mercoledì 25 settembre 2013

LE PAROLE PER DIRLO

Minima & moralia, il blog di minimum fax, oggi ospita un mio intervento (grazie per l'ospitalità).
Lo riporto anche qui di seguito:


I miei genitori non sanno più nominare i programmi che vedono. Sanno descriverli: – Quello della ragazza che dipinge i mobili – (“Paint your life”), – La serie ambientata durante il Proibizionismo – (“Boardwalk Empire”), – Quella della cupola – (“Under the dome”). I miei genitori sono due pensionati che non sanno l’inglese, ma vivono in Italia e guardano i programmi che la tv italiana trasmette. La verità è che un numero elevatissimo di trasmissioni ormai conserva il titolo originale americano. Ancora più assurdamente, il titolo in inglese è usato anche per programmi originali di produzione nazionale. In alcuni casi i miei non riescono neppure a pronunciarlo (“Extreme makeover home edition”), in tutti gli altri non capiscono perché tenere a mente un’accozzaglia di parole straniere per indicare cosa stanno guardando.
La domanda che pongo è: sono loro ad avere torto?
Dovrebbe far riflettere che l’abitudine diffusissima e forse inarrestabile di lasciare i titoli originali si colloca in un contesto nel quale i medesimi programmi sono interamente doppiati. A parte il nome dunque, tutto il resto è in rigoroso italiano.
Basta scorrere i palinsesti, in particolare quelli dei canali digitali o satellitari dedicati ai telefilm, per rendersene conto. Viene da chiedersi però fino a che punto questa uniformità abbia un senso.
Perché “The bridge” non si chiama “Il ponte”? Perché “The following” non è “La setta”? Perché “Homeland” non è “Patria”? Perché “The good wife” non è “La brava moglie”? Si vuole a tutti i costi mantenere l’originale? Bene. Per quale motivo allora non c’è un semplice sottotitolo sotto con la traduzione letterale? Dalla sigla in poi, tutto il resto verrà tradotto. Perché proprio il titolo, elemento fondante di una serie, no?
La conservazione dell’originale comporta la perdita di diverse sfumature di significato. Gli studenti di medicina italiani studiano sul testo classico “L’anatomia del Grey”. Perché non tenerne conto quando si ha una serie che come “Grey’s anatomy”, che proprio da quel testo prende lo spunto?
Torniamo a casa mia. Mia madre e le sue amiche non sono in grado di pronunciare “Desperate housewifes”, ma fra di loro ne parlano, sensatamente, chiamandole “le casalinghe disperate”. Nel caso specifico nel nostro paese si è giunti al paradosso. Non solo è stato scelto di rinunciare a titolo efficacissimo e molto azzeccato come “Casalinghe disperate”, ma si sono peggiorate le cose accostandovi un sottotitolo fuorviante, “I misteri di Wisteria Lane”, che oltre ad alludere a un contenuto giallo che era solo vagamente presente nella prima stagione, aggiunge altri termini inglesi.
La questione non si limita all’ambito televisivo. Al cinema è anche peggio. E’ sufficiente scorrere la lista dei film in sala in questo momento e di quelli in uscita. Fa impressione: “Royal affair”, “In another country”, “Monster University”, “The spirit of ’45”, “The grandmaster”, “Rush”, “You’re next”, “The bling ring”, “Gravity”, “Love Marylin” “Before midnight”, “The frozen ground”, “White House down”, “The chronicles of Riddick”, “The fifth estate”, “The seventh son”… E questo elenco si limita al periodo fra qui e ottobre. Talvolta il mantenimento del titolo originario avviene a completo discapito della sua comunicabilità (in quanti riferendosi al thriller con Denzel Washington “Death at 3600” avranno chiamato gli amici per proporre: – Andiamo al cinema a vedere “Death at three thousand six hundred” -?). Altre volte ignora del tutto il problema della sua comprensibilità (trovatemi almeno uno spettatore in grado di tradurre “Quantum of solace”, titolo del penultimo 007).
