mercoledì 16 settembre 2015

LA PAROLA AI LIBRAI: 2 - ALDO ADDIS (SASSARI)


  • Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
L'ho ereditata da mio padre. Sono tra gli ormai pochi fortunati che svolgono il mestiere dei genitori. La libreria è nata nel 1974, io avevo 7 anni. Dalla morte di mio padre, nel 1991, ho rilevato io l'attività. Avendo sempre sognato di poterlo fare….

  • Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
Secondo me, pur tra mille diversità(l'enorme aumento del numero di pubblicazioni, l'informatizzazione, l'avvento del digitale, la crisi economica che per la prima volta ha investito anche il mondo editoriale, il modificarsi delle abitudini di lettura) il mestiere di libraio era e resterà sempre quello di mettere in relazione chi scrive e pubblica libri con chi li legge. Proprio oggi che si parla di disintermediazione, che qualcuno paventa un mondo del libro in cui ci sarà solo chi scrive e chi legge, penso che siano ancora più necessari i mestieri del libro. Ed in particolare la figura del libraio, come quella del bibliotecario, avranno sempre più un ruolo nel promuovere bene i libri e gli autori che valgono, distinguendoli da tutto ciò che sta emergendo soprattutto col fenomeno del self publishing e dell'editoria a pagamento, dove non c'è alcun filtro da parte di un editore, nessuna professionalità che garantisca la qualità del libro.

  • So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
Ogni libreria ha un target diverso. Da noi il cliente tipo è il lettore forte, molto preparato anche sui cataloghi e aggiornato sulle ultime uscite. Questo determina la necessità per noi di essere all'altezza sempre, e dunque di aggiornarci e leggere continuamente libri e recensioni. ma è un grande vantaggio: ascoltare i consigli di lettori così bravi è un arricchimento per tutti noi, tanto che spesso li "sfruttiamo" con gli altri clienti.

  • Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
Per quel che riguarda la professione del libraio, resta il riconoscimento da parte della comunità in cui vivo, del ruolo imprescindibile che svolgiamo, quello di promotori culturali, oltre che di commercianti. E come presidente di Lìberos la soddisfazione migliore la provo quando mi rendo conto che portare autori e occasioni di incontro in tanti paesi e città che normalmente non hanno queste opportunità, produce risultati in termini di crescita culturale e sociale, e ne sono prova i dati sulla lettura in Sardegna che, al contrario del resto d'Italia, sono in aumento. Come direttore della Scuola Librai Italiani, invece, la soddisfazione migliore è quella di dare l'opportunità a tanti giovani di svolgere il nostro mestiere, in un momento difficile e complicato: grazie ad un'adeguata formazione il mestiere di libraio continuerà ad essere fondamentale nel mondo editoriale.

  • Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
Due cose soprattutto: la prima è l'incapacità della nostra classe dirigente di portare avanti politiche serie di promozione culturale. Spesso per assoluta ignoranza del fatto che in realtà investire in cultura fa crescere un territorio sia dal punto di vista sociale che economico. E recenti studi affermano che c'è una stretta dipendenza tra benessere, salute, e partecipazione culturale. Con tutto ciò che ne consegue.
La seconda cosa che non sopporto è relativa al nostro mondo: c'è ancora qualcuno che pensa di potersi salvare da solo, che l'insuccesso o il fallimento dell'altro possa portare benefici a se stesso. E' impossibile che si possa uscire da questa crisi se non si mettono insieme energie e risorse. Il mondo del libro ha le capacità, le intelligenze, le risorse e le persone per farlo. Insieme.
   
  • Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
L'ultimo: il 3 luglio abbiamo consegnato gli attestati agli allievi della Scuola Librai: tra di loro c'era mio figlio. 

  • Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Se non lo pensassi cambierei mestiere. Sono convinto che il vero valore di un libraio sta proprio nella sua capacità di incidere sulla crescita culturale, sociale ed economica della comunità in cui opera

  • Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
Non farei distinzioni di formule, né tantomeno di insegne: la differenza tra le librerie la fanno i librai che ci stanno dentro.

  • Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Assolutamente sì. Ci sono autori e libri che oggi sono famosissimi, ma che all'inizio hanno avuto bisogno del nostro consiglio per generare quel passaparola tra i lettori che a tutt'oggi resta la vera chiave del successo di autori e libri. Molti scrittori sardi che oggi sono letti e apprezzati anche all’estero, devono una parte del loro successo al rapporto privilegiato che si è instaurato con noi librai. 

  • Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
Chiamala vocazione, passione, ma anche malattia: non saprei pensare ad un'attività più gratificante per me. E' quello che ho sempre voluto fare, e non ho cambiato idea...


Aldo Addis
Libreria Koinè
via Roma 137
Sassari

lunedì 14 settembre 2015

LA PAROLA AI LIBRAI: 1 - ANDREA GELONI (PIETRASANTA)




Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
È quello che ho sempre voluto fare. Solo che pensavo fosse impossibile campare vendendo libri (e in effetti un po’ lo è). 

Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
Lo faccio da meno di dieci anni, ma anche confrontandomi con i colleghi credo che il lavoro del libraio indipendente sia da una parte più complicato e dall’altro più stimolante. Non ti puoi sedere mai. Una base di competenze ci vuole, ma non puoi prescindere da un aggiornamento continuo, dal sapere di cosa si parla sui social e persino su Vanity Fair. Essere “sul pezzo” è fondamentale. Ma lo è anche non perdere di vista che siamo bravi solo se leggiamo. Ossia se poi chiudiamo i social e Vanity, e apriamo un libro. Una specie di doppia identità necessaria.  

So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
Io sono un libraio fortunato. Ho molti clienti ai quali basta che dica “questo”: e sono soddisfazioni, perché vuol dire che il consiglio precedente è andato a segno. Ma forse professionalmente sono più importanti quelli che hanno anche qualcosa da insegnarmi, in un’ottica di scambio tra umili e appassionati lettori. Però il mio cliente standard è anche uno a cui piace chiacchierare, non necessariamente di libri. Forse siamo diventati presidi di scambi di umanità, in senso lato.

Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
Il vero libraio è san Giovanni Battista: noi indichiamo il Messia. Quando punto la pistolina sul codice a barre del Conte di Montecristo, e so che la persona che ho davanti sta per incontrare Edmond Dantès, e che quello sulla pistolina è l’umile dito che indica la luna: quello è il momento migliore.

Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
Quelli che pensano che un libro sia una merce come le altre. Con tutto che pago le fatture e l’affitto come gli altri commercianti: ma chi pensa che un libro vada promosso con i trucchetti del marketing non ha capito nulla. Poi lo so che i grandi numeri si fanno anche coi trucchetti del marketing, ma preferirei che chi si occupa di grandi numeri tacesse su cosa vuol dire fare il libraio, che è un’altra cosa. A ciascuno il suo. E poi sì, lo devo dire: quelli che hanno il conto in Banca Etica e comprano i carciofi bio e lo zucchero integrale e poi però non si fanno problemi a comprare i libri su Amazon.

La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente?
A parte l’ormai vasta letteratura sugli strafalcioni – che fanno anche tenerezza, e li faccio anche io – la cosa più assurda, diciamolo, sono gli sconti. Gli sconti sui libri sono assurdi, e nei paesi civili infatti sono vietati, cosicché i libri costano meno per tutti. Noi ovviamente facciamo piccole promozioni (quel poco che è sostenibile) e sulle spese medie qualcosa levo, ma mi trovo davanti gente che da per scontato che io possa comportarmi come chi ha margini che sono più grandi dei miei anche di dieci volte. Poi capita che chi chiede lo sconto sul librino da otto euro poi ti chieda se è ancora in commercio il fotografico nel quale si parla della villa medicea ove risiede. Giuro, è successo. Mentre chi conosce davvero il valore dei soldi, e dei libri, è meno facile che chieda sconti.

Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
Quando Vargas Llosa venne in libreria e mi pagò con la carta, e io vidi sulla carta “Mario Vargas Llosa” e pensai: ma guarda questo, oltre allo stesso nome ha anche una somiglianza impressionante. Giuro. E poi quando venne la Vanoni, canticchiando “L’uselin della comare”. E poi i clienti normali, quando vengono a farti vedere il bimbo appena nato, o quando portano gli amici. Ma non finirei più.

Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Non è che lo penso: lo so. Ma non è che sto lavoro lo faccio io da solo. Lo fa anche chi frequenta le librerie indipendenti. Un centro storico senza una libreria – e purtroppo ce ne sono tanti - è come un cono senza il gelato. Però tanti si lamentano solo quando le librerie chiudono, perché fa cittadino responsabile e attento. Bisognerebbe pensarci prima, finché le librerie sono aperte. Le istituzioni, certamente, ma anche le singole persone.

Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
A parte la comodità per il cliente di non dover stare a spiegare al commesso che Tristram Shandy non è l’autore di Vita e opinioni, essere indipendenti per un libraio vuol dire promuovere quello che davvero ci piace e non quello che decidono gli uffici marketing che hanno pagato tot di diritti e devono rientrare delle spese. Essere liberi di mettere in prima fila il titolone della grossa casa editrice (perché è indubbio che spesso con maggiori mezzi si stampino autori migliori) ma anche di affiancarci il grande scrittore sconosciuto pubblicato dalla piccola casa editrice. E anche essere liberi di dire alla cliente che conosci bene, e che si fida di te: guardi che di quel libro secondo me può fare a meno. 

Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Ehi, parli col suggeritore del titolo Morte dei marmi! Quindi certo che sì. A parte questo (che è una cosa a cui tengo tantissimo, anche perché è venuta chiacchierando, mentre Fabio Genovesi girottolava in libreria, senza brainstorming o indagini di mercato) è indubbio che nel sottobosco delle case editrici indipendenti le librerie indipendenti riescono a fare molto. Sono numeri che farebbero sorridere i grandi manager, ma che spesso fanno la differenza sia per noi che per loro. Poi ora coi social è tutto più semplice, sia fattivamente che in potenza, se riusciamo a fare sempre più rete. Se io so che a Fabrizio Piazza (libraio indipendente a Palermo) è piaciuto un libro, siccome c’è stima, so che un’occhiata gliela devo dare anch’io, e che probabilmente piacerà anche a me e ai miei clienti.

Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
Le mie socie, i miei clienti. E poi l’idea che sia possibile fare bene il proprio lavoro. Parlo del mio, certo, ma parlo di tutta la filiera. Dagli scrittori, agli editor, ai traduttori, agli editori, agli agenti, ai librai. Forse non si percepisce da fuori, ma se non ci fosse una passione fortissima, coi numeri che girano saremmo tutti a casa. Invece stringiamo i denti e resistiamo, non si sa nemmeno fino a quando, e a volte nemmeno a cosa stiamo resistendo. Ma sappiamo perfettamente, senza il minimo dubbio, che ne vale la pena. 

Andrea Geloni
Libreria NINA
Via Mazzini, 54 

Pietrasanta (Lu)



LA PAROLA AI LIBRAI


L’editoria è in crisi. Il mercato del libro sta attraversando una fase delicata e incerta di trasformazione: l’avvento del digitale, le piattaforme per l’autopubblicazione, la fusione dei grandi gruppi editoriali, il crollo delle vendite, i social network che sottraggono tempo alla lettura tradizionale. In questo confuso scenario, nel quale anche le previsioni a breve termine sono difficili da fare, molte piccole case editrici sono costrette a chiudere e ancora di più sono le librerie indipendenti che abbassano la saracinesca. Ma quelle poche che resistono, come riescono a farlo? In anni di attività come scrittore, attraverso presentazioni, incontri, festival e manifestazioni, sono entrato in contatto con numerosi librai e spesso sono rimasto affascinato dalla loro passione, dalla loro preparazione e dall’entusiasmo col quale svolgono il loro lavoro. Sono loro che reggono in piedi, senza alcuna agevolazione e spesso senza nessuna riconoscenza, un tessuto culturale che permette a questo paese di essere ancora vivace e reattivo, anche in zone dove sembrerebbe impossibile esserlo. Così mi sono chiesto, ma loro come stanno vivendo questo momento? Cosa pensano? Come percepiscono il loro ruolo? Che difficoltà incontrano e che soddisfazioni provano? Ho stilato una serie di domande e le ho inviate ad alcuni amici sparsi per la penisola. A partire da oggi comincio a pubblicare le loro risposte, via via che mi giungono. 

