giovedì 5 maggio 2016

ESORDIRE NEGLI ANNI ’10 - INTERVISTA A VANNI SANTONI

Grande interesse ha suscitato il post di due giorni fa sul romanzo di Luciano Funetta, “Dalle rovine”. Ho deciso quindi di approfondire l’argomento (e di ampliare il discorso su temi più generali riguardo all’esordio e allo stato attuale dell’editoria in Italia) con un'intervista al curatore della collana Vanni Santoni. Le considerazioni emerse nel corso della conversazione sono, a mio avviso, davvero interessanti. Leggete, e poi mi dite.  


Nel mio articolo sul romanzo di Luciano Funetta ho riassunto per sommi capi la vicenda editoriale del libro. Vuoi raccontarla un po’ meglio, dal tuo punto di vista? 
Lo scrittore mi era stato suggerito dall’amico e collega Alcide Pierantozzi. Stavamo andando alla fiera del libro di Roma, ci eravamo persi all’EUR e mentre camminavamo a casaccio sperando di veder spuntare il palacongressi, lui mi magnificava questo giovane scrittore e il suo romanzo a base di serpenti, porno d’arte e carnefici sudamericani, che aveva visto da poco il rifiuto di alcune grandi case editrici. All’interno della fiera, curiosamente, Luciano Funetta si trovava nello stand accanto al nostro, a cui stava dando una mano come libraio. Ci andai a parlare e mi colpì la sua natura schiva, anche rispetto al testo: a differenza degli altri aspiranti scrittori non aveva granché voglia di parlare del suo romanzo o peggio che mai perorarne la causa. Mi piacque. A breve anche Gianluca Liguori del blog Scrittori Precari, che a quei tempi esisteva ancora e faceva molta ricerca sugli esordienti, mi disse che avrei fatto meglio a dar la precedenza a quel manoscritto. Pure Orazio Labbate, autore del nostro quarto titolo, conosceva Funetta e ne era entusiasta. Così, per la troppa curiosità, ruppi quella che normalmente è la regola a cui mi attengo, ovvero leggere i manoscritti sempre nell’ordine in cui arrivano, onde evitare favoritismi. Trovai un bellissimo libro. Un libro ancora imperfetto – non del tutto affilato, si potrebbe dire – ma con le stigmate del grande romanzo. C’era la scrittura, anzitutto, ma c’erano anche personaggi, vicenda, un’ambientazione forte e un’atmosfera oscura, molto ben definita. C’era anche del mistero, nel senso più profondo: non tutto quello che avveniva là dentro aveva spiegazioni ovvie, era un libro in cui i simbolismi erano impostati in modo da provocare il lettore. 
Scrissi a Luciano e al suo agente Luccone; venne fuori che c’erano altri editori, piccoli ma di conclamata qualità, che volevano farlo. Alla fine, una volta appurato che Luciano era disposto a lavorare, anche molto, al romanzo, riuscii a persuaderli a darlo a noi: la collana era sulla bocca di tutti ed ero convinto che con quel romanzo avremmo potuto fare grandi cose. Per fortuna è andata così.

