mercoledì 27 aprile 2011

Joe Vanardi: "Pazza Ikea"


A proposito della querelle fra il ministro Giovanardi e il colosso dell'arredamento svedese mi vengono in mente due cose.

Una: che una volta ho sentito il ministro Carlo Giovanardi affermare al TG1 che era "scientificamente provato" che fumare marijuana provocava "buchi nel cervello". Giuro che l'ha detto. Quindi se lui ha le prove scientifiche di simili effetti, allora avrà anche quelle secondo le quali Ikea provoca dei buchi nella nostra Costituzione.

Due: che la ditta di mobili svedese non è affatto nuova all'uso di pubblicità con omosessuali per protagonisti e alle polemiche. Uno spot televisivo americano di almeno un decennio fa mostrava una coppia di uomini chiaramente gay che andava all'Ikea e acquistava un tavolo per la propria casa. Anche in quel caso c'erano state delle contestazioni. Un comico aveva fatto giustamente notare che quello spot era palesemente falso e non credibile: nessuna coppia di uomini gay riesce ad accordarsi sulla scelta di un arredo in trenta secondi.

Ogni paese ha le polemiche che si merita.

lunedì 25 aprile 2011

RETRO ANESTESIA


La webzine "Retrophobic" (rivista di retronuovismo) pubblica oggi una mia intervista sul periodo di "Anestesia Totale" e sulle esperienze raccontate in "Sotto Anestesia".



mercoledì 20 aprile 2011

BRUCIARE MILANO


Ho letto in questi giorni un romanzo catastrofista su Milano. Si intitola "Muori Milano muori!", è pubblicato dalla casa editrice Elliot ed è opera di Gianni Miraglia, scrittore atipico e antagonista, che già aveva dato prova di originalità col precedente "Six pack", romanzo di critica sociale ambientato in palestra e divenuto un piccolo culto, che l'autore presentava in performance dove alternava reading a flessioni sul palco. Per dire il tipo.

Questo secondo romanzo si svolge nel nostro prossimo futuro, un mese esatto prima dell'inizio dell'Expo. A Milano fremono gli ultimi preparativi. Le zone dove avverrano inaugurazioni ed eventi cominciano a essere recintate. Un nugolo di giovani di bella presenza e dall'inglese fluente è stato assunto per aggirarsi fra le vie del centro per rinforzare l'immagine di capitale della moda e della comunicazione italiana. Fa caldo e per un guasto alla rete fognaria l'intera città è immersa in un costante, quanto spiacevole, odore di escrementi. In questo scenario pre-apocalittico si colloca la vicenda del protagonista, Andrea, un grafico quarantenne licenziato dall'agenzia dove lavorava da anni. Coi risparmi ridotti al minimo, una moglie divorziata a cui passare gli alimenti, un padrone di casa che minaccia di sfrattarlo e con la stritolante consapevolezza che il suo curriculum lavorativo e la sua età matura sono armi spuntate per trovare una nuova occupazione, l'uomo si aggira tra colloqui di lavoro e tentativi di conservare un decoro apparente, che finga di collocarlo a un livello economico a cui, di fatto, non appartiene più: scarpe di marca, iPad, cellulari sfoderati come credenziali per dimostrarsi ancora perfettamente integrato al sistema. Una farsa destinata inesorabilmente a fallire, al punto che Andrea si troverà ad affrontare una caduta libera sulla scala sociale, fino a dormire nei parchi fra gli extracomunitari e a elemosinare avanzi nei bar, trasportando nello zaino sulle spalle gli status-symbol della sua carriera, e dunque della sua vita, precedente.

Miraglia è molto bravo a giocare con la metafora di una città che continua a vendere un glamour che ha perso da tempo e che si ostina a spacciare per scintillante realtà. L'approcciarsi dell'Expo scandito con un count-down, quasi un avvento religioso, sembra stringere le maglie intorno a un traguardo sempre più irraggiungibile: per Andrea un nuovo impiego che lo riporti alla rispettabilità sociale, per Milano a una manifestazione che la dimostri al passo con l'eccellenza europea e mondiale. La discesa agli inferi del protagonista è anche un'esplorazione geografica di zone che, da cittadino modello, non aveva mai visitato: i sotterranei della stazione centrale, i parchi pubblici di notte, le periferie dove barboni ed extracomunitari si accampano, i mercatini dove si vendono o barattano le proprie cose. Milano svela un'altra Milano, mostra un volto diverso, crudele, spietato, sporco, a chi l'ha vissuta solo da professionista affermato. E non sfugge l'ironia dell'autore, quando al protagonista sembra che proprio in queste zone l'afrore nauseabondo che impesta la città si senta un po' meno.

