spaventa. L’acutezza dell’analisi di Greenwell sulle emozioni profonde del suo protagonista è la vera forza di questo romanzo. Le pagine centrali che rievocano l’evoluzione del rapporto col padre, dalla complicità dell’infanzia allo spietato rifiuto dell’età adulta, sono davvero toccanti. 



Miriam Towes
Un complicato atto d’amore
(Trad. di Monica Pareschi)
Marcos y Marcos

Cosa significa nascere e crescere all’interno di una rigida comunità religiosa? Miriam Towes, autrice canadese, lo racconta in questo suo terzo romanzo. 
La protagonista è Nomi, una ragazza adolescente rimasta a vivere col padre, ortodosso ma arrendevole, dopo che sia la madre che la sorella maggiore sono fuggite lasciandoli soli.
La forza del libro sta tutta nel punto di vista della sua giovane protagonista: Nomi, che rimane in comunità solo in attesa che sua madre e sua sorella facciano ritorno, cerca di trovare mezzi per fare le esperienze che sente di dover fare, vive come assurde le regole che gli adulti seguono senza sognarsi di mettere in discussione e accoglie con sincero sbalordimento gli insegnamenti delle persone più oltranziste che si trova attorno, a cominciare da “la Bocca”, suo zio, nonché capo spirituale della comunità. 
Un libro semi-autobiografico che sceglie la strada dell’ironia quando altri avrebbero adottato quella della denuncia e ci regala il ritratto di una ragazzina fragile, coraggiosa e soprattutto molto divertente. 



Sandro Campani
Il giro del miele
Einaudi

Ci sono libri che sembrano collocarsi fuori dal tempo, le cui storie sembrano appartenere tanto all’oggi quanto al secolo scorso, e in fondo non farebbe tanta differenza.
Due amici si trovano una sera d’inverno in un paesino sulle colline tosco-emiliane. Uno Giampiero, falegname di mezza età, l’altro è Davide, il figlio del suo datore di lavoro, che ha tenuto sulle ginocchia quando era piccolo e che ha visto crescere e farsi uomo. Con i legni nel camino che crepitano e una bottiglia di grappa sul tavolo da condividere, i due passano la notte a confidarsi: le gioie della vita, gli errori del passato, le ferite che non possono più essere ricucite. 
Un romanzo dall’andamento lento e dall’atmosfera calda, scritto con una lingua tanto nostrana quanto efficace, in grado di dare al lettore l’impressione di essere lì presente, insieme ai due amici e di ascoltare le loro confidenze. Una lettura dal ritmo rilassato, notturno, che alcuni potrebbero trovare eccessivamente rarefatta e concentrica, mentre altri di una piacevolezza rara. 



Johnny Marr
Set the boy free
(trad. di Anna Mioni)
BigSur


Poiché l’autobiografia di Morrissey non uscirà mai in italiano (e neanche in nessun’altra traduzione, dal momento che l0 stesso autore ne ha bloccato la cessione dei diritti, assecondando un’altra delle sue innumerevoli paranoie), finalmente con l’uscita di quella di Johnny Marr, i fan nostrani degli Smiths arrivano a sentire la verità sulla loro separazione dalla voce di uno dei diretti protagonisti. E si sorprenderanno di scoprire che Marr scrive bene: queste oltre 400 pagine di memorie scorrono via con estrema piacevolezza. Il chitarrista del gruppo rock inglese forse più influente degli ultimi 40 anni racconta la sua storia dall’infanzia trascorsa all’interno di una famiglia che assomigliava più a una tribù fino alle collaborazioni coi più grandi musicisti del mondo, Beatles e Rolling Stones inclusi. E fa intuire che lo scioglimento degli Smiths è stato inaspettato e doloroso per lui quasi quanto lo sia stato per le migliaia di fan sparsi sul pianeta. Il che è una parziale consolazione: se non ha potuto far niente lui, allora era davvero qualcosa di inevitabile.