Non posso fare a meno di notare anche che questo istinto alla conservazione si limita ai materiali di provenienza americana. I titoli di film francesi, spagnoli, tedeschi vengono sempre tradotti. Sono rarissime le eccezioni (a me è venuto in mente solo “La mala educatiòn” di Almodovar, ma ce ne saranno anche altri immagino). In sintesi, il tutto mi puzza di provincialismo del più becero. Tu vo’ fà…
Quando pongo la questione in una discussione fra amici di solito c’è qualcuno che la giustifica in questi termini: meglio conservare il titolo originale piuttosto che subire quegli obbrobri a cui arriva la distribuzione italiana. A supporto del ragionamento vengono citati esempi eloquenti quali “Eternal sunshine of the spotless mind”, da noi uscito come “Se mi lasci ti cancello”. Trovo questa obiezione risibile: fra una titolazione che offende l’intelligenza dello spettatore e il mantenimento dell’originale ci potrà essere una terza via, no? Intendo un lavoro serio e intelligente che si sforzi di produrre un titolo fedele e significativo. Come già dovrebbe avvenire, senza che ci sia l’esigenza di richiederlo.
Neanche l’editoria è immune al fenomeno. Certo, in maniera molto minore, ma anche qui non mancano i casi ingiustificabili. Prendiamo per esempio la bibliografia italiana di Chuck Palahniuk e chiediamoci perché i suoi libri da noi si chiamino “Invisible monsters”, “Guinea pig”, “Survivor” e (il più patetico di tutti) “Diary”. Pareva brutto dare a un romanzo in forma di annotazioni giornaliere il titolo di “Diario”? A quanto pare sì.
Intendiamoci, non sono contrario all’uso dell’inglese in sé. Io stesso ho usato una canzone inglese come titolo per un romanzo, e non avrebbe avuto alcun senso tradurla. Quello che contesto è il dilagare incontrastato del fenomeno, l’idea che i titoli inglesi in un paese che doppia tutto diventino una semplice abitudine senza che nessuno la metta in discussione, che il provincialismo l’abbia vinta sull’esigenza (legittima) della decodificabilità.
Ci sono contesti nei quali la diffusione della terminologia inglese avrebbe un senso molto maggiore. Chiunque abbia viaggiato in luoghi come i paesi scandinavi avrà notato quanto l’uso dell’inglese sia diffuso. Anche la signora con le borse della spesa incontrata per strada in un villaggio di provincia è in grado di dare indicazioni allo straniero che si è perduto. In queste regioni la convivenza fra la lingua nazionale e una internazionale è un dato di fatto (basti pensare alle decine di gruppi pop che il cui intero repertorio è stato pensato e realizzato sin da subito in inglese, dagli Abba agli A-ha, dai Knife ai Roxette). Distribuire materiale in lingua anglosassone qui sarebbe funzionale, se non addirittura naturale.
In Italia, a giudicare dai manifesti dei film o persino dagli slogan pubblicitari, un turista sarebbe portato a credere che l’inglese sia di dominio pubblico: niente di più lontano dalla realtà. Gli andrà di lusso se l’autista dell’autobus saprà dire “Ticket”, indicando con un gesto della mano dove acquistarlo.
L’imbarbarimento linguistico nella comunicazione rivolta ai giovani (la hit più cool momento, l’action-video in esclusiva sul tuo digital store, il beach party più hot dell’estate) fa sempre parte di questa tendenza all’approssimazione totale.
La dicotomia fra la presunta padronanza di una lingua straniera e la sua effettiva (scarsissima) diffusione presso la massa è dolorosamente evidente e rischia di essere  deleteria: invece di trasmettere un sapere ci si accontenta di frammenti casuali e superficiali, che forse in pochi capiscono, ma comunque fa figo citare e riportare.
Appunto, ancora: provincialismo puro.
Ne faccio una questione culturale a partire da una frustrazione squisitamente personale. Perché non so cosa avvenga coi vostri genitori, ma quando io vado a cena dai miei e impieghiamo minuti per spiegare a vicenda gli spettacoli che stiamo seguendo, come stranieri che fanno fatica a comprendersi, ecco, a me viene una certa tristezza.