So che avete lavorato diversi mesi sul testo. Ci sono stati interventi decisivi rispetto al dattiloscritto originale o si è trattato solo di aggiustamenti?
Tutti i testi della collana Romanzi sono stati lavorati molti mesi, a volte anche con cambiamenti importanti. Alcuni sono del tutto irriconoscibili rispetto alla prima bozza, ma solo perché spesso l’autore, specie se esordiente, reputa finito quel che non lo è. Lavorare sul libro di un esordiente significa spesso lavorare su una crisalide, e far venir fuori la farfalla (o, nel caso di Dalle rovine, l’oscura falena) non è qualcosa che si può fare con interventi diretti di editing. Cerchiamo di capire insieme all’autore la direzione in cui potrebbe andare il testo e poi sta a lui o lei rimettersi a lavorare. Ugualmente, se vi sono delle criticità, io le metto in luce, ma sta agli autori attuare le modifiche, a volte anche importanti, utili a risolverle. In sintesi: prima si lavora sulle questioni generali, di struttura e vicenda, poi si passa alle singole parti, e poi ancora alle singole frasi e parole. Infine facciamo un ultimo passaggio di quella che chiamo ‘‘vorpal’’, ovvero ulteriori potature e tagli – del resto uno dei difetti più frequenti nelle prime scritture, anche quando sono buone o molto buone, è quello di ‘non stringere’  abbastanza una volta gettate le basi.
So di chiedere molto lavoro agli autori – al nostro ultimo pubblicato, Mauro Tetti con A pietre rovesciate, ho fatto letteralmente smontare il libro in ogni sua parte e rimontarlo in modo completamente diverso – ma finora i risultati ci hanno dato ragione, e del resto se l’autore è bravo a motivare le sue scelte, se dimostra di avere buoni motivi per non effettuare un determinato intervento, gli lascio l’ultima parola a meno che non si tratti di un vero e proprio errore fattuale.
Nel caso di Dalle rovine, Luciano aveva già lavorato molto al testo e lo riteneva compiuto. Nel primo scambio che abbiamo avuto gli ho spiegato invece chiaro e tondo che avrei preso il libro solo se lui era disposto a lavorarci ancora molto. Immagino che la cosa non gli sia piaciuta, del resto era vero che la bozza del romanzo era quella di un libro ‘‘finito’’ – ed era un lavoro comunque sorprendente per un esordiente – ma era anche quella di un libro che poteva migliorare su molti punti, proprio perché aveva un potenziale così grande. C’era da chiarire meglio la voce di alcuni personaggi, inquadrare con più precisione alcuni dei temi portanti del romanzo, e su tutto pativa un’eccessiva lunghezza, che Luciano è stato abilissimo ad asciugare attraverso molti passaggi di lima e pialla. 
Essendo Funetta un esordiente particolare – preparatissimo, forte di letture non solo ottime e abbondanti ma anche strutturate, effettuate con i propri obiettivi letterari  ben in testa – tendeva a difendere con le unghie ogni propria scelta, il che si è tradotto in una dialettica serrata sul testo, andata avanti fino alla fine, ma che in ultima istanza ha pagato, anche perché riusciva sempre a stupirmi con soluzioni di grande efficacia ai vari problemi. 

Il primo capitolo è una bomba. Una lettura talmente potente da proiettarti subito dentro il mondo del romanzo e segnarne i confini. Accade raramente che un libro sappia avere un tale impatto immediato (a me succede di continuo di leggere romanzi inediti di esordienti e un incipit tanto forte mi avrebbe fatto saltare sulla sedia). Sono curioso di sapere se anche questo è frutto di un lavoro di editing o era già nella stesura originale. 
Il primo capitolo di Dalle rovine è una delle parti a cui abbiamo lavorato meno in sede di editing. Era già più o meno così e infatti colpiva subito per la sua potenza evocativa, oltre che per la qualità della scrittura. 

Credo che tu fossi consapevole che “Dalle rovine” fosse un libro dal quale aspettarsi risultati significativi. Immaginavi un simile riscontro o è andato ben oltre le tue/vostre aspettative? 
La collana Romanzi aveva cominciato a ‘‘girare’’ bene da subito, Dettato di Sergio Peter e Stalin+Bianca di Iacopo Barison, usciti in contemporanea per il lancio, avevano attirato l’attenzione di tutti, con recensioni a pioggia e una rapida ristampa per entrambi. Ci eravamo confermati coi titoli successivi, Lo Scuru di Orazio Labbate, Tutti gli altri di Francesca Matteoni e L’appartamento di Mario Capello, e la collana era riuscita a guadagnarsi rapidamente lo status di ‘‘realtà’’. Quindi, sì, da questo titolo ci aspettavamo molto, perché cadeva nel momento giusto, usciva da solo in un buon periodo e Luciano mi aveva dato da subito l’impressione di uno che avrebbe saputo muoversi bene, del resto faceva e fa parte del collettivo di scrittori Terranullius, che conoscevo e stimavo, e mostrava una discreta conoscenza del cosiddetto ‘‘campo letterario’’. 
Certo, un successo del genere era inizialmente imprevedibile, anche se già Stalin+Bianca aveva dimostrato che potevamo andare oltre la nicchia dei giovani lettori forti e fortissimi. Ho poi capito che poteva succedere qualcosa di davvero importante nella prima settimana dall’uscita: ci siamo ritrovati per le mani una carrellata impressionante e ravvicinatissima di recensioni entusiastiche sui giornali e un entusiasmo sui social e sui blog mai visti. Usciva letteralmente più roba di quanta potessimo ragionevolmente ritwittare o condividere, a un ritmo così anormale da  farci pensare di poter scatenare la cosiddetta ‘‘massa critica’’, come infatti è stato.



