giovedì 16 marzo 2017

LIBRI DA LEGGERE 2 - KHEMIRI

Jonas Hassen Khemiri
TUTTO QUELLO CHE NON RICORDO
(Traduzione di Alessandro Bassini)
Iperborea, 17,50 euro


Il protagonista di questo libro è il suo più grande assente: si chiama Samuel ed è morto in un incidente stradale. L’autore, che l’aveva incontrato solo una volta per un pochi minuti, decide però di voler ricostruire il suo ultimo giorno di vita e comincia a intervistare tutti quelli che l’hanno conosciuto: il migliore amico, l’ex-ragazza, il vicino di casa, la madre, l’amica trasferita all’estero, la nonna... Ciascuno offre un ritratto soggettivo del ragazzo e non potrebbe essere altrimenti. Samuel ci appare così a volte un entusiasta, altre un ingenuo, altre un idealista, per alcuni era generoso, per altri un tirchio, le testimonianze di uno contraddicono quelle di altri, gli stessi eventi assumono significati diversi da chi li racconta. 
C’è una domanda alla quale lo scrittore cerca di dare una risposta per tutto il libro: Samuel si è suicidato andando a sbattere a tutta velocità contro un albero o è uscito di strada per un tragico errore?
Questo dubbio ne sottintende un altro per il lettore: perché l’autore sta cercando di ricostruire la personalità di uno sconosciuto? Dove vuole arrivare?
Khemiri ha condensato in questo libro le sue diverse abilità (in Svezia, sua terra d’origine, è noto sia come romanziere che come drammaturgo): la struttura polifonica sembra presa in prestito dal teatro, il respiro della narrazione è quello di un romanzo. Ma l’autore mischia anche altri piani: l’auto-fiction, l’indagine giornalistica e la denuncia sociale (sia Samuel che la sua ex, Laide, lavorano con i migranti e si occupano di assistenza a casi difficili, loro stessi sono immigrati di seconda generazione e subiscono in prima persona forme di pregiudizio e razzismo). 
La struttura del libro è atipica e può disorientare all’inizio: in ogni capitolo si alternano due voci e non è mai esplicitato a chi appartengano, ma basta addentrarsi nel volume per capire che si tratta in realtà di uno schema ripetuto: la prima voce varia da capitolo a capitolo e appartiene ogni volta a un personaggio diverso (il vicino, l’amica di Berlino, la madre...), la seconda voce rimane costante per tutto il romanzo ed è quella di Vandad, il miglior amico di Samuel, vera traccia portante di questa staffetta narrativa. 
“Tutto quello che non ricordo” è una lettura appassionante, il tentativo di dare un senso alla vita di un ragazzo qualunque attraverso la voce di chi l’ha frequentato e amato. 
La scrittrice Joyce Carrol Oates, che non è esattamente di gusti facili, l’ha definito uno dei suoi libri preferiti dell’anno.

Sul sito della casa editrice Iperborea è possibile scaricare gratuitamente il primo capitolo per farsene un’idea (trovate il link qui). A me sono bastate queste pagine per desiderare subito di leggere il resto. 