Trovate la prima qui


(PS: Se siete anche voi dei librai e volete dire la vostra, fatemelo sapere).


giovedì 3 settembre 2015

SEMBRAVA UNA FELICITÀ (E LO È)

In vacanza ho letto un libro ottimo e non posso trattenermi dal consigliarlo. Mi fa piacere farlo anche perché fa parte dei primi titoli di una nuova casa editrice nata a Milano con la sigla Enne Enne Editore e che sin dagli esordi si caratterizza per scelte di elevata qualità narrativa e una grande cura editoriale del prodotto, dalle traduzioni alle copertine.
Il romanzo che mi ha fatto innamorare è “Sembrava una felicità” della scrittrice americana Jenny Offill, e già chiamarlo romanzo è un po’ azzardato. Il testo infatti non è una narrazione lineare, quanto una serie di piccoli quadretti, di poche righe ciascuno, che possono essere tanto i pensieri della protagonista, quanto citazioni da libri di autori e filosofi classici, quanto barzellette o brevi aneddoti. Quasi un quaderno di appunti. E tuttavia da questi frammenti ricaviamo la storia del romanzo, che è quella di una scrittrice con l’aspirazione di diventare una grande della narrativa ma che è incapace di terminare un nuovo libro, mentre deve badare alle esigenze pressanti della figlia in età prescolare e affrontare il sospetto del tradimento del marito. 
Leggendo queste pagine si ha l’impressione di un gioco di scatole cinesi: sembra quasi che la protagonista, non riuscendo a portare a termine il suo libro, si sia dedicata a prendere una serie di annotazioni che finiscono per formare un altro libro, quello che abbiamo fra le mani.
Il titolo originale del volume è più vicino al suo contenuto, ma difficilmente adattabile in italiano: “Dept. of speculation”, ossia all’incirca “Il magazzino della speculazione”, dove per speculazione si intende quella filosofica, mentre noi penseremmo istintivamente a quella edilizia. Non a caso, all’interno del romanzo (molto ben tradotto da Francesca Novajra), è reso con un più generico, ma efficace “Ufficio pensieri”. 
Jenny Offill ha dichiarato che originariamente aveva scritto l’intero romanzo in forma tradizionale, poi si è resa conto che non la soddisfaceva affatto e ha ricominciato da capo, concedendosi questa forma assoluta di scioltezza creativa. Si può quasi respirare il senso di liberazione che deve aver provato: il testo accosta riflessioni profonde a curiosità da Settimana Enigmistica, riferimenti a Rilke a canzoncine per bambini, secondo uno schema che sembra suggerire anche un certo aspetto ludico. A conferma di ciò, l’autrice ha svelato che molte delle citazioni incluse nel testo sono dovute a un gioco che si divertiva a fare in biblioteca: apriva a caso pagine di testi classici per vedere se trovava frasi adatte da riportare nel libro. “Una roulette letteraria” l’ha definita.
Una tale, gioiosa libertà non poteva che sembrarle colpevole, per questo aveva detto al marito: - Sto scrivendo un libro che non leggerà nessuno, al massimo qualche collega scrittore, ma sono più contenta così -. Si sbagliava: questo volumetto di 160 pagine è diventato un caso sia negli USA che in Inghilterra, è stato candidato a diversi premi e segnalato fra i romanzi dell’anno del New York Times. Risultati che hanno sorpreso lei per prima.

“Sembrava una felicità” è senza dubbio uno dei libri più originali usciti negli ultimi anni. Fatevi sorprendere. 



martedì 4 agosto 2015

COSA LEGGO QUEST’ESTATE?