Funetta a parte, veniamo alla collana di narrativa che curi per Tunuè giunge in questi giorni all’ottavo titolo, si possono già fare delle prime analisi e tentare dei bilanci. 
Con una storia così fortunata, il rischio è piuttosto quello di adagiarsi sui lauri convinti che tutto continuerà ad andare bene. In effetti penso che sul breve tutto andrà per il meglio. A pietre rovesciate di Mauro Tetti, il titolo successivo a quello di Funetta, è partito bene e sta cominciando a macinare recensioni e presentazioni, e credo moltissimo in Mescolo tutto di Yasmin Incretolli, un titolo esplosivo trovato grazie al Premio Calvino, da cui ha avuto la menzione speciale della giuria. È un’autrice giovanissima che ha un talento fuori dal comune per la prosa. Si farà notare.
Diverso è il discorso più sul lungo periodo: ovviamente sono ottimista ma anche consapevole che non sarà facile continuare a trovare titoli di qualità, sebbene sia vero che ormai la nostra presenza è tale che iniziano ad arrivare anche manoscritti da gente che ha già pubblicato con editori importanti. 
La collana ha trovato la propria identità anche pubblicando molti nuovi autori ma non mi dispiacerebbe pubblicarne anche di già noti, di quelli che piacciono a me, il che ovviamente per un piccolo editore non è sempre facile visto che entrano in ballo ulteriori questioni economiche – gli autori bravi e già affermati, giustamente, costano. 
Va anche detto che il mercato, in particolare il sistema distributivo e delle grandi catene, non facilità gli editori indipendenti dato che tende, tra prenotazioni, riordini, posizionamento dei volumi e altri fattori, a non seguire in modo equo la loro eventuale crescita: se io indipendente cresco, mettiamo, di dieci in termini di recensioni, visibilità, fiducia dei lettori, nel mercato reale cresco di cinque perché sono soffocato da questi meccanismi. Tuttavia la storia recente dell’editoria italiana ci mostra anche case editrici indipendenti – penso a minimum fax, a Marcos y Marcos, a E/O, solo per citarne alcune tra quelle che ammiro e tengo a esempio – le quali nonostante tutto, grazie un lavoro non solo eccellente ma anche continuativo, consistente negli anni, sono riuscite a crescere e a farsi spazio in modo importante. 

Come scegli i testi? Esiste un criterio preciso per il quale, per esempio, escludi certi libri a priori (per genere, stile, contenuti)? Cerchi qualcosa in particolare o ti fidi semplicemente del tuo istinto quando leggi qualcosa che ti sembra valido?
La collana ha un’impostazione molto semplice e molto chiara, che credo sia uno degli elementi alla base del suo successo e della sua riconoscibilità. Facciamo ‘‘literary fiction’’ – è quella che una volta si sarebbe chiamata una collana ‘‘di ricerca e progetto’’ –; facciamo romanzi; li facciamo brevi o abbastanza brevi, una scelta che nasceva inizialmente da un’esigenza pratica (i nostri libri, oltre a essere in creative commons, costano 9.90 euro e per tenere un prezzo così basso non possiamo andare oltre un tot di pagine) e che poi è diventata un ulteriore elemento di identità di collana.
Cerco cose scritte bene. Se trovo un libro scritto bene, ma bene davvero, tutto il resto cade in secondo piano. La prosa, la lingua, la voce, sono tutto.