Miraglia, che nella vita è un pubblicitario e quindi ha uno sguardo privilgiato verso la dinamiche che regolano i rapporti sociali ed economici della realtà milanese, è bravo anche a testimoniare l'ostinazione di Andrea a conservare la propria dignità mentre tutto intorno a lui precipita, una rinuncia progressiva a privilegi vissuta con molta sobrietà e grande consapevolezza. La stessa idea di ribellarsi al sistema, di fare attentati che rovinino la festa, è ai suoi occhi destinata al fallimento, quando parte da gruppi di disperati senza coesione e senza altro collante che la comune miseria. La prospettiva di dare alle fiamme Milano dunque non è altro che un'utopia e persino a questa Andrea arriverà a rinunciare.

"Muori Milano muori" è un romanzo-denuncia che finge di proiettare nel futuro una crisi che è una cocente realtà, che trascina nelle sue spirali verso l'inesorabile e che non può fare a meno che indurci a riflettere.

L'altro giorno in metrò un'affissione elettorale del sindaco Letizia Moratti prometteva "Libri di testo gratis per le scuole elementari e medie". Qualcuno sotto a pennarello, pragmaticamente, aveva aggiunto: "Sì, brava, e intanto dobbiamo portare noi a scuola la carta igienica perché non hanno neache quella".

Forse Milano, qua e là, sta già andando a fuoco.


sabato 16 aprile 2011

BAMBINI DA PAURA


L'altro giorno a Cagliari parlavo con una giovane operatrice sociale che era scossa per un episodio accaduto qualche sera prima. Era in una pizzeria affollata con un gruppo di amici, all'ingresso, in attesa che si liberasse un tavolo. Alcuni ragazzini si rincorrevano nel locale. Fra questi, una bambina con lunghi capelli biondi raccolti in una coda. Mentre passava accanto al loro gruppo, uno dei suoi amici ha avuto l'istinto di sfiorarle la coda, una carezza veloce ai suoi capelli al vento. La bambina però si è bloccata e si è messa a urlare: - Mi ha toccato! Mi ha toccato! -. All'improvviso l'attenzione dell'intera pizzeria si è rivolta verso di loro. Il padre della bambina si è alzato minaccioso. La tensione nell'aria si è fatta da subito tangibile. E' stata necessaria la collaborazione dell'intero gruppo di amici per spiegare che si era trattato di un gesto innocuo, perlatro compiuto pubblicamente, con simpatia e senza alcuna morbosità.

Era evidente che la bambina fosse stata istruita dai genitori contro i contatti indesiderati da parte degli adulti. Questa legittima preoccupazione però doveva esserle stata inculcata con tale determinazione che è bastato sfiorarle i capelli per farle scattare un allarme interiore e spingerla a gridare aiuto a squarciagola.

La ragazza ha detto che ciò che l'ha impressionata maggiormente è stata la tensione che si è creata nel locale, lo sguardo di condanna subito impresso negli occhi degli avventori, il rischio tangibile che l'incidente avrebbe potuto tramutarsi in uno scontro.

Un segnale del grado di paura generalizzata che la nostra società ha raggiunto. Forse un'indice di isteria collettiva.

"Difficile - ha aggiunto la ragazza - non fare confronti con il nostro passato, anche più recente". Ha raccontato di quando, da bambina, giocava nella piazzetta al centro del suo paese. Un gruppo di vecchietti stazionava ogni giorno sulle panchine della pizza. Ogni tanto qualcuno di loro la abbracciava o le dava un bacetto sulla fronte. Gesti di affetto intergenerazionale. Non c'erano legami di parentela diretti fra questi anziani e questi bambini, eppure a nessuno in paese sarebbe venuto in mente di contestare loro il diritto di mostrare affezione verso le giovani generazioni. Al contrario, sua madre l'aveva educata al rispetto degli anziani, al valore della loro saggezza ed esperienza. "Non è mai successo nulla di sconveniente" ha concluso. "Eppure sono certa che se oggi un vecchietto abbracciasse una bambina come facevano loro con me, rischierebbe il linciaggio pubblico".