Visto che continuano in tanti, anche privatamente, a chiedermi consigli su cosa leggere quest’estate, mi sono deciso a raccogliere un po’ di segnalazioni. Non si tratta necessariamente di novità: alcuni sono libri appena pubblicati, altri sono di qualche tempo fa, ma che credo valga la pena recuperare, altri ancora sono di autori transitati dal laboratorio di ‘tina, e alcuni sono testi che ho segnalato io stesso alle case editrici con cui collaboro. 
In sintesi, non c’è un criterio preciso, se non quello che mi sono piaciuti molto. 



GEORGE PLIMPTON - “Truman Capote” (Garzanti)

La migliore e forse più corposa biografia sullo scrittore Truman Capote è quella firmata da George Plimpton, uscita negli Stati Uniti nel 1997 e pubblicata finalmente anche nel nostro paese solo quest’anno. 
Plimpton, fondatore della storica rivista letteraria “The Paris review”, è stato l’inventore della biografia orale. Per realizzare il volume su Capote ha realizzato centinaia di interviste con chiunque avesse avuto rapporti significativi con lo scrittore e poi ha ordinato i frammenti di queste interviste in modo da ottenerne una narrazione organica. Eloquente in questo caso il sottotitolo dell’opera: “Dove amici, nemici, conoscenti e detrattori ricordano la sua vita turbolenta”. 
Quella di Capote non sembra una vita, quanto una leggenda: l’infanzia in un paesino di campagna del sud, allevato da nonna e zie dopo l’abbandono dei genitori; il ricongiungimento con la madre nell’adolescenza e il trasferimento a New York; lo sfolgorante debutto nel mondo della narrativa a soli 22 anni; la fama immediata; la carriera come sceneggiatore a Hollywood; la frequentazione del jet-set internazionale (dai Kennedy agli Agnelli), delle star del cinema (da Marilyn Monroe a Charlie Chaplin, da Greta Garbo a  Humprey Bogart), dei grandi della letteratura (da Tennessee Williams a Christopher Isherwood); le scontro acerrimo a suon di querele con nemico storico Gore Vidal; il progetto ambizioso di trasformare un trafiletto di cronaca nera in un grande romanzo a cavallo fra il reportage e la fiction (il capolavoro “A sangue freddo”, per completare il quale uscirà psicologicamente distrutto); l’alcolismo; la pubblicazione dei primi capitoli di un romanzo sui vip a cui stava lavorando e che gli costerà l’amicizia praticamente di chiunque...  
Leggere queste vicende dalla viva voce di chi l’ha conosciuto, amato e spesso cordialmente detestato, è appassionante come un romanzo, se non di più. 



FABIO VIOLA - “I dirimpettai” (Baldini & Castoldi)

Un vicino spia dal palazzo di fronte i suoi dirimpettai: sono una coppia gay della Roma bene, il più maturo è un dirigente televisivo, il
più giovane un attore di belle speranze. Insieme formano una coppia insopportabile: battibeccano continuamente fra loro su questioni irrisorie, licenziano una cameriera sudamericana dopo l’altra, organizzano cene di un certo livello dove hanno ospiti come il sindaco Alemanno, criticano ferocemente ogni componente delle rispettive famiglie e ogni conoscenza in comune. 
Politicamente scorretto come pochi e scritto con cattiveria magistrale.
Libro gay dell’anno, se i gay leggessero. 



Jonathan Miles - “Scarti” (minimum fax)

Ci sono libri che per la loro mole sono più adatti a letture estive che in altri periodi dell’anno. Con le sue 575 pagine “Scarti” è uno di questi. Come il titolo lascia intuire i protagonisti del romanzo non sono degli eroi o dei vincenti: al contrario, sono giovani senzatetto che vivono di espedienti a New York, riappropriandosi di quello che la società consumistica butta via; un professore di linguistica obeso incapace di affrontare l’abbandono del tetto coniugale da parte della moglie e che deve assistere il padre, uno studioso di storia malato di Alzhaimer, in grado di recuperare ricordi e conoscenze lontane nel tempo, ma incapace di tenere a mente quasi nulla che riguardi il suo presente; una famiglia composta da una donna rimasta vedova dopo l’11 settembre, che ha scoperto dopo la sua morte che il marito la tradiva, il suo secondo marito, un arrivista che ha fatto i soldi riscuotendo cinicamente debiti ormai scaduti in prescrizione, e la figlia adolescente, innamorata di un giovane spacciatore messicano. 
Personaggi che devono fare i conti faticosamente e ogni santo giorno con le ristrettezze (economiche, sentimentali, morali) della propria vita, ma che in qualche modo devono trovare la forza per non demordere.
Il libro è stato accolto con grandi elogi dalla critica americana. Se vi è piaciuto “Le correzioni” di Jonathan Franzen e in generale via piacciono gli autori che si cimentano nell’impresa di scrivere il “grande romanzo americano”, ci sono buone probabilità che vi piaccia questo tomo di quasi 600 pagine, in grado di tenervi impegnati per gran parte delle vacanze. 



