mercoledì 27 giugno 2012

SIGNORINA ALLE RISORSE UMANE

Da tempo gli Egokid mi chiedevano di collaborare a un loro videoclip. L'idea giusta è venuta una sera a cena in una piccola trattoria milanese, in compagnia dell'amico comune (e grande fan della band) Alessandro Fullin: un colloquio di lavoro nel quale vengono richieste agli intervistati competenze impossibili da parte di un'esaminatrice feroce. 
Il risultato è questo. 


mercoledì 20 giugno 2012

LA QUESTIONE DELLA VERITA'


Una situazione che ho visto ripetersi spesso: l’alunno del corso legge un suo racconto, io gli faccio notare che una determinata scena risulta confusa e poco credibile, lui ribatte con fierezza che le vicende che racconta sono accadute realmente e nel modo esatto in cui le ha riprodotte, io replico con candore che non me ne può importare di meno. Segue il consueto attimo di sbalordimento, lo sguardo attonito dello studente e l’immancabile, scandalizzata, domanda: - Cioè vuoi dirmi che in un testo autobiografico io dovrei raccontare il falso?!? -.
Non è questo il punto. 
E’ la domanda stessa a essere sbagliata e fuori luogo: perché uno scrittore si occupa di narrativa, non di verità. Sono due concetti separati e, talvolta, persino distanti.
Un lettore in una storia cerca personaggi vividi, un intreccio coinvolgente, un linguaggio brillante. Cerca illuminazioni, spunti, stimoli, riflessioni, stupore, persino riflessi di sé. La verità la cerca altrove (nei reportage, nei saggi, nei quotidiani). Qualora la cercasse in un romanzo, vorrebbe comunque che questa fosse coerente e solida. Nella vita reale spesso non lo è. Ma appunto, un racconto, un romanzo, non sono la vita reale, per quanto possano prendervi ispirazione anche diretta: sono la vita reale filtrata attraverso lo sguardo di un narratore. 
Il compito di chi racconta è quello di scegliere i materiali, organizzarli, dare loro una sequenza e una concatenazione, plasmarli fino a renderli una storia. Non a caso, narratori diversi posti di fronte allo stesso evento ne produrrebbero racconti profondamente diversi. 
Una delle lezioni più illuminanti che abbia mai ricevuto è stata durante un corso universitario nel quale l’insegnante ci aveva chiesto di scrivere le istruzioni per preparare una tazza di caffè. Un compito che era parso a tutti noi insensato e sterile. Quando è stato il momento di leggere ad alta voce i nostri elaborati, le differenze si sono rivelate sbalorditive: per quanto si trattasse di gesti meccanici e quotidiani, comuni a ogni italiano, ciascuno di noi ne aveva fornito una descrizione diversa: la conservazione del caffè, la quantità di miscela, la temperatura dell’acqua... Ognuno aveva una propria abitudine, una personale ricetta.
Noi siamo questo: differenze.
Piccoli scarti soggettivi che rendono la nostra esperienza inesorabilmente unica.
Quando scriviamo una storia non importa quale sia la verità: conta solo la nostra verità, quella che scegliamo di raccontare e come scegliamo di farlo.

[E poi, dal macro al micro, nel dubbio specifico posto da un aspirante autore in un corso di scrittura: di quale verità stiamo parlando? Se mi racconti l’esilarante episodio di quella volta che tuo cugino è caduto nel fango, l’amica che passa e vi vede, la vergogna, le matte risate, chi concerne questa verità? Tu, tuo cugino e l’occasionale amica? I tuoi futuri lettori (centinaia, migliaia, auguriamoci milioni), non erano certo lì, non conoscono l’esatta sequenza degli eventi, non hanno motivo né di metterla in dubbio, né di contestarla, ma soprattutto, non importa: per loro, in questo momento, tu, tuo cugino e la tua amica siete personaggi in una storia. Tramite voi si aspetta di rivivere la comicità (o il dramma, o la tensione, o l’inquietudine, o) del momento. E’ questo che tu, autore, devi dargli. Non la verità.]