Viviamo davvero in una società pronta a vedere mostri ovunque?

giovedì 14 aprile 2011

AIUTAMI A DIRE CULTURA


Sono a Campobasso. Vengo intervistato dal TG regionale della Rai sul mio ultimo romanzo. A un certo punto il giornalista mi chiede: - Il tema della premonizione della morte è un tema caro fin dall'antichità, basti pensare a Seneca. Lei vuole rifarsi a questa tradizione? -. Ecco, di fronte a domande del genere io giuro che non so proprio cosa rispondere.


mercoledì 6 aprile 2011

NATI LIBERI



Ha suscitato moltissimo interesse il mio post relativo al fenomeno "It gets better". L'articolo è stato ripreso anche da altri blog e ha ottenuto numerosi commenti. Spinto da tale risonanza, voglio proseguire il discorso segnalando un altro sito a tematica omosessuale a mio avviso altamente significativo. Intitolato "Born this way" (sì, come la canzone di Lady Gaga, anche se il sito è precedente all'uscita del pezzo), si basa su un'idea molto semplice: che molti gay, lesbiche e trans avessero già presenti in modo evidente certi tratti della personalità sin dall'infanzia e che le loro foto da bambini ne offrano una testimonianza. Il blog raccoglie dunque le immagini che i visitatori inviano dai propri album personali e le foto sono spesso esilaranti. Maschietti con gambine arcute in pose da diva del cinema, bambini che si fanno ritrarre con la borsetta della mamma, dolci fanciulle con capelli dai tagli militareschi, jeans e posa da rude vaccaro... Nel vedere queste foto sorrido anche dell'autoironia che questi adulti hanno sviluppato: fra le nostre immagini da bambini ce ne sono sempre alcune molto imbarazzanti, ci vuole una bella dose di coraggio a decidere di metterle in piazza. Ma è chiaro che queste persone lo fanno per un motivo che va ben al di là del suscitare un sorriso. Queste polaroid, questi scatti dai colori saturui così anni settanta, sono esilaranti non in senso denigratorio, ma nella loro più pura innocenza: mostrano bambini che erano semplicemente se stessi, prima che la società imponesse loro regole e divieti. Che insegnasse che i maschi dovessero giocare con certi giocattoli e le femmine con altri. Che dovessero seguire un determinato dogma estetico a seconda del sesso di appartenenza. Che dovessero prediligere certi sport a favore di altri. Che ci fossero un giusto e uno sbagliato secondo criteri a loro estranei, ma ai quali avrebbero in futuro dovuto sottostare senza appello.

Io ero un bambino così. A me questo sito non deve spiegare niente. Mi sono riconosciuto come il profugo che vede le immagini di casa.

Quale shock è stato per me scoprire alle elementari che il gioco dell'elastico fosse attribuibile alla categoria del femminile, e dunque altamente vietato a me, pena il dileggio pubblico. Quanto ho odiato quel cazzo di pallone. Cosa ci trovassero di tanto appassionante gli altri maschi era per me un mistero ben più insondabile dell'esistenza di Dio.

Che io fossi gay lo sapevo dalla mia primissima infanzia, solo non avevo idea che questa cosa avesse un nome (ho anche scritto un intero romanzo, "Generations of love", esattamente su questo concetto). Le teorie sull'influenza negativa di certe compagnie, l'idea che trasmettere scene d'amore gay durante la prima serata tv possa plasmare le deboli menti dei fanciulli e convertirli a chissà quale mutazione genetica, mi hanno sempre fatto sorridere. E' chiaro che chi le sostiene non ha la più vaga idea di cosa stia parlando. Io ho trascorso un'infanzia circondato da virilissimi compagnucci di classe, andando al cinema dell'oratorio a vedere film di cowboys, leggendo fumetti di Tex e Zagor, ignorando persino l'esistenza del termine 'omosessuale', figuriamoci il suo significato. Eppure tutta questa enorme massa di infuenza, culturale e sociale, non ha impedito che un giorno mi impuntassi e piangessi come un disperato finché i miei genitori, stremati dalle mie urla, comprassero anche per me la stessa confezione di "Metti - La bambola che metti in tasca" che avevano appena comprato per mia sorella. Chi cazzo me le metteva in testa certe idee? Nessuno. Come nessuno è riuscito a obbligarmi a giocare a pallone (io nell'intervallo a scuola piuttosto stavo seduto sui gradini). Nessuno è in grado di instillare una tale dose di determinazione. I was born this way. Totalmente. E trovo geniale questo blog che con le sue foto e le sue testimonianze sappia riconoscerlo e ricordarmelo.

