martedì 27 ottobre 2015

AUTOBIOGRAFIA DI UN LETTORE - FRAMMENTI (4)

In una celebre canzone degli anni '80 l'artista multimediale Laurie Anderson cantava: "Language is a virus from outer space" (il linguaggio è un virus che arriva dallo spazio). La frase non è sua: è una citazione dal romanziere William S. Burroughs, uno dei padri della beat generation. Suona come un proclama visionario e fantascientifico, ma non è del tutto folle: ci sono ancora diversi punti oscuri nelle teorie del linguaggio e forse l’ipotesi del virus alieno potrebbe avere una sua remotissima plausibilità. 
Dal mio punto d’osservazione posso affermare che la stessa teoria si può applicare alla lettura: leggere è un virus, che si propaga per contagio. 
Se provate a fare due chiacchiere con gli insegnanti, soprattutto delle scuole primarie, vi racconteranno che la pratica della lettura è drammaticamente assente in molti alunni. I pochi che sono abituati provengono da famiglie con genitori di grado culturale elevato, che hanno educato i propri figli alla lettura. Del resto è difficile immaginare che un bambino venga spontaneamente attratto dai libri se non ha mai visto i propri genitori prenderne in mano uno. 
Io so perfettamente di aver cominciato a leggere per pure ragioni imitative: vedevo i miei genitori farlo e ne ero invidioso. Non provengo da una famiglia agiata. Sia mio padre che mia madre hanno un'estrazione molto proletaria. Nessuno dei due ha proseguito gli studi dopo le scuole medie, che ai loro tempi venivano denominate "scuole di avviamento professionale", già alludendo nell'intestazione al loro ruolo di passaggio tra l’istruzione dell’obbligo e l’inserimento nel mondo del lavoro. Non poter proseguire gli studi ha rappresentato una frustrazione enorme, per mio padre in particolare. Si trattava di un'ingiustizia sociale che lui percepiva come ancora più intollerabile considerando che al paese l'unico ad aver potuto usufruire di un'educazione superiore della sua generazione era il figlio di un medico locale, il solo che ne avesse i mezzi finanziari. “Ed era il più stupido di tutti noi", non può fare a meno di ripetere ancora oggi quando tocca l’argomento.
Malgrado la scarsa istruzione (o forse proprio per questa bruciante assenza di) i miei genitori hanno da sempre mostrato una grande passione per la lettura, che hanno portato avanti secondo percorsi individuali: mia madre dedicandosi alla narrativa, mio padre alla saggistica storica. 
Ricordo con assoluta precisione quando da bambino sedevo accanto a loro sul divano sfogliando il mio giornaletto a fumetti mentre loro erano immersi nella lettura di qualche volume. Capivo che stavamo compiendo lo stesso gesto, ma che la differenza stava nell’oggetto: io ancora non ero pronto per passare a quei tomi fitti di pagine e senza figura alcuna. Anelavo il momento in cui sarei passato al loro livello. 
A quel punto il virus della lettura mi aveva già contagiato. Mi era bastato avere dei lettori per casa.