lunedì 6 marzo 2017

LIBRI DA LEGGERE 1 - CIABATTI

Teresa Ciabatti
LA PIU’ AMATA
Mondadori 
Pagg. 218, 18 euro



Teresa Ciabatti è irrisolta, anaffettiva, inadeguata, sciatta, grassa, fallita. Lo dice lei stessa in “La più amata”, romanzo autobiografico strutturato come una suite in tre movimenti e un conciso finale, dal quale tutti i protagonisti, e in primo luogo l’autrice, escono a pezzi. 
Di questo libro si è già detto molto, subito. A una settimana dalla pubblicazione tutti i principali quotidiani ne hanno parlato in termini più che elogiativi e ancora a lungo se ne parlerà, perché si fanno insistenti le voci di una prossima candidatura allo Strega. In questo momento forse c’è ancora spazio per fare alcune considerazioni personali e quindi le  condivido prima che arrivi la valanga di tutte le altre.
La storia della famiglia Ciabatti è raccontata in tre fasi: la prima segue l’ascesa (inarrestabile) del padre Lorenzo (famiglia benestante, svariate proprietà immobiliari, studi negli Stati Uniti, nomina immediata al ruolo di primario a Orbetello). Per gli abitanti della zona il Professore è una figura mitologica che incute timore e rispetto. E la villa miliardaria con piscina che fa costruire ne è l’emblema più radioso.  
La seconda parte narra l’infanzia di Teresa trascorsa nel lusso assoluto, fino al confronto con le coetanee a scuola, quando da ragazzina si accorge che l’avvenenza fisica di alcune compagne è una forma di sicurezza e successo che a lei non è stata fornita. Ecco allora che sfoderare il proprio status sociale, la propria ricchezza, è il solo modo per riconquistare il ruolo di centralità che sente spettarle di diritto.
La terza parte è dedicata alla madre Francesca e al tracollo sociale che deriva dalla sua decisione di separarsi dal marito. 
“La più amata” è la storia di un’ossessione, quella di una figlia che ha perduto tutto (i genitori, la ricchezza, la sicurezza, l’autostima) e che vaga disperata fra le stanze del suo passato alla ricerca di una spiegazione: davvero il padre (fascista, faccendiere, amico di Licio Gelli, amante di molte donne o forse frocio) era stato travolto dai debiti e aveva dovuto vendere tutto? Davvero i conti all’estero sono stati prosciugati? O era vendicativo al punto da far sparire tutto pur di non lasciarlo alla moglie che aveva avuto l’ardire di abbandonarlo? E quindi far ricadere la colpa di lei su quella dei suoi stessi figli? O forse ancora ha voluto proteggerli dal rischio di chissà quali ritorsioni?
“La più amata” è una favola al contrario, è la trama di un arazzo vista dal retro: lo splendore del disegno è scomparso, restano fili e trame che rivelano solo il complesso intreccio. La bella vita era una promessa radiosa, la realtà ordinaria è uno schiaffo dal quale l’autrice non ha saputo riprendersi. 
Dico l’autrice per convenzione.
Quello che le recensioni che ho letto sinora hanno trascurato è che questo romanzo è una sorta di precipitato del discorso che Teresa Ciabatti da anni sta portando avanti sulla rete, attraverso la sua pagina Facebook e il blog “Persona cattiva” tenuto per diversi mesi sul sito di iodonna.it. La riflessioni sulla sua infanzia perduta, sulla sfacciata superiorità fisica mostrata dalle compagne ai tempi di scuola, sull’incapacità di accudire la propria figlia e la necessità di affidarla alle cure della tata moldava sono ben note a coloro che la seguono on line. Tempo fa, con un tono tra il surreale e l’accorato, la Ciabatti invitava gli amici virtuali a fare una colletta per raccogliere i 3 milioni di euro necessari per ricompare la villa della sua infanzia (“Possiamo farcela! Forza ragazzi!”). In una vertigine auto-fictional che non mi sembra abbia equivalenti nel nostro paese, la Teresa Ciabatti in rete era già (ed è ancora) la Teresa Ciabatti protagonista di questo libro, una figura letteraria ipertrofica che trasforma ogni aspetto della sua vita (l’assenza temporanea della tata, le difficoltà con il gestore telefonico, i rapporti a scuola con gli altri genitori) in momenti epici, fonti d’indignazione e di autoesaltazione. (Nel post di rientro dalle vacanze estive scriveva: “Sono tornata. Applausi”). 
In “La più amata” ritroviamo questa stessa figura che irride i compagni di classe  (“Mai mi era capitato di vedere tanti poveri tutti insieme. Questa è una scuola di poveri”), che si lamenta disperata per l’impossibilità di ottenere quello che desidera (“Una liposuzione, via il grasso, mi addormento cicciona, e mi risveglio magra e invece non si può, perché, dimmi perché”), che pensa a se stessa come autrice in termini fallimentari (“Riscopritemi postuma”). 

Non solo i confini tra autobiografia e fiction sono sfumati, ma anche tra materiali narrativi ed extra-narrativi, fra ciò che è dentro questo libro e ciò che è stato seminato fuori. Ed è questa intuizione meta-letteraria che mi fa pensare due cose: che Teresa Ciabatti in realtà non esista e che sia bravissima.