Due note:

Ho scoperto dell'esistenza di "Born this way" tramite un altro blog, questa volta italiano: vogliosposaretizianoferro.it. Un sito divertente, ma tutt'altro che superficiale, che utilizza l'ossessione per l'icona Tiziano Ferro come mezzo per riflettere sulla condizione gay in Italia. Dunque grazie agli autori di questo blog per questa rivelazione.

Il blog "Born this way" ha vinto nel 2010 il premio del pubblico come "Miglior Blog ospitato da Google".

domenica 3 aprile 2011

BIBLIOTECA DEL BIZZARRO II


Continuo la serie di segnalazioni di libri strani tratti dalla mia personale biblioteca.

Franco Arminio - CARTOLINE DAI MORTI

Nottetempo editore

Come definire questo libretto? Raccolta di racconti? Esperimento letterario? Micro-antologia? Non saprei. Certo è che si tratta di un testo molto originale. Pubblicato alla fine dell'anno scorso (e quindi ancora rintracciabilissimo), questo volume contiene esattamente ciò che il titolo promette: lo scrittore e poeta Franco Arminio propone un centinaio di brevi prose come se fossero messaggi lasciati dai defunti sulla propria dipartita. Pare che l'autore soffra di profondissime crisi di panico e che abbia scritto questi frammenti proprio subito dopo alcune di queste crisi, nel momento in cui l'emergenza era passata, ma il terrore era ancora fresco in lui. Una forma di catarsi, un metodo tutto letterario per sopravvivere al malessere. I testi (che vanno dal breve al brevissimo) tuttavia sono tutt'altro che deprimenti, o disperati. Sono raccontini sereni, spesso ironici, quasi sempre molto pacificati. Ne riporto tre esemplificativi:

Ero un maestro elementare in pensione. Ero vedovo da poco. E questo è tutto.

Il giorno del mio funerale è stato un giorno qualsiasi. E pure il giorno dopo.

Io quelli che hanno paura della morte non li ho mai capiti e adesso li capisco ancora meno.


THE HAIKU YEAR

Soft Skull publishing

Un gruppo di amici ha l'abitudine di mandarsi cartoline. Viaggiano spesso e trovano che i brevi messaggi contenuti nello spazio ristretto di una cartolina siano un buon modo per tenersi in contatto. Poi uno di loro lancia una sfida: per un anno intero dovranno scambiarsi degli haiku, poesie di tre righe riprese dalla tradizione giapponese. Dovranno sforzarsi di farlo, trovare il tempo e l'ispirazione anche durante momenti difficili e stressanti. Almeno uno a settimana. E' una promessa. Il risultato di quell'anno è contenuto in questo libretto. A rendere l'esperimento interessante però sono i nomi di questi amici: Michael Stipe dei R.E.M., Grant Lee Philips del gruppo Grant Lee Buffalo, i registi Tom Gillroy e Jim McKay, lo scrittore Douglas Martin, l'attivista Rick Roth e la fotografa Anne Grace. "The haiku year" è una raccolta di istantanee in chiave poetica firmata dunque da rockstar e artisti, un piccolo scorcio della loro intimità, della solitudine che li accompagna in certe tourné, dei loro comunissimi sentimenti. Ne traduco alcuni di seguito:

Come queste bacche rosse

nella pioggia

non ho l'ombrello

****

La targa dice

"Sei morti sono avvenute qui"

che bel panorama.

***

Lo so che la neve è bella

ma ne ho abbastanza,

okay?

***

Cammino dietro a un ragazzo

che cammina come il ragazzo

da cui sto fuggendo.

***

Nessua voglia

di leggere le notizie...

La mia via è già abbastanza, per ora.

***

Un parcheggio comodo

è tutto quello che ha avuto

dal giorno di San Valentino.