Ilaria Bernardini -  "L'inizio di tutte le cose" (Indiana)

Nove racconti sul tema della maternità potrebbero suonare come noiosi, tranne a chi è strettamente legato al tema per interesse personale o perché si trova nella felice circostanza di aspettare un figlio. 
Ilaria Bernardini invece sa spazzare via lo spettro del prevedibile con questi racconti di una brutale onestà e dallo spirito quasi punk, nei quali una donna incinta all’ottavo mese tradisce il marito con il fidanzato di un’amica a una festa, una neo-mamma non riesce a rinunciare al piacere sensuale di allattare dopo lo svezzamento del figlio e decide di continuare a farlo con degli adulti a pagamento, un’altra ammette di non essere più in grado di allevare il proprio neonato dopo l’ennesima notte in bianco... 
L’autrice mette in scena paure e desideri che forse hanno attraversato la mente di molte donne in attesa ma che raramente sono stati messi nero su bianco con questa liberatoria chiarezza.   



John Niven - A volte ritorno (Einaudi)

Dio si è distratto un attimo e quando torna a occuparsi del creato vede in che stato disastroso versa l’umanità contemporanea. Decide che è il caso di far tornare suo figlio sulla terra per cercare di rimettere in sesto le cose. Sbarcato a New York Gesù Cristo raccatta attorno a sé una simpatica compagnia di drogati, ragazze madri e gay sieropositivi, prima di finire come concorrente in un talent musicale tipo “American Idol”: del resto, quale platea migliore per diffondere il verbo di Dio che milioni di spettatori televisivi sintonizzati ogni settimana?
Romanzo rutilante e dal ritmo indiavolato, pieno di trovate fino all’ultima pagina.  L’autore è scozzese, e si sente. La prosa ha un po’ il sapore dell’Irvine Welsh di “Trainspotting”, ma con parecchia più ironia. Un libro iconoclasta al punto che in America si sono rifiutati di pubblicarlo e che farebbe stramazzare al suolo tutte le sentinelle in piedi del nostro paese se ne venissero a conoscenza. 



Giorgio Specioso - “Dinosauri” (Baldini & Castoldi)

Chi ha letto l’ultimo numero di ‘tina ricorderà l’ottimo racconto d’apertura, “Grande Slam”, firmato dall’esordiente Giorgio Specioso. Pochi mesi dopo Specioso ha debuttato col suo primo romanzo, un libro di difficile classificazione, che inizia come un ritratto corrosivo del mondo del terziario (amori, ripicche e tradimenti fra colleghi di ufficio) per trasformarsi progressivamente in uno scenario distopico, nel quale gli psicologi assurgono al ruolo di guru in attesa di un’imminente invasione di dinosauri. L’autore è bravissimo a condurre il lettore da una condizione di apparente normalità a una nella quale tutto può accadere. Un romanzo originale e sorprendente.  



Teddy Wayne - “La ballata di Jonny Valentine” (minimum fax)

Com’è la vita di una popstar dodicenne? Cosa significa vivere l’adolescenza mentre si viene costantemente esposto sui media e sui social network? Cosa c’è di vero e cosa di costruito nelle carriere delle piccole star?
Wayne cerca di rispondere a queste domande attraverso la figura immaginaria di Jonny Valentine (che però ricorda moltissimo quella di un Justin Bieber, per intenderci), seguendo la vita del cantante in ogni suo aspetto: le tourné, le registrazioni del disco, gli allenamenti quotidiani, le interviste, i video per YouTube, gli aggiornamenti sui social network, le foto scattate su commissione con la sua finta fidanzata, le amicizie supervisionate dalla mamma manager, il divieto assoluto di uscire a fare festa... Una prigione dorata, dove tutto luccica e tutto è controllato al millimetro. 
Uno libro in grado di prendere un fenomeno evanescente e trasformarlo in reale materia letteraria. 