Ho avuto conferma che la lettura fosse un virus diversi anni dopo, quando sono stato assunto nel mio primo posto di lavoro, come assistente copywriter in una grossa agenzia pubblicitaria milanese.
Ogni giorno arrivavo in ufficio con un libro sottobraccio. E i volumi variavano continuamente, perché sono sempre stato un lettore vorace e veloce. La sola presenza di un testo in mano era sufficiente a creare una serie di reazioni concrete. Quasi immancabilmente in ascensore i colleghi, notando il volume in mano, mi chiedevano che libro fosse, di cosa parlasse, se ne consigliassi la lettura anche a loro. Mi trovavo già in un ambiente creativo e stimolante, i miei colleghi erano persone attente alla cultura, alla musica, al cinema (non poteva essere altrimenti, lavorando nell’ambito della comunicazione), anche loro erano lettori, ma forse non altrettanto entusiasti: vedere la velocità con cui divoravo un romanzo dopo l’altro ha stimolato il loro appetito.
La mia collega di scrivania me l'ha proprio dichiarato a chiare lettere: - Vedere tutti i libri che leggi mi ha fatto invidia -. Era una lettrice in latenza: le ho fatto tornare la passione per la lettura solo esibendo dei volumi. 
A volte si veniva a creare una sorta di spontaneo club del libro: più persone si trovavano a leggere lo stesso romanzo in contemporanea quindi ci capitava di commentarlo alla macchinetta del caffè o in pausa pranzo. La possibilità di condividere pareri, di creare discussioni rendeva la lettura ancora più divertente. 
L’aspetto interessante della faccenda è che non ho mai avuto intenzione di fare proselitismo: non volevo convertire nessuno, non ero mai io a proporre. Ero portatore del virus della lettura: si propagava per la mia presenza.

Nel corso del tempo ho imparato a riconoscere questa costante: la gente mi sa (e mi vede) legato al mondo dei libri, quindi mi prende a riferimento. Mi chiede consigli per le proprie letture, per i libri da regalare ai compleanni, per i titoli da portarsi in vacanza. Può succedermi nei posti di lavoro, con i nuovi gruppi di amici o (più di recente) sui social. Il mio entusiasmo per la lettura travalica e si propaga tutto intorno, molto spesso senza che io ne sia consapevole.

Sono convinto che ciascuno di noi sia un formidabile strumento di diffusione. È una vita che ne ho conferma. 


lunedì 12 ottobre 2015

AUTOBIOGRAFIA DI UN LETTORE - FRAMMENTI (3)

Per me leggere a volte coincide con lavorare. Sono (e sono stato) consulente di diverse case editrici, quasi sempre in qualità di talent-scout: segnalo i romanzi inediti di autori esordienti che colpiscono la mia attenzione. In genere si tratta di giovani scrittori coi quali entro in contatto per il lavoro che porto avanti autonomamente per la mia rivista ‘tina.
La modalità con la quale leggo gli inediti è molto diversa da quella che applico per le letture personali. Con un esordiente divento un professionista: verifico che l’attacco del romanzo sia convincente, che non ci siano errori di ortografia o grammatica, che i dialoghi siano realistici, che le descrizioni siano funzionali al testo, che la prosa sia fluida, e così via. Con un romanzo pubblicato invece mi abbandono alla lettura perché sono consapevole che qualcun altro abbia già fatto questo lavoro al posto mio. Ci sono già state discussioni, revisioni, correzioni di bozze. Il libro è pronto per essere consumato. C’è una notevole differenza. 
Spesso la gente non lo capisce. A volte mi consegnano un dattiloscritto dicendo cose tipo: “Tanto è breve, lo leggi in tre ore”, equiparando di fatto il ritmo di lettura di un libro qualsiasi al loro inedito, mentre per me non è, e non potrà mai essere, lo stesso. Con un’ingenuità sconfortante mettono sullo stesso piano una lettura di piacere con una di valutazione. In verità penso sia più sensato paragonare un inedito a un testo d’esame: mentre lo leggo devo segnarmi degli appunti, segnalare gli eventuali errori, formarmi un giudizio, motivarlo, più o meno come quando all’università si stava settimane su un testo, rileggendolo, sottolineandolo, per poi essere pronti al momento dell’interrogazione. 
Va anche detto che spesso non arrivo neppure a questo stadio impegnativo del lavoro. Ormai ho sviluppato una sorta di sensibilità istintiva: mi bastano poche righe per sapere se il testo mi convince o meno. Talvolta la repulsione è immediata: refusi nell’incipit, assenza totale di stile, banalità di contenuti, un tono forzatamente letterario... sono tutti elementi che accendono un immediato campanello d’allarme. Capisco che non è di qualità sufficiente e passo oltre. Il che avviene almeno nella metà dei casi del materiale che ricevo. (Il livello standard è bassissimo, chi non fa questo lavoro non ci crede mai, ma è tristemente vero).
Il caso peggiore, che purtroppo non è raro, è quando mi trovo a che fare con testi scritti in maniera corretta, magari con un buon attacco, una lingua scorrevole, un’idea di storia, ma che nel corso della lettura si rivelano di scarso interesse. Compitini ben svolti che non dicono niente. In quel caso è molto più difficile sia rigettare il testo, che motivarne il rifiuto. Capisci l’impegno e la serietà che stanno dietro il lavoro, ma purtroppo non sono sufficienti. Dover dire a qualcuno che non ha talento non è semplice, ma ogni tanto va fatto. Quando qualcuno mi chiede “Dimmi sinceramente cosa ne pensi” non posso fare a meno di prestare fede all’avverbio contenuto nella richiesta. Mi sembra la cosa più onesta da fare. 