Cosa significa secondo te curare una collana di esordienti oggi? Intendo dire, ha una valenza differente rispetto a dieci o venti anni fa, per dire?
Rispetto a vent’anni fa, non saprei. Ho cominciato a scrivere nel duemilaquattro e a pubblicare nel duemilasette, prima non avevo mai scritto neanche una frase, e anche quando ho cominciato ci ho messo diversi anni prima di interessarmi alla narrativa contemporanea e ai meccanismi che la regolano.
Posso dire che è sicuramente diverso rispetto a cinque, otto, dieci anni fa. Dopo gli exploit straordinari dei vari Saviano, Giordano, Piperno, l’editoria italiana ha vissuto una vera e propria sbronza da esordienti. Nuovi autori venivano continuamente lanciati sul mercato, anche direttamente dalle major, e poi abbandonati come cani in autostrada appena diventava chiaro che il libro non sarebbe stato un best-seller. Un vero e proprio tritacarne. Certo, gli effetti non sono stati tutti negativi, alla fine scaraventare sul mercato uno sproposito di autori e poi mollarli alla selezione darwiniana ha anche l’effetto di instillare sangue nuovo nella scena. Ma certo non è etico, e men che meno rispettoso dei singoli autori o del ruolo dell’editore come parte di un sistema culturale.
Oggi questa fase storica è decisamente finita, e uno dei suoi effetti è che la parte di ‘‘ricerca e sviluppo’’ è tornata alle piccole e medie case editrici. Come accadeva prima, la biografia tipica di uno scrittore che emerge in questi anni prevede di pubblicare prima racconti su riviste, poi un libro o due con una piccola di qualità, e solo allora, poi, venire ingaggiato da una major. Da un lato ovviamente non è bello scoprire un autore, farlo crescere, e poi vederselo portar via già al secondo libro; dall’altro è più facile scovare e prendere esordienti buoni in un momento in cui la grande editoria sceglie di non osare e preferisce l’‘‘usato sicuro’’.



La gabbia grafica della collana è molto precisa e caratterizzante. Risponde a una vostra scelta precisa, è una sorta di manifesto?
Sì, fin dall’inizio ho espresso a Tunué la volontà di avere qualcosa che si differenziasse in modo netto da quanto si trovava normalmente in libreria, e che rimettesse il testo al centro. Volevo qualcosa che dicesse chiaramente: ‘‘pochi fronzoli, leggiti il libro.’’ Occorreva inoltre differenziare la narrativa dalla parte principale della produzione Tunué, che è il fumetto, quindi cover troppo disegnate non avrebbero funzionato. 
La mia proposta iniziale era addirittura di fare qualcosa di simile alla Verlag die Schmiede, l’editore di Kafka e Döblin negli anni ’20 – niente immagini di copertina, solo il titolo, e colore unico per tutti i volumi. Si trattava ovviamente di una proposta troppo radicale, ma a partire da quella suggestione lo studio Tomomot di Venezia ha sviluppato lo schema grafico ‘‘a macchia di colore’’ che utilizziamo, e che ci divertiremo a ribaltare in occasione dell’uscita del nostro ottavo titolo, il succitato Mescolo tutto di Yasmin Incretolli, che per noi segna il compimento di due anni di collana, dato che fin dall’inizio abbiamo deciso di fare solo quattro titoli l’anno, per permetterci la massima possibile cura dei testi, ma anche per dare a ciascun libro sufficiente tempo per il lancio. 

