mercoledì 13 febbraio 2013

CONCETTO SPAZIALE: L'ATTESA


Una caratteristica che mi distingue e che credo sia poco diffusa è quella di non possedere alcuna frenesia al consumo. Attenzione, non ho detto acquisto, ho detto consumo. La differenza è sostanziale. 
Come tutti, mi capita di desiderare degli oggetti (perché condizionato dai media, perché consigliato da amici, per il gusto della novità, per ragioni autoconsolatorie e via dicendo), quindi li compro. Molto spesso però fra l’atto dell’acquisto e l’effettivo utilizzo del prodotto intercorre un intervallo temporale che può essere molto lungo. Un esempio eloquente: suppongo di essere uno dei pochi che dopo aver comprato un iPad l’ha lasciato nella sua confezione almeno una decina di giorni prima di avere la curiosità di prenderlo finalmente in mano.  Altro caso più estremo: l’anno scorso ho ordinato on line un cd dall’Inghilterra a giugno e ho deciso di ascoltarlo solo una settimana prima di Natale. Non so bene perché, ma per mesi il disco non mi ha suscitato alcuna curiosità. Solo a dicembre inoltrato l’ho infilato nel lettore per scoprire che mi piaceva moltissimo. Rimpiango di aver atteso così a lungo prima di verificarlo? Niente affatto. Mi sembra anzi del tutto naturale che sia andata così. Nel corso degli anni ho capito che, avendo con gli oggetti un rapporto emotivo, ho bisogno di momenti adatti. 
L’altra sera ero a cena con amici. Fuori dal ristorante ci siamo divisi: loro andavano in un locale a fare tardi, io rientravo a casa perché la mattina dopo dovevo lavorare. Mesto per la separazione, in metropolitana ho pensato che per risollevarmi il morale avrei dovuto concedermi un bel libro, magari uno di quelli impegnativi per dimensioni, adatti a un consumo domestico e non a essere trasportati in borsa durante gli spostamenti. Mi è subito venuto in mente, come in un’illuminazione, il grosso volume illustrato dedicato a una casa editrice che avevo comprato in una vacanza di due anni prima e che non avevo mai iniziato. Arrivato a casa, sono andato a colpo sicuro nella libreria (ricordavo con fotografica precisione dove fosse, e io non ho i libri ordinati sugli scaffali secondo ordine alfabetico o per autore), l’ho preso, me lo sono portato sul divano e mi ci sono immerso per oltre un’ora. 
Non solo era un bellissimo libro, ma era per così dire il libro perfetto per quel momento, per quella serata. Parte del piacere risiedeva in questo: nella mia capacità di aver saputo aspettare, consapevole che prima o poi quell’attimo miracolosamente adatto sarebbe arrivato.



martedì 5 febbraio 2013

MATERIALE RESISTENTE


E’ solo feticismo? L’attaccamento all’oggetto fisico è indice di un animo reazionario? Non lo so, boh. Forse. Da mesi discuto con amici più giovani sul passaggio dall’analogico al digitale e più volte sono stato tacciato di conservatorismo perché sostengo la superiorità del supporto materiale rispetto all’effimero file. Ma sgombriamo il campo: non sono mio nonno, ho un iPad e leggo moltissimo sul tablet, ho stipulato abbonamenti a riviste on line straniere perché rappresenta una comodità assoluta rispetto alla fatica di andarle a cercare in certe edicole specializzate e con gli inevitabili giorni di ritardo nella distribuzione estera; non parliamo neppure di quando si tratta di valutare decine di testi di narrativa inedita, l’inestimabile praticità di sostituire chili di fotocopie e dattiloscritti con un singolo, leggero, elegante strumento da viaggio. Anche per la musica, il mio primo consumo avviene in forma digitale: scarico tonnellate di mp3, ho tre hard disk esterni pieni di roba, un iPod dove non ci sta più nulla e viaggio con un paio di cuffiette perennemente in tasca. Conosco dunque i vantaggi del digitale, viva la tecnologia!, viva il futuro!, eccetera eccetera. 
La domanda che si pone però è un’altra: perché tra un libro di un autore che amo e il suo corrispettivo ebook non ho un attimo di esitazione nella scelta di acquistare il primo? Perché di certi gruppi continuo a comprare i cd? 
La risposta è semplice: perché li voglio. E volere equivale a possedere. E possedere, fino a prova contraria, implica la fisicità. Devo toccarli. Devo esporli sullo scaffale. Devo ricordare a me stesso che esistono, che mi stanno intorno e con la loro presenza formano il mio carattere, la mia cultura, i miei gusti, il mio conforto, il mio essere me. 
In sintesi, più banalmente, forse basterebbe riprendere le parole di una celebre filosofa del secolo scorso: “ ‘cause we are living in a material world and I am a material girl”.