lunedì 30 gennaio 2012

INNAMORARSI


Una volta, intorno ai vent'anni, mi sono innamorato di un film.
So che è pratica comune dire "mi sono innamorato di questo libro/spettacolo/canzone/film" e chi si esprime in questi termini lo fa in maniera iperbolica.  Nel mio caso invece si trattava di una definizione puntuale, di un sentimento effettivo.
Ero andato a vederlo con qualche amico e all'uscita dalla proiezione mi sentivo leggermente sotto shock, quasi inebriato. Come nei reali colpi di fulmine, per tutto il giorno successivo non sono riuscito a pensare ad altro e la sera seguente sono tornato a vederlo, da solo. Volevo riassaporare tutto da capo, verificare se la mia agitazione interiore fosse motivata. Lo era. 
Per un'intera settimana ho continuato a tornare a vederlo, ogni sera. A volte portandoci dei nuovi amici, a volte in solitudine. 
Era un cinema di seconda visione (a quell'epoca ce n'erano ancora) e ricordo che la cassiera, alla quinta o sesta sera mi ha guardato sbigottita e ha esclamato: - Ancora?! -. Non era riuscita a trattenersi. Io le avevo risposto, con assoluta naturalezza: - E non sarà neanche l'ultima -.
Credo di essere tornato in quel cinema nove volte consecutivamente. 
La cosa assurda è che il film non era un granché. Una commedia indipendente americana ambientata nei sobborghi di Los Angeles, la classica storia di un gruppo di aspiranti attori che si riduce a fare la cameriera o il pizzaiolo, nella speranza (infondata) di realizzare prima o poi i propri sogni. Più lo rivedevo e più mi rendevo conto delle limitazioni oggettive della sceneggiatura, della regia, dei contenuti. E tuttavia non me ne importava. Ne ero innamorato. 
Il protagonista era un attore che allora sembrava destinato a diventare una star e che invece di lì a poco sarebbe praticamente scomparso dagli schermi, a favore di una carriera teatrale. Ricordo che nei suoi confronti provavo un sentimento contrastante, quasi schizofrenico: osservandolo sera dopo sera non riuscivo a capire se ne ero totalmente infatuato o se mi identificavo in lui. Un cortocircuito sentimentale che forse solo un omosessuale può provare e che, da allora, non ho mai rivissuto in questi termini per nessun altro personaggio maschile. 
E comunque capivo anche che ciò che stavo provando in quel momento non riguardava un singolo attore, ma l'intera pellicola. Quando tornavo a casa mi mancavano fisicamente gli strampalati inquilini di quella casa, avrei avuto voglia di parlare con loro, di condividere i loro sogni, di infondere loro coraggio e di farmi accettare nel loro gruppo. Ci pensavo in continuazione.
Poi, a poco, a poco, mi è passata. Ho smesso di andare al cinema, ho cominciato a pensarci meno, ho finito per dimenticarmene.
Anni dopo, rivedendone una replica notturna su una rete televisiva, ho provato quel misto di affetto e di imbarazzo che si prova verso certi vecchi amori (Che tenerezza e/o Ma come ho fatto a perdere la testa per uno così?).  
Non mi è mai più successo di provare un simile uragano emotivo per uno spettacolo. Forse ero semplicemente giovane, inesperto, irrisolto. Né mi è capitato di sentire altri raccontare esperienze simili. Se è avvenuto anche a qualche amico si vede che ha preferito tenerlo per sé.
Qualche mattina fa, su Internet ho trovato un'intervista a questo dimenticato attore e mi ha fatto risvegliare questi lontani ricordi.
Non vi dico né quale fosse la pellicola, né chi fosse l'interprete. Davvero, non importa. 
Però una confessione e un riconoscimento a questa bizzarra e insensata relazione sentivo di doverli dare.