Una cosa che colpisce è il numero esorbitante di recensioni che i romanzi ottengono, almeno rispetto alla media dei titoli italiani, anche dei grandi editori. Avete l’ufficio stampa più bravo del mondo? O come spieghi questo interesse? 
Sì, tutti i nostri titoli hanno fatto oltre cinquanta recensioni e alcuni intorno alle cento (e credo che Dalle rovine andrà anche oltre), con pezzi anche lunghi e entusiastici sui maggiori quotidiani, e siamo pure riusciti a mandare i nostri autori nei pochi programmi TV che parlano di libri e nelle principali radio. Sicuramente Claudia Papaleo, la nostra ufficio stampa, è un fenomeno, e anche Isabella Stefanelli e Gabriella Piscitelli, che avevano lavorato sui primi due titoli, si erano mosse molto bene. Al di là di ciò, uno dei segreti potrebbe essere la credibilità di collana, un valore che oggi molti editori, anche grandi e storici, hanno in parte perso, e su cui abbiamo invece puntato molto. Siamo riusciti, fin da subito, a mettere in chiaro un fatto: che quando esce un titolo dei Romanzi Tunué, che poi ti piaccia o non ti piaccia, troverai un certo tipo di libro, un libro che è stato scelto e lavorato in base a considerazioni di qualità letteraria, e nient’altro. Così, quando facciamo un nuovo titolo, il lettore, ma anche il giornalista, il critico, il blogger, si interessa a priori. 
C’entra poi, forse, anche il fatto che somministro sempre ai miei autori un piccolo corso accelerato di preparazione all’impatto col mondo editoriale. Gli dico di sbattersi, in poche parole, e gli do qualche indicazione su come farlo. Spesso il giovane autore, specie se esordiente, crede che una volta uscito il libro, il resto giri da sé. Come sappiamo, è vero il contrario. Oggi, poi, con un’editoria impazzita che mette fuori in continuo nuovi libri e altrettanto velocemente li toglie dagli scaffali, è essenziale che l’autore si impegni in prima fila, faccia un sacco di presentazioni, si crei dei contatti per ottenere recensioni e presentazioni ulteriori, segua e supporti il libro sui social in modo da aiutarlo a ‘‘muoversi’’ subito e garantirgli così quel minimo di arco vitale necessario ad arrivare ai lettori. 

Cosa ti sta insegnando questa esperienza come curatore? Anche in termini di errori, se ce ne sono stati. 
Per ora tutto è andato straordinariamente bene, anche se è ovvio che prima o poi qualche passo falso lo faremo, qualche libro lo sbaglieremo. Anche solo per ragioni statistiche... Da parte mia, sto imparando tantissimo. Lavorando con autori bravi, e cercando di capire come migliorare testi frutto di sensibilità anche completamente diverse dalla mia, cresco anch’io come scrittore, un’esperienza che in piccolo avevo già sperimentato con i lavori del progetto SIC, dove di fatto mi sono formato come editor, ma che qui è su un altro livello.

Questo è un periodo di grave crisi e profonda confusione per l’editoria, non solo italiana. Tu come stai vivendo questo agitato momento e come pensi che cambieranno le cose?
Dal nostro punto di vista le cose vanno bene, e credo che il forte riconoscimento che i lettori hanno dato al nostro progetto derivi anche da tutta una serie di errori fatti dalla grande editoria, che avevano portato alla perdita della fiducia di tali lettori – parlo dei lettori fortissimi, quelli da trenta o cinquanta libri l’anno, che erano quasi, si potrebbe dire, ‘‘offesi’’, dal continuo, ossessivo inseguimento da parte dell’editoria del fantomatico lettore da un libro l’anno. Esisteva un pubblico attento e con standard alti, interessato alla nuova narrativa italiana di qualità, e lo si poteva intercettare – fermo restando, beninteso, che non si possono confrontare i buoni risultati di una piccola con la situazione che affronta una major che fa decine di titoli l’anno e ha vendite minime, investimenti sul singolo libro e attese completamente diverse.
Pur essendo felice di quanto fatto dalla narrativa Tunué in questi due anni, sarebbe comunque stolto limitarsi a gongolare: la barca in realtà è una sola, se affonda affonda tutta assieme – e lo stesso vale nel caso che veleggi. 
Sicuramente, dal nostro punto di vista, la stortura principale del contesto risiede nel fatto che i grandi gruppi controllano anche i grandi distributori e le grandi catene. Un simile regime di oligopolio è un grave problema, come ben sappiamo è difficile trovare libri di editori indipendenti – o anche bei libri letterari editi da major – in una libreria di catena di medie dimensioni, per non parlare della questione delle prenotazioni o dei riordini... Più in generale, e da un punto di vista che riguarda anche i grandi gruppi, l’ecosistema è oggi danneggiato perché troppi e troppe volte hanno pescato con la dinamite. Ora si tratta di ricostruire. E la ricostruzione è una cosa che si fa sempre a piccoli passi. Non solo a livello editoriale: ricordiamoci sempre che il luogo dove si formano i lettori del futuro resta la scuola.