    
Paolo Nori - La piccola battaglia portatile (Marcos y Marcos) 

La produzione letteraria di Paolo Nori si sta facendo sterminata, ma l’autore non smette di regalarci dei piccoli gioiellini, come questo esilarante resoconto della vita in compagnia della figlia, una bambina che nei libri ha battezzato “la Battaglia”. Nori racconta i primi viaggi fatti insieme, le incomprensioni, le teorie strampalate, le grandi domande: ho riso moltissimo leggendo queste pagine. Spesso i bambini piccoli sanno essere sbalorditivi, ma non tutti hanno per genitore un autore brillante come Nori in grado di immortalarne le scoperte e renderle spunto per meditazioni filosofiche sulla nostra società. 


Accanto a questi titoli, continuo a consigliare vivamente la lettura di “Io, la divina” di Rabih Alameddine (Bompiani), di cui avevo parlato diffusamente qui

lunedì 3 agosto 2015

GLI ANZIANI IN BIBLIOTECA

Sono incapaci di modificare il tono di voce. Quando parlano fra loro lo fanno con lo stesso volume che userebbero al bar o per strada.

Sembrano tutti inconsapevoli di recare un cellulare con sé. 

Quando il cellulare suona (assordante, nel silenzio immacolato) impiegano diversi secondi prima di capire che è proprio il loro che sta squillando.

Quando lo capiscono (al sesto, settimo squillo), invariabilmente, rispondono.

Sembrano ignorare la possibilità di uscire dalla biblioteca per continuare la conversazione.

Sembrano indifferenti all’idea che chiunque venga a conoscenza dei fatti loro.

Sembrano inconsapevoli dell’ipotesi di disturbare.

Quando finiscono, rimettono l’apparecchio in tasca senza silenziarlo per il rischio di chiamate successive.

Sembrano francamente ignorare l’esistenza della modalità di silenziatore. 

Tutti. 



giovedì 28 maggio 2015

AGGIORNAMENTI SUL MIO BARBIERE

Qualche mese fa avevo pubblicato una piccola epica via Twitter sul mio barbiere, che aveva incontrato un discreto successo. Mi sembra giusto tornare ogni tanto ad aggiornare gli interessati sugli sviluppi della faccenda, così ieri ho pubblicato nuovi tweet sull’argomento, che ho raccolto qui di seguito per i lettori del blog. 

Il mio barbiere, se mi irrita col rasoio, si giustifica dicendo: “Chi bello vuole apparire un po’ deve soffrire”.

Il mio barbiere quando parla di Viagra non usa mail il suo nome commerciale ma il gentile eufemismo “la pillolina blu”.

Il mio barbiere dice che, anche se sei anziano, “la pillolina blu” non serve a niente, basta che c’è la passione.

Il mio barbiere ha circa 40 anni e riporta questa affermazione come verità perché “l’hanno detto a Porta a porta”. 

Il mio barbiere è andato con la moglie in un locale a Vigevano, ma poiché era chiuso hanno deciso di visitare la città. 

Il mio barbiere dice che la piazza di Vigevano è bellissima.

Il mio barbiere dice che “nei nostri dintorni ci sono delle cose bellissime e la gente non lo sa neanche”.

Il mio barbiere mi ha fatto ascoltare una compilation di musica trance che gli ha registrato un suo cliente. 

Il mio barbiere mi ha chiesto: “Sai chi ha inventato la musica trance?”, io ho ammesso di non saperlo e lui: “Gli indiani d’America”.

Non so dove il mio barbiere prenda queste informazioni prive di fondamento.

Il mio barbiere dice che dal pasticcere compra la torta “Sciaccher”, che è buonissima.