martedì 24 settembre 2013

UN DISCO PER L’ESTATE (CHE È FINITA, FRA L’ALTRO)


Personalmente, l’appuntamento che attendo con maggiore trepidazione della nuova edizione di Roland è quello conclusivo, il reading/concerto di Aldo Nove insieme a i Camillas. Se Aldo Nove però è un autore celebre e non ha bisogno di presentazioni, molti ignorano chi siano questi Camillas. Male, perché sono un gruppo originalissimo e hanno fatto un nuovo album che spacca. Quindi ho deciso di scrivere una recensione del loro ultimo cd come forma di presentazione per coloro che non li hanno mai sentiti nominare.
Eccola:



Difficile spiegare I Camillas a chi non li conosce. 
Cerchiamo di farlo con ordine:
Intanto sono un duo. Quindi polistrumentisti, abituati a cavarsela da soli.
Poi sono di Pesaro. Quindi indie di provincia.
Infine sono pazzi, nel senso che producono dischi di un livello di creatività talmente incontenibile che per l’ascoltatore medio risultano solitamente uno shock. Quando fate ascoltare un disco de I Camillas a un amico la reazione standard è: “Ma cos’è ‘sta roba?”. In questo caso meglio cambiare amicizie, ma andare fieri dei propri gusti musicali. 

L’ultimo album, uscito alla fine del 2012, si intitola “Costa Brava” e più che un disco verrebbe da definirlo una discografia, perché all’interno c’è di tutto: 16 brani più una ghost-track, che sono una carrellata di generi miscelati con totale disinvoltura. 
Questo è il terzo capitolo della produzione targata Camillas: hanno esordito con l’ep “Everybody in the palco!”, seguito dall’album “Le politiche del prato”. “Costa brava” però a mio avviso rappresenta un salto evolutivo: mi sembra che qui i pesaresi raggiungano il loro vertice, perché ogni brano contenuto è bello, ma in modo sempre diverso. 
Il cd si apre con “Giovane donna”, che si potrebbe agilmente definire il perfetto incrocio fra i New Order e Cochi & Renato (ma che razza di incrocio è?!?): un muro di chitarre e un ritornello (“Vai, giovane donna vai, più forte di me”) ripetuto in continue varianti, quasi cabarettistiche. Non so se abbia senso, so solo che è bellissimo. 
Va detto che coi Camillas il dubbio è sempre un po’ quello: se stiano scherzando o facciano sul serio, e non è mai dato capirlo. Bastano alcuni titoli a suggerire la loro follia: un pezzo si intitola “Brano violento” - e, ovviamente, è lentissimo; un altro si chiama “Il ritorno avambraccio” (cioè? Boh).
Musicalmente si concedono qualunque cosa: si passa dall’electro-pop di “Capita”, alle ballate acustiche “Rovi” o “Bel pomeriggio”, al dub della già citata “Il ritorno avambraccio”, al puro pop di “Gli arpeggi”, sino a punk alla CCCP-Fedeli alla linea nello scatenato “Cane”. Come se tanta eterogeneità non bastasse si divertono a includere anche un finto canto popolare siciliano (“Sissignuri”) e una struggente canzone neomelodica napoletana (“Incajate”). Il pezzo conclusivo, “La canzone del mare”, inizia come una dolente ballata cantautorale e finisce con intensi echi elettronici alla “Atmosphere” dei Joy Division. Un distillato di influenze, sfacciato e consapevole.  
La vera forza dei due pesaresi però sta nell’uso della lingua, sempre creativo e spiazzante. In “Cane” cantano: “Sei un cane, ti piace sbavare, a volte abbaiare, nei prati correre” ma lo pronunciano corrère, con l’accento spostato, per mantenere l’assonanza. In “Gli arpeggi” si inventano un liberissimo uso del riflessivo: “Gli arpeggi che mi sei”. 
Adoro I Camillas perché ogni loro disco comporta tre strati: il primo ascolto implica continue sorprese (cosa succederà adesso?). La seconda fase è quella nella quale familiarizzi con i cambi di registro: ascolti il testo per bene e sei già preparato agli arditi sbalzi musicali. Infine, c’è il livello finale, quando hai superato l’analisi e hai solo il piacere ripetuto dell’ascolto per un disco così ricco di melodie e idee. 
È l’esatto contrario dei successi radiofonici assimilabili al primo ascolto: qui c’è troppo perché tu possa capirlo la prima volta. E’ un album a rilascio graduale, come una flebo. Non una botta, ma tante goccine che poi ti fanno stare meglio.  
“Costa Brava” è il capolavoro de I Camillas ed è il disco italiano dell’anno. Ma lo capiremo solo in quattordici. 