lunedì 2 maggio 2016

ESORDIRE NEGLI ANNI ’10 - LUCIANO FUNETTA



Scrivere l’ennesima recensione del libro di Luciano Funetta non avrebbe molto senso, dopo che il suo “Dalle rovine” è stato giudicato in maniera pressoché unanime l’esordio più significativo del 2015, citato in quasi tutte le classifiche dei romanzi dell’anno secondo critici e riviste letterarie, e accolto da una rassegna stampa impressionante (a questo link trovate oltre 60 (!!) recensioni, più o meno tutte entusiastiche). Allo stesso tempo, una rubrica che si occupa di esordi non può ignorare la maggiore rivelazione di questi ultimi anni. 
Giunti a questo punto ritengo dunque più interessante analizzare la vicenda editoriale di questo libro, più che i suoi contenuti.
In breve, la storia di “Dalle rovine” ruota attorno alla figura di uomo del quale si conosce solo il cognome, Rivera, che vive nell’immaginaria città di Fortezza, in un appartamento che condivide con alcune decine di serpenti. Rivera non solo alleva e accudisce i rettili, ma ha con loro un rapporto simbiotico che sfocia nel carnale. Grazie a questa sua caratteristica entra in contatto con il mondo del cinema erotico e da quel momento la sua vita ne viene travolta. Di più non si può dire, anche perché si tratta di uno di quei romanzi nel quale sono l’atmosfera e il tono apocalittico a rendere unico il senso della narrazione, al di là degli sviluppi della trama.    
Il libro è stato pubblicato (grazie all’intuizione del curatore Vanni Santoni) dalla piccola casa editrice Tunuè, un nome che forse suonerà nuovo alle orecchie di molti lettori. Infatti sino a due anni fa Tunuè si occupava di fumetti e da poco ha deciso di aprire una collana dedicata alla narrativa. Sorprende dunque che proprio un marchio indipendente e nuovo alla narrativa abbia scelto di pubblicare il titolo che si sta rivelando il più importante esordio degli ultimi tempi (il volume ha già avuto diverse ristampe ed è finito dritto fra i 12 finalisti al premio Strega). 
Pare che il dattiloscritto abbia impiegato quasi due anni a trovare una collocazione editoriale, subendo continui rifiuti da tutte le case editrici principali e secondarie. Il testo veniva considerato troppo anomalo, fuori dai canoni, estremo. Il che dovrebbe probabilmente far riflettere su come l’editoria stia ragionando in un momento delicato e di crisi come quello attuale: la ricerca è orientata verso titoli più convenzionali, in grado di dare maggiori rassicurazioni ai librai e ai lettori. Uscire dal seminato oggi appare più difficile, più rischioso, una scelta che oggi non ci si può permettere. Ma davvero è così? I momenti di incertezza non dovrebbero essere proprio quelli nei quali ha più senso azzardare per cercare nuove direzioni? Più filosoficamente, un editore che rifiuta un testo anomalo, non perché non ne riconosca il valore, ma perché non sa come collocarlo sul mercato, non sta rinunciando al senso stesso del suo lavoro, ossia la capacità di proporre cultura, di aprire dibattiti e nuove strade?
Questa piccola vicenda editoriale dimostra proprio il contrario: che il pubblico è più attento, più pronto ad accettare proposte azzardate di quanto lo sia la nostra editoria. 
E credo che questo debba far riflettere. Tanto. 




PS: Approfondisce il discorso, con un’analisi molto intelligente, lo scrittore Alcide Pierantozzi con un articolo apparso sul sito di Rivista Studio e che trovate qui