Resta poi inteso che dovete leggere “Una vita come tante” se non l'avete ancora fatto. Del resto quando trovate il tempo di leggervi mille pagine se non d’estate?

mercoledì 10 maggio 2017

L'AVVENTO DI MARIA

Il mio nuovo romanzo si intitola "Maria accanto" e uscirà in libreria fra una settimana, il 18 maggio, pubblicato da Fandango. Racconta la storia di una ragazza come tante alla quale però comincia ad apparire la Madonna, apparentemente senza alcun motivo. 
La frase di lancio che ho scelto per il retro della copertina è questa:

"Siamo tutte ragazze qualsiasi. Sono le esperienze a renderci speciali".




martedì 10 gennaio 2017

UNA LETTURA NON COME TANTE

Spesso in questo blog ho recensito libri, ma stavolta non voglio raccomandare un romanzo quanto raccontare un’esperienza di lettura, perché a volte leggere non è un piacere, un intrattenimento o uno strumento di approfondimento, ma è qualcosa di più complesso e completo, che supera (e integra) questi diversi aspetti.
L’esperienza è quella che ho vissuto affrontando “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara (pubblicato da Sellerio con una magnifica traduzione di Luca Briasco). 
Cominciamo dalla mole: il libro ha circa 1100 pagine. So che ci sono persone che amano particolarmente romanzi di ampie dimensioni, amano l’idea di “perdersi” dentro un libro. Io non sono fra queste. Quando un tomo è voluminoso tendo a metterlo in discussione: un libro di cinquecento pagine richiede un tempo che potrei dedicare a leggerne altri due o tre più brevi, quindi pondero molto accuratamente se ne valga la pena, e sono pronto ad abbandonarlo con maggiore rapidità se non mi convince. Figuriamoci quanto possa essere categorico con uno che supera le mille.  
Di questo libro avevo sentito parlare più volte in alcuni blog letterari americani che seguo e mi aveva suscitato una certo interesse, ma non avevo idea che sarebbe stato tradotto in italiano finché non l’ho trovato esposto fra le novità in una libreria. Sono state proprio le sue notevole dimensioni a farmelo notare e anche a fungere da deterrente. L’ho sfogliato e poi riappoggiato. Troppo, troppo lungo, mi sono detto. Ma il germe della curiosità già era in circolo. Nei giorni seguenti ho cominciato a notare riferimenti al libro sui social e nei giornali, ma ad aiutarmi a superare in maniera definitiva le mie resistenze sono stati i giudizi entusiastici di alcuni amici scrittori (Federica Manzon e Giorgio Fontana avete delle responsabilità in questo).  
Una mattina, complice un viaggio verso Roma, in una libreria della stazione l’ho comprato e l’ho iniziato subito in treno. Da lì non mi sono più fermato. 
Di “Una vita come tante” (titolo paradossale, non c’è nulla di comune nelle vite di cui parla il libro, soprattutto in quella del protagonista) è magistrale l’andamento, il percorso che l’autrice ha tracciato per il lettore, calibrando in maniera chirurgica il tipo di emozioni e coinvolgimento in grado di creare. Hanya Yanagihara mi ha letteralmente rapito e condotto dove voleva lei, talvolta contro la mia volontà. Bravissima. Implacabile. 
Cercherò ora di spiegar nel dettaglio come è avvenuto con l’impegno di non fare spoiler, se non sulla struttura del testo e anticipando quelle minime notizie sulla trama che già si trovano nelle varie recensioni che circolano.
Il romanzo inizia come la storia di quattro amici nella New York contemporanea. Nelle prime 150/200 pagine l’atmosfera e il tono sono dei tipici romanzi nordamericani contemporanei, la lettura è piacevole, la prosa dell’autrice è ricca ed elegante, anche se non particolarmente originale. Sino a qui sembra solo un bel libro. 
A questo punto, quando le personalità dei quattro sono bene delineate e il rapporto fra loro assodato agli occhi del lettore, ecco che il focus del romanzo si sposta progressivamente verso uno dei personaggi. Gli altri sono e restano presenti per il resto del volume, ma solo adesso il lettore comprende chi sia il vero protagonista, ed è il più fragile e complesso fra i quattro, quello della cui infanzia e giovinezza conosciamo meno, anzi di cui conosciamo poco o nulla. Il ritratto che ne esce è estremamente affascinante, un personaggio misterioso, tormentato, ma  che induce, tanto negli amici quanto nel lettore, un istinto di protezione e di grande affetto. 