Resta l’eccezione miracolosa del dattiloscritto che supera tutte queste fasi e riesce a conquistarmi. In quel caso il segnale più evidente della sua forza sta proprio nella modalità di lettura che applico: quando mi rendo conto che ho voglia di proseguire quel testo anche la sera prima di dormire, o di portarmelo dietro in metro la mattina, o di riprenderlo durante una pausa, in sintesi quando capisco che la barriera netta fra la lettura di piacere e quella professionale ha assunto contorni più fragili e che quello che ho fra le mani (che necessita  interventi di editing, revisioni, limature) è già comunque un libro vero.


venerdì 9 ottobre 2015

AUTOBIOGRAFIA DI UN LETTORE - FRAMMENTI (2)

Mi capita quasi sempre quando vado ospite a casa di qualcuno che ha molti libri di invidiare la sua biblioteca. In un primo momento provo una sensazione di serenità (l’essere circondato da tanti libri mi rassicura come il valium), poi però scatta la tentazione di spulciare fra i volumi, prenderne in mano qualcuno, leggere righe a caso. Mi sembra che le case degli altri siano piene di libri che dovrei avere. Non importa quanti ne conservi io a casa, e non faccio alcuna comparazione diretta (la tua biblioteca è meglio della mia), solo che vedere sugli scaffali dei libri acquistati (quindi filtrati dalla sensibilità del proprietario, che quei volumi li ha scelti, comprati, portati a casa e letti) improvvisamente attribuisce a quei testi un nuovo valore. Mi sembrano importanti, necessari. Perché li ho ignorati finora? Mi scopro fare liste mentali per acquisti futuri, a volte arrivo a segnarmeli su un quadernino o sul cellulare. Mi dico, domani prima di ripartire vado in libreria e li compro. 
Talvolta lo faccio sul serio, compro quei libri che ho solo sfogliato la sera prima. In altri casi la sensazione si rivela legata al momento: il giorno seguente, lasciata la casa, salutati gli amici, tornato alla mia vita regolare, ho perso parte di quell’impeto. Quei libri non mi sembrano più così necessari, prevale la parte razionale di me, che mi ricorda le decine di volumi che stazionano sui miei scaffali in attesa di essere letti, senza che sia il caso di aggiungerne altri.  

Il punto non è questo. Non importa in fondo se quei libri li compro o no. La cosa fondamentale mi sembra invece la relazione che scaturisce: entrando in contatto con quelle biblioteche è come se i libri mi parlassero e io sia chiamato comunque a rispondere. Ci siamo parlati. 


mercoledì 7 ottobre 2015

LA PAROLA AI LIBRAI: 12 - BEATRICE DORIGO (TORINO)



Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
Una buona dose di incoscienza senza dubbio! Credo fosse il mio sogno di bambina, alimentato nel corso degli anni da una famigerata formazione umanistica e il desiderio di passare la mia vita fra i libri, che sono forse l’unica costante che ho sempre avuto.

Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
Da un lato è più facile in tanti risvolti pratici: grazie a Google puoi identificare i libri che ti vengono richiesti da clienti che hanno pochissime informazioni (tipo: ne hanno parlato a Radio Tre la settimana scorsa, parla di un bambino, l’autore è uno psichiatra, forse ha la copertina blu), i programmi gestionali dei magazzini ti consentono di vedere in tempo reale e con un margine d’errore quasi nullo la giacenza del libro, grazie ai social hai più opportunità di dialogo con i clienti. Dall’altra, devi essere sempre più brava ad entrare realmente in contatto con le persone, a spingerle a fidarsi di te e della tua competenza. Devi dare ai lettori un motivo per scegliere te e la tua libreria anziché la grande distribuzione. Devi aggiornarti molto, studiare, organizzare eventi interessanti: comunicare bene chi sei, che cosa fai, e per quali motivi io, lettore, devo uscire di casa e venire a trovare proprio te.

So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
Buoni lettori, sia maschi che femmine, mediamente tra i 30 e i 60 anni, che sanno cosa vogliono ma sono disposti ad ascoltare i tuoi consigli, e che curiosano volentieri fra le novità.

Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
Potermi avviluppare nella coperta e leggere anziché fare le pulizie di casa perché “È per lavoro”! Ma anche il momento magico in cui qualcuno torna in negozio e ti dice che il libro che hai consigliato era bellissimo: mettersi a parlare dei personaggi e delle situazioni come se fossero vecchi amici in comune. 

Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
Chi si lamenta della chiusura delle librerie indipendenti con toni da “O tempora, o mores!”, ma poi non ci ha mai comprato un libro. E anche chi fa acquisti solo online e poi si indigna se le librerie non sono disponibili per fare presentazioni dei libri che ha scritto. 

La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente?
Un bastone per le tende. L’ho guardato e gli ho detto “Forse ha sbagliato negozio, questa è una libreria”, e lui, impassibile, mi ha risposto “Ah, e quindi non ce l’avete?”.

Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
Aver consigliato un libro per una ragazzina che non leggeva niente la cui mamma, lettrice famelica, era disperata. Dopo quel consiglio, la ragazzina ha cominciato a venire in libreria quasi una volta alla settimana, si è appassionata ai libri, ha cambiato approccio verso la lettura. Mi piace pensare di averla aiutata, anche se in maniera indiretta, a “sbloccare” una grande passione.

Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Le librerie indipendenti di solito hanno un legame molto forte col territorio, e la Gang del Pensiero non fa eccezione. Credo che le librerie siano importanti perché danno al quartiere e alla città un legame molto pratico, molto stretto con la cultura, che, se rimane idea astratta, non serve a nessuno. È uno spazio in cui i genitori e i figli scelgono insieme le storie da leggere, in cui puoi incontrare di persona un autore che ti ha tenuto compagnia con i suoi personaggi, in cui puoi semplicemente rilassarti e perderti per dieci minuti in altri mondi. Questa primavera abbiamo proposto ai nostri clienti di venire a leggere in vetrina per mezz’ora: e tanti di loro ci hanno ringraziati, perché hanno colto l’occasione per rubare del tempo alle incombenze quotidiane e ritagliarsi uno spazio solo per sé. Questo per me è un fatto emblematico di quello che la libreria dovrebbe rappresentare nel territorio. E poi le librerie sono belle: anche questo è qualcosa che si riflette in positivo sulla città!

Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
La libreria indipendente è più personale, assomiglia a chi la crea. Penso che ci siano ottimi librai anche all’interno delle librerie di catena, ma spesso non godono di un ampio margine d’azione. Nella vetrina della libreria indipendente puoi mettere chi vuoi, puoi dare spazio ai piccoli, scegliere titolo per titolo, costruirti un’identità precisa. Puoi scegliere di premiare un libro un po’ sfigato ma che secondo te merita. Fai già una scrematura, anche fra i titoloni di punta che “devi” avere. E di solito, anche per questioni numeriche, riconosci i tuoi clienti, ti ricordi i loro gusti, chiedi notizie dei nipoti, ti prendi il tempo per farci quattro chiacchiere, perché ognuno di loro è – davvero – importante. Credo che le librerie indipendenti siano adatte alle persone curiose, a quelle che amano il contatto umano, e che vogliono scegliere un libraio un po’ come scelgono un amico. Poi secondo me chi ama leggere compra libri dappertutto, perché non sa resistere.

Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Dal 2008 a oggi ho venduto un sacco di copie de “Il Vangelo Secondo Biff”, ma non so se Christopher Moore l’ha mai saputo!

Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
Per me è il lavoro più bello del mondo, e forse anche l’unico che so fare davvero bene (spero, in realtà me lo sto dicendo da sola, quindi non so se vale). Non so se è destino che le librerie prima o poi scompaiano, ma spero di no, e più da lettrice che da libraia. È che mi piacciono le persone. E forse i libri sono una scusa per arrivare al cuore delle persone.


LaGang Del Pensiero 
Corso B. Telesio 99

Torino

martedì 6 ottobre 2015

LA PAROLA AI LIBRAI: 11 - EMILIANO LONGOBARDI (SASSARI)


Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
Ci lavoro ininterrottamente dal 1991, ma in realtà la mia libreria è stata aperta da altri e io ho iniziato a lavorarci come commesso stagionale durante lo scolastico, l'anno stesso in cui mi sono diplomato. Ci lavorava come dipendente anche mia mamma e due anni dopo la prese in gestione mio padre. Prima che mio padre morisse la gestione è passata a me e ho acquistato definitivamente l'attività nel 2005. 

Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
In maniera radicale. Dieci anni fa lo spauracchio erano le grandi superfici e l'incapacità/miopia dei librai riguardo le strategie da adottare per far fronte alle criticità del settore, oltre alla colpevole refrattarietà a ragionare in termini di categoria. Oggi sono le grandi superfici e i grandi store online, oltre al forse tardivo tentativo di ragionare in termini di categoria per affrontare le criticità del settore. Per fortuna, in Sardegna e a Sassari in particolare, abbiamo cominciato a muoverci un po' prima e gli sforzi - per quanto ancora un po' sproporzionati - stanno cominciando a dare qualche buono e ottimo risultato. Mi riferisco in particolare alla collaborazione fattiva che si è instaurata fra quasi tutti i colleghi della mia città, alla volontà concreta di operare su scala regionale con LiSa - Librai Sardi in rete, la prima rete culturale a livello nazionale, ma anche alla positiva esperienza di collaborazione con Lìberos, che riunisce tutti gli attori della filiera del libro (e non solo) e a tutte le forme più o meno strutturate di condivisione di un percorso.

So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
L'unica caratteristica standard è l'età mediamente molto giovane. E questo non per smarcarmi dall'incombenza di rispondere, ma perché un esercizio aperto al pubblico - di fatto - non seleziona (né dovrebbe) la propria clientela. Mi piacerebbe che entrasse in libreria solo un certo tipo di cliente? A volte sì, ma poi mi rendo conto che è una cazzata che nasconde goffamente il desiderio inconscio e scemo di lavorare il meno possibile: clienti che sanno quello che vogliono o che accettano qualsiasi consiglio, senza problemi economici, disposti ad aspettare senza problemi se il libro è da ordinare e che non acquistano su Amazon. 

Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
Anni fa veniva in libreria un ragazzino ai primi anni delle superiori. Com'era giusto per la sua età, leggeva fumetti parecchio disimpegnati, molti dei quali obiettivamente di cacca. Col tempo, ho provato a suggerirgli dei fumetti in alternativa senza voler stravolgere i suoi gusti, ma solo accompagnarli. Piano piano ho poi provato a proporgli qualche eccezione anche drastica. A volte i miei suggerimenti andavano a buon fine, altre volte - per fortuna pochissime - no. Nel volgere di un paio d'anni le sue letture si sono - con suo piacere - modificate enormemente e per me già quella è stata una bella soddisfazione, ma quando qualche anno dopo che ci eravamo persi di vista - nel frattempo si era trasferito a studiare a Milano - è tornato a farmi visita e mi ha confessato "tu mi hai cambiato la vita"... beh, ti lascio immaginare lo smarrimento e scombussolamento emotivo che può avermi regalato una consapevolezza del genere. Immagino che questo possa contribuire a rispondere alla tua domanda :)

Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
L'ottusità, la non disponibilità ad ascoltare in combo con la propensione a sovrastare l'altro. E no, non mi sto riferendo ad atteggiamenti genericamente umani, ma alla loro declinazione nel mio ambiente lavorativo e che possono animare tanto chi ho davanti dall'altra parte del bancone quanto chi - come me - fa parte della filiera del libro, siano essi rappresentanti, distributori, editori o - in alcuni casi - anche autori.

La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente?
In quasi venticinque anni dietro al bancone le richieste assurde riempirebbero tomi su tomi. Evito per principio di sottolineare strafalcioni perché non amo l'ironia sull'ignoranza, ma - riallacciandomi in parte alla domanda precedente - trovo letteralmente assurdo dover risolvere problemi che non ho causato io, mi impermalosisce e incarognisce non poco, soprattutto quando dall'altra parte riscontro il totale disinteresse a comprendere la questione. Mi riferisco in particolare a quando un insegnante, pur non potendolo fare, a settembre cambia l'adozione del testo scolastico e - di fatto - mette cliente e libraio uno contro l'altro, quando invece il danno - oltre che un illecito - l'ha commesso lui. 

Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
Il primo giorno in libreria, il primo giorno in cui mi sono sentito un libraio (dopo essermi sentito per lungo tempo solo uno che lavorava in libreria), il giorno della prima presentazione, ogni giorno in cui qualcuno torna perché si fida di ciò che consiglio - siano romanzi o fumetti - a prescindere dal fatto che quel romanzo o fumetto gli sia piaciuto. E tanti altri che tengo fuori soprattutto per pudore.

Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Sì. Perché sono convinto che - pur commettendo ogni giorno errori in discreta quantità - so fare il mio lavoro e il mio lavoro - per come lo intendo io - serve non solo a sostentarmi, ma anche a migliorare il mio quartiere e la mia città.

Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
Libreria indipendente e libreria di catena sono categorie commerciali, ma ciò che determina l'anima di quelle categoria è chi ci lavora, il libraio. Il libraio che sa fare il proprio mestiere dà in più a prescindere, non solo a se stesso, non solo alla propria attività, ma anche al contesto sociale e culturale in cui vive e si muove.

Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Successo non lo so, ma esistenza di buoni libri e buona diffusione degli stessi sì. Più di uno scrittore mi manda in manoscritto i propri lavori ed è sempre una straordinaria soddisfazione riscontrare l'utilità che possono avere le mie osservazioni e i miei suggerimenti, a prescindere dal fatto che siano recepiti. Così come è una grande soddisfazione individuare le tante vie che un libro può imboccare una volta che viene suggerito e consigliato a un cliente, avere la riprova che il passaparola continua a essere il modo più bello di far vivere un libro: una delle esperienze più solitarie e individuali che una persona possa vivere, la lettura, si fa socialità, rete, esperienza condivisa.

Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
Fare il libraio è ciò che ho scoperto essere ciò che voglio fare davvero insieme a scrivere fumetti, è ciò che ho imparato a fare e che vorrei continuare a imparare a fare soprattutto in un momento in cui pare che possa essere inutile farlo.