mercoledì 25 gennaio 2012

TRACCE DI INDIANA



Vi avevo annunciato a fine 2011 che stavo iniziando una collaborazione in veste di editor con una nuova casa editrice e che vi avrei raccontato i particolari a tempo debito. Come direbbero i Moloko, The time is now!
La casa editrice in questione si chiama Indiana, ha iniziato la sua attività lo scorso anno con la pubblicazione in ottobre di due saggi filosofici ed è legata alla casa di produzione cinematografica Indiana Productions. Se volete saperne di più, visitate il suo sito
Per Indiana io curo una collana particolare, intitolata "Tracce". Si tratta di una serie di libri dedicati alla musica. Attenzione, non biografie o saggi, ma narrativa. In altre parole, romanzi che parlano di musica. Vogliamo citare un esempio nobile? Fare un paragone esaltante? Pensate ad "Alta fedeltà" di Nick Hornby. Un romanzo che aveva la passione musicale come oggetto principale della narrazione. Ecco, "Tracce" aspira a essere qualcosa di simile.
Esce oggi in libreria il primo titolo della collana. E' di un autore italiano, esordiente, ma non è uno sconosciuto. Anzi, nel suo campo è notissimo. Ago Panini è uno dei registi di pubblicità e videoclip più apprezzati del nostro paese. Forse però pochi sanno che in gioventù ha fatto parte di un gruppo rock, che si è esibito in numerosi concerti e ha inciso anche un disco per una major come la EMI. 
Ispirandosi proprio a quell'esperienza, Panini ha scritto il suo primo romanzo, questo: "L'erba cattiva".
E' la storia di un adolescente folgorato dal rock, dalla scoperta dei Clash, in una Milano anni '80 che non ha niente a che vedere con la Milano da bere, ma è piuttosto quella dei collettivi studenteschi autogestiti, delle sale prove in cantine ammuffite, dei centri sociali, del Leonkavallo e del Virus, dei ciclostilati e dei manifesti autoprodotti in bianco e nero. La storia di un bravo ragazzo di famiglia borghese che rivoluziona la sua vita e cerca una nuova dimensione per amore di una chitarra elettrica.
Panini, come autore, è una vera rivelazione. Ha una scrittura fluida e scattante, un gusto pazzesco per l'aneddotica, un'ironia sottile e leggera. Si legge che è un piacere.
Il libro è anche accompagnato da un mini-film in un elegante bianco e nero, nel quale musicisti e attori amici (Claudio Santamaria, Vanessa Incontrada, Nina Zilli, Africa Unite, Subsonica, Giuliano Palma, Giuseppe Cederna…) si prestano a leggere stralci del romanzo e a rispondere all'annosa domanda: "Ma il rock può ancora cambiare il mondo?". 
Il video è in anteprima da oggi sul sito di Rolling Stone e in seguito sarà visibile anche sul sito ufficiale del romanzo.
Credo che la collana cominci bene. E a marzo c'è la seconda uscita. Un libro americano, dedicato in particolare a chi ama i R.E.M.
Ma di questo parleremo la prossima volta.