venerdì 20 settembre 2013

ROLAND: IL RITORNO


Eccoci finalmente: il 27,28 e 29 settembre torna a Milano “Roland. Macchine e animali”, la manifestazione letteraria di tre giorni ospitata nella splendida cornice post-industriale di Assab One, con dibattiti, reading, interviste e spettacoli.

Fra gli appuntamenti di quest’anno ci saranno: le poesie sorprendenti di Francesca Genti, Guido Catalano e Giovanni Previdi accompagnati dalla cantante Manupuma, uno spettacolo a due voci con Tiziano Scarpa e Tricarico, uno scontro di pugilato interattivo con Valerio Millefoglie e Marco Rossari, un’esplorazione nei segreti creativi di Antonio Moresco ed Ermanno Cavazzoni, una divertente analisi dei ringraziamenti posti al termine dei romanzi con Carolina Cutolo, Sergio Garufi e Matteo Bordone, un improbabile show di Aldo Nove insieme al folle duo dei Camillas. 

E ancora: Fulvio Ervas (autore del best-seller “Se ti abbraccio non aver paura”) parlerà di letteratura sul dolore insieme a Giuseppe Genna, Andrea Tarabbia e Guido Mazzoni, mentre Michela Murgia discuterà con Alessandro Bertante, Alberto Garlini e Massimiliano Panarari sul perché i festival letterari hanno tanto successo. E se vi siete mai chiesti chi prende le decisioni più importanti in ambito editoriale, ora potete scoprirlo. Abbiamo invitato tre vertici dell’editoria per svelare il mistero: Stefano Mauri, Paolo Repetti e Massimo Turchetta. Dulcis in fundo, la conduttrice di radio DeeJay Marisa Passera e l’attrice Carolina Crescentini presenteranno il premio per il miglior racconto del concorso “Spirito Noir”.

Non è ancora finita. Per gli autori esordienti abbiamo ideato un laboratorio di editing dal vivo: Giulio Mozzi analizzerà un testo già pubblicato della scrittrice Giusi Marchetta e ne evidenzierà nuove, possibili versioni. Chi invece è affascinato dalla traduzione, potrà partecipare alla lezione di Matteo Colombo, uno dei nostri migliori traduttori (che ha firmato, tra le altre, le edizioni italiane di Chuck Palahniuk, David Sedaris e del premio Pulitzer Jennifer Egan). 

Anche i bambini avranno uno spazio a loro dedicato, con un laboratorio di narrazione e illustrazione, con Barbara Frandino e Elena Temporin, al termine del quale ognuno di loro avrà prodotto il proprio libricino da portare a casa. 

C’è altro? Ah sì, un aperitivo gratuito sabato sera alle 19 e la possibilità di venire ad Assab o tornare a casa in taxi gratis col servizio Uber. Cosa volete più di così?