Ci avviciniamo al centro del volume, la lettura si fa sempre più appassionante, difficile abbandonare il testo. A livello personale, mi accorgevo durante il giorno che il pensiero ogni tanto tornava ai personaggi del romanzo, che pregustavo con piacere l’idea di tornare a casa e potermi immergere di nuovo in quel mondo, fra quegli amici. Ogni sera volevo andare avanti, ancora dieci pagine poi spengo, ancora cinque e basta, giuro. 
Ed è a qui che Yanagihara, con una scelta sapiente e per certi versi perversa, sferza al lettore il colpo più duro. Tutte le domande che ci siamo posti sull’infanzia difficile del protagonista, tutti i dubbi, ci vengono svelati. E sono racconti terribili, di una crudeltà, di una violenza tale da lasciare senza fiato. Ora al piacere della lettura si è sostituito il dolore della lettura. Siamo giunti a un punto tale della storia che è impossibile interrompersi (ci siamo immersi fino al collo, non possiamo mollare qui, dobbiamo tenere duro e cercare di guadare questo fiume di sensazioni, dobbiamo trovare la forza di arrivare dall’altra parte, sperare di farcela), allo stesso tempo abbiamo la necessità di calibrare la sofferenza. 
Ci sono stati giorni in cui mi è servito del coraggio per riprendere la lettura. Per stasera basta, mi dicevo, di più non riesco. Chiudevo il volume e magari prendevo qualcosa di più leggero, una rivista, la biografia di un cantante pop lasciata a metà, qualcosa che mi distraesse e mi conciliasse il sonno, alleviandomi dal peso di quelle brutali confessioni. 
Dopo questa violenta e dettagliata parentesi l’autrice ci concede di nuovo respiro e dedica un’ampia fetta di narrazione alla maturità del protagonista. Il contesto è finalmente sereno, gli incubi del passato non sono e non possono essere sepolti ma l’amore e la protezione dell’ambiente familiare possono permettere un tentativo di assestamento. Il presente non fa più paura, una parvenza di felicità sembra possibile. 
Il lettore tuttavia non può scrollarsi di dosso il trauma di ciò che è venuto a sapere sul conto del protagonista. Procede con cautela, temendo che nuove ferite siano in agguato. Ed è con questo stato d’animo di sottile apprensione che si giunge al finale del volume, sul quale chiaramente non dirò nulla.
Dopo averlo terminato ho subito cercato in rete notizie su Hanya Yanagihara e ho scoperto che è una reazione comune: in più di una recensione sulle riviste letterarie on line americane gli stessi critici confessavano di essere divorati dalla curiosità verso l’autrice di un’opera monumentale e anomala come questa. In realtà, non c’è molto da sapere. La Yanagihara, statunitense di origine hawaiane, è una giornalista di viaggi, ha già un romanzo alle spalle e ha scritto questo secondo nel giro di soli 18 mesi, lavorandoci la sera e nei weekend in quello che lei stessa ha definito “uno stato quasi febbrile”. Il suo modello erano i romanzi classici ottocenteschi, dei quali il testo riprende le dimensioni e il respiro. L’unica osservazione degna di nota riguarda il rapporto con il suo editor, che ha cercato più di una volta di spingerla a ridurre o a perlomeno a rendere meno cruente le scene di violenza, ma su questo la scrittrice è stata irremovibile perché le riteneva essenziali.  
Ammetto di non aver mai letto nulla prima di altrettanto efficace nel rendere l’orrore fisico e psicologico degli abusi sui minori, nel mostrare l’ineluttabilità delle ferite emotive che ne conseguono.  
A causa della sua mole (ha le dimensioni di un mattone e il peso supera il chilo), “Una vita come tante” rappresenta l’esempio ideale di romanzo da leggere in ebook, una soluzione infinitamente più maneggevole e pratica. Invece io ho preferito la concretezza delle pagine stampate: la fatica di portare con me in giro, in borsa, nello zaino, questo oggetto pesante era parte dell’impegno di questa lettura totalizzante e anomala, che mi ha richiesto sforzi, e rinunce, e impegno, e lunghe riflessioni.  

Ho trovato il romanzo notevole, sebbene non privo di difetti, ma con una narrazione di queste dimensioni i giudizi non possono che essere complessi e stratificati, anche estremamente soggetti, tuttavia non importa: “Una vita come tante” mi ha ricordato che leggere è un’azione che comporta aspetti mentali, fisici, emotivi, filosofici. Erano anni che non provavo un’esperienza di lettura simile. Fosse anche solo per questo non posso che essere molto grato a Hanya Yanagihara. Erano 1100 pagine. Non mi sono mai pentito, una singola volta, di averle affrontate.