martedì 24 gennaio 2012

TESTIMONE DI ENRICO


Uno dei dischi fondamentali del rock italiano per me è "Vivo da re" dei Decibel, formazione capitanata da Enrico Ruggeri nei primi anni '80. E' un album che ho consumato a furia di ascolti e che sopravvive con grande dignità allo scorrere del tempo. Ancora oggi mi capita di riesumarlo, con enorme godimento. Dopo lo scioglimento (per me, assai sofferto) del gruppo, ho seguito il cantante nei suoi primi esperimenti solistici ("Senhorita", "Polvere", "Nuovo swing"…), nei suoi primi exploit come autore per altri ("Il mare d'inverno" e la splendida "Savoir faire" per la Bertè), nelle sue sperimentazioni pop (è lui che ha creato Diana Est). Ero un grande fan di Ruggeri, all'epoca. 
Esce oggi nei negozi e su iTunes il suo nuovo album. Si chiama "Le canzoni ai testimoni" ed è una sorta di tributo a se stesso. In pratica, tredici fra cantanti e musicisti delle nuove generazioni hanno scelto e reinterpretato a modo loro alcuni brani del suo repertorio. Ruggeri ha partecipato alle incisioni in qualità di ospite, duettando con i vari cantanti. Tra i pezzi compresi nell'album ce ne sono ben tre dell'era Decibel ("Pernod" - con Dente, "Tanti auguri" - con i Linea 77, "Contessa" - coi Marta sui tubi), c'è "Tenax" di Diana Est (in versione electro con i Serpenti), ci sono capisaldi degli esordi come "Polvere" (con i Fluon, la nuova formazione di Andy dei Bluvertigo), un vecchissimo reperto come "Il lavaggio del cervello" (reinterpretato da Bugo in una suite di 13 minuti)… Insomma, un disco davvero interessante.
Ma perché ve lo sto raccontando? 
Adesso ci arrivo. Alcuni anni fa avevo scritto un racconto ispirato a Diana Est, pubblicato sul mensile Max e ora rintracciabile on line. La discografica di Ruggeri, mentre lavorava a questo album, è incappata in questo racconto su internet e mi ha contattato, proponendomi di scrivere qualcosa per il disco.
Il libretto di "Le canzoni ai testimoni" si apre dunque con una mia introduzione. 
In forma di parole, tra questi testimoni, ci sono anch'io. E in nome di quello storico affetto, mi ha fatto davvero piacere esserci. 



PS Sul sito del Corriere c'è un articolo dedicato all'album e l'anteprima dei tre video tratti. Li potete vedere qui: noterete che gli artisti  appaiono come comparse in tutti e tre i clip, una sorta di fil-rrrouge che unisce i tre diversi brani. Interessante anche questa idea. 

sabato 21 gennaio 2012

FIGLI DI CORSO


Il corso di scrittura creativa che ho tenuto l'anno scorso presso "La macchina dei sogni" di Milano è stata un'esperienza esaltante, soprattutto per l'alchimia che si è creata fra i partecipanti, rendendo gli incontri ogni volta stimolanti e assai imprevedibili. Il corso si rivolgeva in particolare a coloro che erano in procinto di scrivere un romanzo ed è stato bello constatare che al termine quasi tutti fossero riusciti ad avviare i propri progetti, come dimostra questo e-book. Ma la soddisfazione personale più grande è arrivata in seguito, quando due gruppi di ex-alunni hanno dato vita ad altrettante riviste letterarie. Chi mi segue sa che ho una vera passione per la dimensione rivista, quindi può immaginare con che entusiasmo abbia accolto la notizia. Dunque non posso trattenermi dal segnalarvele.

Cominciamo dalla prima, sia per galanteria (la redazione è tutta al femminile) che per sequenza cronologica, dal momento che il primo numero ha debuttato in rete già il luglio scorso.
Si chiama "Static" (sottotitolo "Una rivista letteraria in evoluzione"). Lo curano Loretta Patrini, Chiara Reali e Francesca Pampinella.
Scaricabile nei formati pdf, e pub e MOBI, il numero zero comprende tre racconti inediti di autori italiani e uno della scrittrice americana Maria Hummel, tradotta qui in italiano per la prima volta in assoluto.  
Ottima l'idea di proporre non solo testi di esordienti e giovani talenti nostrani, ma di fare un'opera di ricerca anche verso i narratori esteri.



La seconda rivista ha invece una doppia natura: in forma di blog e di rivista scaricabile. 
Si chiama "Cadillac" (sottotitolo "Cultura upperground") ed è curata da Natan Mondin, Michele Crescenzo e Giulio D'Antona, diretti da Alvise Moncretona.
La versione on line, che ha debuttato a ottobre, consiste di una serie di rubriche che comprendono recensioni, appunti di viaggio, racconti e una curiosa raccolta di lettere che autrici affermate sono invitate a scrivere a se stessi ("Cara me", ideata da Alessandra Montrasio, che ha come prima ospite Barbara Di Gregorio).
La versione rivista, in pdf, fresca di emissione, include invece tre racconti inediti e un saggio monografico su un autore-cult (il primo è dedicato a A. M. Homes), più una rubrica di analisi sul fenomeno della giallistica scandinava, dal divertente titolo "Non fiordi, ma opere di bene".