Info e programmi su www.rolandscritture.it

PS: Se le istruzioni per iscriversi ai laboratori o utilizzare Uber non sono ancora sul sito abbiate pazienza: fra poco ci saranno, tornate a cliccare fiduciosi. 


martedì 17 settembre 2013

RIVISTE INTERVISTE: INUTILE


Continua la serie di interviste ai redattori delle riviste di narrativa italiana. Oggi è la volta di “Rivista Inutile”. 

CHE COS’È “INUTILE”? COME È NATA E PERCHÉ?

inutile è la rivista che noi per primi vorremmo leggere.
Siamo nati nel 2005, online dal 2007: da allora aggiorniamo un sito, tutte le settimane, più volte a settimana, e una rivista cartacea, tutti i trimestri (anche se per i primi 46 numeri l'abbiamo fatto tutti i mesi) (e siamo sopravvissuti per raccontarlo!). Dal 2008 abbiamo anche un'associazione che ci protegge e coccola.

PERCHÉ AVETE SCELTO DI CHIAMARLA PROPRIO “INUTILE”?

Be’, perché era un bel nome.

CHI FA “INUTILE”?

La fanno Ale e Matteo, dal 2005, e sono gli unici che si ricordano il numero zero, che era virato al sepia e osceno. Negli anni ci sono state tante persone in redazione: adesso ci sono Nicolò, Tamara, Marco, e Leo, che è il migliore grafico del mondo.

COME LA DISTRIBUITE E DOVE SI TROVA?

Si trova online a www.rivistainutile.it, lì ci sono i contenuti che mettiamo a disposizione di tutti. Il trimestrale invece è spedito su abbonamento (cartaceo o digitale), ed è quindi riservato soltanto ai soci, che ci vogliono bene nonostante ogni tanto arriviamo in ritardo.

SAPETE QUANTI LETTORI AVETE?

Un centinaio di abbonati e più di 5mila contatti al mese sul sito, sempre stabilmente in crescita anche se di quello 0,0001% alla volta.

TALVOLTA I VOSTRI NUMERI SONO TEMATICI, ALTRE LIBERI. COME STABILITE I CONTENUTI?

Bevendo molta birra: uno di noi ha un’idea qualsiasi, la presenta agli altri e se è valida la si porta avanti.

COME SELEZIONATE IL MATERIALE DA PUBBLICARE?

In base ai nostri gusti. Fondamentalmente c’è un solo criterio: ci deve piacere.

DATE DELLE INDICAZIONI AGLI SCRITTORI ESORDIENTI CHE STANNO LEGGENDO QUESTA INTERVISTA E VOGLIONO SOTTOPORVI DEL MATERIALE. COSA STATE CERCANDO? E COSA ASSOLUTAMENTE NON VI
INTERESSA?

Non siamo dei grandi conoscitori di narrativa di genere, per fare un esempio: non sapremmo valutare la qualità di una scrittura simile. Idem la poesia. Per il resto, cerchiamo dei pezzi onesti, in cui l’autore non si nasconda. Non significa per forza raccontarci di quando veniva torturato da bambino e costretto a guardare Heidi: ma deve mettersi in gioco, e bene.

LA DOMANDA PRINCIPE: PERCHÉ FATE UNA RIVISTA DI LETTERATURA? NON ERA MEGLIO ANDARE IN DISCOTECA E DROGARSI COME TUTTI?

Pensavamo ci fosse più figa.



sabato 14 settembre 2013

IL MERCATO DEL PESCE


Venghino, siori, venghino!
Ecco cosa bolle in padella.

- Ricordate i Nome? Band fantasma coi testi firmati dal sottoscritto e produttrice dei singoli “Le cose succedono” (più di 100.000 visualizzazioni su YouTube!) e “Io non riesco più a stare zitto”? Bene, stanno (stiamo) per tornare. Nuovo singolo, nuovo video, nuovo cantante. Diciamo a metà ottobre. 