venerdì 15 giugno 2012

LEGGERE PER SCRIVERE


Gli scrittori in fase produttiva hanno spesso un rapporto ambivalente con la lettura. Spesso mi è capitato di trovare nelle interviste affermazioni estremiste a questo proposito. Numerosi autori dichiarano di non leggere nulla mentre stanno scrivendo i propri romanzi per evitare di venire influenzati dallo stile dei colleghi. E' un'affermazione che mi ha sempre stupito e che (a dirla tutta) trovo sconcertante. 
Tanto per cominciare, se bastasse leggere un certo scrittore per assorbirne il timbro, allora il mondo sarebbe pieno di emuli di scarso talento ma di notevole stile. Tanti Flaubert, tanti Checov, tanti Carver. Chi ha mai frequentato corsi di scrittura, sia in veste di alunno che di docente, sa bene quanti cerchino disperatamente di emulare i propri autori di riferimento, con risultati deludentissimi. Non solo non basta leggerli, non basta neppure copiarli sfacciatamente.
Ma non è questo comunque a lasciarmi perplesso, quanto l’idea di interrompere il rapporto diretto che intercorre fra lettura e scrittura. Per me leggere mentre scrivo è fondamentale. Emozionarmi per un bel romanzo è quanto di più stimolante esista per spingermi a continuare nella stesura dei miei testi. Il contenuto e lo stile di ciò che sto leggendo non ha alcuna influenza sul contenuto e lo stile di ciò che sto scrivendo (forse perché sono un lettore vorace e leggo cose così differenti fra loro che se avessero  una diretta conseguenza sulla mia produzione realizzerei libri schizofrenici). Piuttosto è il piacere che mi provoca la lettura a a farmi vincere resistenze e pigrizia, a riportarmi in biblioteca alla nove di mattina e andare avanti col mio romanzo. Mi ricorda il perché io stia scrivendo un libro. Come potrei farne a meno?


mercoledì 13 giugno 2012

COMMESSI


I commessi indaffarati dei grandi centri di elettronica e informatica che, dopo che hai spiegato cosa ti serve, ti consigliano un prodotto, tu lo compri, vai a casa, lo provi e non è non è quello giusto.

I commessi di certi negozi di moda, che ti guardano con quella espressione di chi è convinto di far parte di una cerchia esclusiva alla quale non verrai mai ammesso. 

I commessi degli Apple Store il giorno che arriva il nuovo modello di i-Phone.

I commessi delle librerie quando i clienti chiedono autori e titoli inesistenti ma pretendono di avere ragione.

I commessi di Bershka, con quella musica dance a manetta tutto il giorno nelle orecchie.

I commessi che devono sorriderti per obbligo e comunque sono convincenti.

I commessi che proprio sembra gli dai fastidio.

I commessi che mentre parlano con te fanno altro e ti costringono a seguirli nei loro spostamenti.

I commessi obbligati a stare in piedi nei pressi dell’ingresso. 

I commessi indispettiti quando tu dimostri di conoscere meglio di loro il prodotto che stanno vendendo. 

I commessi dei negozi tre giorni prima di Natale. 

Infine un commesso particolare in un negozio di casalinghi dove ho comprato una moka, che dopo avermi battuto uno scontrino, mi ha chiesto: - A quando il prossimo libro? -, lasciandomi di sasso. 


giovedì 7 giugno 2012

INTERVISTATO DAI BAMBINI


Circa un anno e mezzo fa sono stato ospite di “La grande fabbrica delle parole”, un progetto ispirato a 826 Valencia di San Francisco e dedicato ai bambini in età scolare. Un gruppo di volontari cerca di far appassionare i più piccoli alla scrittura attraverso l’incontro con alcuni scrittori. All’ospite è richiesto di fare una chiacchierata coi bambini, rispondere alle loro domande e poi seguirli nella stesura di una piccola storia. Nel corso di una mattinata lo scrittore arriva così a familiarizzare con gli alunni e a dare loro delle indicazioni mentre cercano di scrivere il loro primo racconto. Al termine tutti gli elaborati vengono piegati, pinzati e dotati di copertina, in modo che ciascuno di loro senta di aver prodotto il proprio “libro”. E’ un esperienza entusiasmante per entrambi, lo scrittore e la scolaresca.
Oggi per caso, cercando un documento nel computer, ho trovato l’intervista che i bambini mi hanno fatto in quella circostanza, amorevolmente trascritta da una delle volontarie. Rileggendola mi è sembrata più diretta e interessante di molte altre interviste adulte concesse alla stampa ufficiale. Per questo ho deciso di pubblicarla. 