Libreria Azuni
Viale Mancini, 15 

Sassari

LA PAROLA AI LIBRAI: 10 - ELISA LUGLI (MODENA)


Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
La passione in primis e il desiderio di creare un luogo personalizzato, con libri in italiano ma anche in lingua, con tavolini per sedersi e rilassarsi e dove ci si possa confrontare, parlare, imparare le lingue e bersi un tè. 

Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
Essendo libraia da un anno e mezzo, non ho termini di paragone, ma confrontandomi con i colleghi mi rendo sempre più conto di come sia cambiato questo lavoro oggi. Sempre meno “vita” del libro sullo scaffale, regole di distribuzione più rigide, e-book che hanno rubato una fetta di mercato al cartaceo, insomma più fatica per ottenere i risultati.

So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti? 
Motivato e curioso.

Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
“ Il libro che mi hai consigliato mi è piaciuto tantissimo”, “ Al mio bimbo fa impazzire  il libro che ho preso qui!”, “Mi hanno regalato un buono da spendere qui ma ho paura di sforare!”

Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
Quando davanti alla vetrina i bimbi vedono i libri e chiedono “Possiamo entrare a vedere i libri?” e i genitori rispondono, seccati: “No, abbiamo fretta!” oppure “No, hai già i giochi a casa”. Ecco, come tarpare le ali a un lettore in erba! 

La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente?
“Se le ordino un e-book, poi quando arriva mi può fare il pacco regalo?”

Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
Uno è impossibile. Ne ho tanti: il giorno dell'inaugurazione, il primo corso che abbiamo attivato con il massimo di iscritti, i complimenti degli autori che sono venuti a presentare i loro libri, ecc.

Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Per le motivazioni dette nella risposta alla prima domanda. A Modena un luogo che non sia solo di “vendita” di libri ma anche di apprendimento delle lingue e che offre un ambiente in cui stare seduti e rilassarsi mancava.

Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
Il consiglio di lettura, le chiacchiere e il confronto con i clienti e i lettori, la disponibilità ad andare incontro alle esigenze dei clienti, insomma la stessa cosa che differenzia la “bottega” da megastore!

Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Certo! I libri che mi sono piaciuti di più sono i primi che consiglio ai miei clienti!

Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
L'entusiasmo, la passione per il mio lavoro, la voglia di far crescere e migliorare sempre di più la mia libreria.

Emily Bookshop
Via Fonte d'Abisso, 9/11 
Modena

lunedì 5 ottobre 2015

CONTINUARE A RICORDARE

I semi lasciati attraverso il progetto di “Mi ricordo” continuano a germinare nei modi più inaspettati. Il blogger Andrea Cardoni ha da poco dato vita a una sua personale elaborazione del meccanismo, attraverso una serie di interviste video fatte per strada, nella quali chiede ai passanti di citare il primo ricordo che viene loro in mente. Le risposte, spesso elaborate e dal contenuto emotivo, vengono raccolte e pubblicate accanto a citazioni tratti dai tre volumi di “Mi ricordo” (quello -originale- di Joe Brainard, quello francese di Georges Perec e quello italiano, il mio) su diverse piattaforme digitali: Facebook, Tumblr e Medium.
Un lavoro fatto con attenzione, come dimostrano la qualità dei contributi video e la cura nella grafica, che merita certamente di essere incoraggiato e seguito. 


venerdì 2 ottobre 2015

LA PAROLA AI LIBRAI: 9 - LUCA ALBERTINI & RAFFAELE PANCALDI (BOLOGNA)


Cosa vi ha spinto ad aprire una libreria?
Precisiamo subito che la nostra non è una libreria generalista, ma specializzata in tematica LGBT(QI...) e la molla che ci ha spinto è stata la mancanza di una libreria di questo 'genere' nella nostra città (Bologna), adesso rimasta l’unica in Italia

Come pensate sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
Con l’avvento del commercio online di libri, il mestiere del libraio è diventato come quello di uno scalatore, sempre più in salita… Occorre sempre più fidelizzare il cliente e crediamo che questa sia la caratteristica delle librerie indipendenti