- Per coloro che si sono lamentati del fatto che i romanzi di Eleonora C. Caruso e Marco Lazzarotto non fossero ancora disponibili in e-book, Indiana è lieta di annunciare che gran parte del catalogo è ora in versione digitale sullo store di BookRepublic. E presto per i fan di Eleonora ci sarà una novità in arrivo.

- “Roland macchine e animali”, la manifestazione letteraria che l’anno scorso a Milano ha incontrato un grande e inaspettato successo di pubblico, sta per tornare. Segnatevi le date: 27/28/29 settembre. A giorni il programma con tutte le novità, e sono parecchie.

Bella lì.


lunedì 2 settembre 2013

INTERVISTE CHE NON MI HANNO MAI FATTO (6) - Q


Continua la simpatica e delirante tradizione delle interviste col format rubato da riviste nazionali e internazionali che nessuno si è mai sognato di farmi. La puntata odierna prende in prestito le domande della rubrica “Last word” dal mensile musicale inglese “Q”. 

Quando è stata l’ultima volta che hai guardato nello specchio e hai provato delusione?
Non sono mai troppo felice del mio aspetto, ma non è così grave da preoccuparmene, quindi non lo so. 

Quando è stata l’ultima volta che hai mangiato senza preoccuparti delle conseguenze?
Durante queste vacanze. Se vai negli Stati Uniti e ti preoccupi delle calorie di quello che stai mangiando, praticamente devi smettere di nutrirti. E’ tutto così ipercalorico.

Quando è stata l’ultima volta che hai dovuto spiegare ai tuoi figli cosa fai per vivere?
Anche se non ho figli, mi capita spesso di dover spiegare come mi procuro da vivere e ho scoperto che la figura dell’autore televisivo è difficile da far comprendere. L’ultima volta che ricordo con precisione è stata durante una cena la scorsa primavera. C’era una sconosciuta che continuava a farmi domande sul mio lavoro e a volte non sapevo neanche bene cosa risponderle. 

Quando è stata l’ultima volta che hai cantato in un karaoke?
Stai scherzando? Piuttosto mi dò fuoco.

Quando è stata l’ultima volta che hai stirato una tua camicia?
Non l’ho mai fatto. Non posso mica togliere questo piacere a mia mamma, che insiste sempre tanto perché gliele porti.

Quando è stata l’ultima volta che hai pensato che il tuo aereo stava per precipitare?
Non ho paura in aereo, non ne ho mai avuta. Anzi, considero i viaggi aerei i più noiosi in assoluto, perché sono lunghi, ti costringono in spazi angusti, ti fanno venire il mal di testa se leggi tanto. Questo comunque significa che sono stato fortunato, non ho mai vissuto turbolenze o vuoti d’aria così violenti da suscitare panico. So che a molti è successo. 

Quando è stata l’ultima volta che hai pensato di rompere l’astinenza dal bere?
Quale astinenza? 

Quando è stata l’ultima volta che hai litigato per motivi religiosi?
Non riesco ad appassionarmi a un argomento come la religione al punto da litigare con qualcuno. So di averne discusso molte volte, ma litigi veri e propri... Beh, non credo di averne mai avuti in proposito. 

Quando è stata l’ultima volta che ti sei svegliato ricordandoti cosa avevi sognato?
Durante queste vacanze ho avuto un’attività onirica sfrenata. Mi svegliavo con un sacco di ricordi vivissimi, che raccontavo subito. Adesso però, a distanza di appena una settimana, non ricordo più nulla. Ce ne sono stati anche di molto divertenti, eh? Uno implicava anche la presenza di Marcella Bella, ma purtroppo non so più in quale ruolo. 




domenica 1 settembre 2013

PATOLOGIE


Ma esiste una patologia secondo la quale un individuo è assolutamente incapace di resistere all’impulso di strappare l’etichetta del prezzo dagli oggetti una volta comprati? E intendo anche sugli oggetti a casa di altri? Perché se esiste io ne soffro in maniera evidente.