Bravi i miei ragazzi.


lunedì 16 gennaio 2012

LA LENTEZZA DI ZADIE


E tre. Un'altra citazione, da un'altra scrittrice.
Questa volta è l'inglese Zadie Smith, dal saggio "Perché scrivere", da poco pubblicato per minimum fax.

"In tutto il mondo la gente sta cominciando a capire la natura rivoluzionaria del mirco-, delle dimensioni ridotte e della lentezza. Del fare qualcosa con le proprie mani. Del prendersi il tempo che serve. Della vita su scala umana. Sono tutti modi di rivendicare le nostre capacità di esseri umani in un mondo che spesso ci vede esclusivamente come produttori o consumatori".

In un mio recente intervento su questo blog esprimevo un concetto molto simile riguardo alle fanzine e alle pubblicazioni autorprodotte in quanto espressione di manualità e cura come segno di amore verso il lettore.
Circa tre anni fa un mensile di moda (ossignur, di moda!) mi ha chiesto una previsione su quali aspetti del passato sarebbero stati rivalutati nel futuro.
Io avevo profetizzato la calligrafia. Ne sono ancora convinto. Stiamo tutti perdendo l'abitudine della scrittura a mano. Le tastiere sono diventate il nostro strumento di scrittura quasi esclusivo. L'usa della calligrafia è ridotto alle firme sui documenti e agli appunti occasionali. Eppure la calligrafia è un segno distintivo, che ci  rappresenta. Sono certo che prima o poi il suo valore, estetico e identificativo, verrà ampiamente rivalutato. 
La Smith in questo saggio arriva ad assimilare la figura dello scrittore a quella dell'artigiano: sempre meno figura simbolica, sempre più curatore di minuzie. Nell'era della comunicazione globale, dove il passaggio al digitale comporta una circolazione libera e inarrestabile dei testi a scapito (probabilmente) della perdita dei punti di riferimento che hanno fin qua governato l'editoria (l'affidabilità della casa editrice, gli agenti letterari…), il ritorno all'artigianato della scrittura è una prospettiva romanticamente affascinante. 


sabato 7 gennaio 2012

IL GALATEO DI MICHELA

Ancora il punto di vista di una scrittrice (si vede che è la settimana), stavolta è Michela Murgia che nel suo blog si esprime molto schiettamente contro gli scrittori che pubblicano a pagamento. Inventa anche una definizione per la pubblicazione autofinanziata, quella di "abusivismo editoriale". Il pezzo è in forma di dialogo immaginario ed è ampiamente condivisibile.
Lo trovate qui.



lunedì 2 gennaio 2012

LA SAGGEZZA DI MELISSA

L'altro giorno sulla sua pagina Facebook la scrittrice Melissa P ha postato il seguente status:


"Che scrivere un romanzo sia come essere fidanzati lo dimostra il fatto che a un certo punto ti viene in mente un'idea per un'altra storia e magari cominci a scriverla e ti senti in colpa con il primo romanzo a cui non dedichi lo stesso tempo di prima e dividi le ore della giornata pensando prima all'uno poi all'altro dicendoti, sinceramente, di amarli tutti e due e di non poter fare a meno dell'uno né dell'altro. Ma quando uno prende il sopravvento sull'altro decidi di essere seria, di assumerti le tue responsabilità, ma ogni tanto scappi dall'altro romanzo e aggiungi una o due frasi. E siamo tutti salvi".

E' una delle verità maggiori che abbia mai letto sul rapporto fisiologico, sentimentale, totalizzante che sviluppa un autore con la scrittura. E il fatto che nessun grande teorico della letteratura l'abbia mai espresso in questi termini concreti, a pensarci bene, non mi meraviglia affatto.