So che è impossibile, ma se doveste identificare un vostro cliente standard più o meno come lo descrivereste?
Forte lettore di 30/40enne oppure signora chic

Qual è la soddisfazione maggiore che vi da il tuo lavoro?
1) Quando ti dicono: “solo voi potevate procurarmi questo libro”
2) Su richiesta improbabile del cliente, riuscire ad identificare un libro anche solo dalla descrizione della copertina

Cos’è che vi fa davvero cascare le braccia?
1) I (fortunatamente pochi) clienti che fotografano il libro con Smartphone per poi acquistarlo altrove

 2) I (purtroppo molti) clienti che non frequentano la nostra libreria in quanto troppo connotata

 3) In quanto libreria internazionale: le dogane italiane (per gli innumerevoli cavilli burocratici per le importazioni di materiale di provenienza extra-C.E.) 

La cosa più assurda che vi ha chiesto un cliente?
Una cliente ci chiede periodicamente le novità uscite della casa ed. Malipiero che ha chiuso i battenti da almeno 40 anni.

Il ricordo più bello della vostra esperienza da librai?
Le visite non attese di tanti autori italiani e stranieri, come ad esempio quella di Angelo Pezzana grande libraio e attivista dei diritti LGBT

Pensi che la presenza della vostra libreria apporti un miglioramento al vostro quartiere/ alla tua città? Perché?
La presenza di una libreria che si occupa di tematiche di genere non può che far bene alla nostra città e non solo, inoltre in ambito local siamo diventati la libreria di varia di riferimento del quartiere.

Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
Il rapporto di grande affinità e fiducia che si instaura con i clienti.

Vi capita di contribuire, nel vostro piccolo, al successo di qualche libro?
Si, certo, un libro quando ci piace diventa un best-seller della libreria in quanto da noi consigliato vivamente a tutti.

Cosa vi spinge ad andare avanti in questa attività?
La speranza che i risparmi non finiscano in attesa che la libreria riesca a mantenersi autonomamente.

IGOR Libreria & Libreria Commissionaria Internazionale
Via San Petronio Vecchio 3 

Bologna

giovedì 1 ottobre 2015

AUTOBIOGRAFIA DI UN LETTORE - FRAMMENTI (1)

Di recente ho installato una piccola libreria accanto al letto. Quella stessa sera, prima di coricarmi ho osservato per qualche attimo i volumi esposti sugli scaffali e ho provato una sensazione profonda di gioia e benessere. Mi sono chiesto perché, dal momento che ho comunque la casa piena di volumi, e ho capito solo in quel momento che era la prima volta nella mia vita che avevo una libreria nel luogo dove dormivo, in una collocazione talmente ravvicinata che era sufficiente allungare una mano per raggiungere un testo e cominciare a leggerlo.  
Naturalmente non era la prima volta che avevo dei libri accanto al letto (i miei comodini sono sempre stati sommersi da pile di romanzi in corso - o in attesa - di lettura), ma una libreria vera e propria non c’era mai stata. Ne avevo certamente una da bambino nella cameretta che condividevo con mia sorella, ma all’epoca ospitava un insieme confuso di testi scolastici, fumetti, letture per ragazzi, giornalini, era più che altro uno spazio dove appoggiare cose. Nei bilocali che ho abitato da adulto, per caso o per disposizioni precedenti, le stanze da letto ospitavano gli armadi dei vestiti, le librerie stavano sempre nell’altra stanza, quella col televisore, il tavolo e un divanetto.  

Avere ora i libri lì accanto, ordinati, in attesa di lettura, mi ha procurato una sensazione di armonia, come una scoperta tardiva, una conquista della maturità. Che questa collocazione si sarebbe rivelata benefica per lo spirito io non l’avevo immaginato, l’ho capito solo quando, per caso, l’ho sperimentata.