Perché  hai cominciato a scrivere libri? Perché mi piaceva leggerli, fin da bambino. Io ho cominciato a provare a scrivere i miei primi libri quando avevo 12 anni, ma non ero tanto capace: prendevo i quaderni disegnavo la copertina, il titolo, pensavo a una storia, ma poi mi stancavo... però cominciavo già a cercare di inventare una storia. Quando inizi a scrivere magari è un po' difficile, ma è come un gioco, man mano impari di più e ti viene più facile.

Scrivi a mano o col computer? No, con il computer perché puoi correggere e riscrivere. Io pasticcio tanto, quindi scrivo con il computer.

È faticoso fare il lavoro dello scrittore? Sì è faticoso perché chi fa lo scrittore non può fare solo lo scrittore: magari impieghi due anni o tre a scrivere un libro, ma non è che con quel libro hai tanti soldi, quindi devi fare altri lavori. Lo scrittore non ha orari precisi, come uno che va in ufficio o guida un camion, perché non è che hai una regola, io certi giorni riesco a scrivere certi giorni non riesco. Però, per guadagnarmi da vivere, devo fare altre cose. Io lavoro in TV.

Ma ci metti così tanto?  Sì magari scrivi delle cose, poi non ti convincono: allora butti via e ricominci. Io sono un po' lento a scrivere un libro, ci metto almeno due anni. 

Ma ai bambini piacciono i libri che scrivi? Non lo so... io preferisco dei libri per adulti, ma ne ho scritto anche uno per bambini.
Quanti ne scrivi in un mese? In un mese magari scrivo una storia. I  libri di solito sono storie lunghe, ma ci sono anche libri che sono fatti di tante storie messe insieme, o storie che finiscono sui giornali, allora le scrivi in una settimana. Però non ci puoi mettere un giorno, ci devi pensare e ripensare.

Cosa hai studiato per fare lo scrittore? Non esistono studi speciali per diventare scrittore, io ho fatto il liceo scientifico che non riguarda tanto le lettere. All'università ho fatto psicologia, pensavo di voler fare lo psicologo. Poi, quando ho finito, ho cominciato a scrivere libri. Ho cominciato scrivendo pubblicità. Sai quelle che vedi sui cartelloni, ci sono delle persone che inventano quelle frasi e io ho cominciato così. Poi ho scritto un po' per i giornali, poi per la radio, ora per la TV. Ho provato tante professioni legate alla scrittura.

Scrivi anche storie di fantasia? Si certo, io ho scritto anche tante cose reali: che sono successe. E poi storie di fantasia che non sono successe a me ma possono succedere ad altri.

Ti piacciono i libri che hai scritto?  A me piacciono ma se dovessi riscriverli li riscriverei in altro modo, perché adesso sono cambiato e quindi vedo le cose in maniera diversa.

Qual'è stato il primo libro che hai scritto?  Il primo è stato un libricino. Quando facevo l'università c'era una collana che si chiamava libri Millelire, erano libri che costavano molto poco. Io li ho visti e ho detto: che bello, spero di poterne scrivere uno. E ho scritto della mia esperienza personale, stavo facendo l'educatore in una comunità per bambini handicappati. Ora è stato ripubblicato e si intitola “Fermati tanto così”.

All'editore piace quello che scrivi? Sì, se no non me lo pubblica. Diciamo che deve piacere tanto all'inizio, perché tanti scrivono e mandano delle storie, ma molte non sono belle, non funzionano. Però quando l'editore ne trova una che gli piace la pubblica, e se l'editore è contento poi ti conosce sa cosa scrivi e si fida di te. Può darsi che ne pubblichi delle altre.

Di cosa parlano i tuoi libri? Alcuni parlano di mie vicende personali, come questo che parla della mia esperienza con i bambini handicappati, bambini con problemi psicologici e mentali. Avevano dei problemi e allora avevano bisogno di qualcuno che li aiutasse.
Rileggi un libro quando lo finisci? Tantissime volte, ma non quando lo hai finito, quando lo scrivi. Al giorno scrivo 4-5 pagine e mentre scrivo le rileggo per vedere se funziona. Il giorno dopo le rileggo, ci ho dormito sopra e me le sono dimenticate: così vedo meglio se funzionano. Alla fine di tutte rileggo, fai così varie volte, finché ti sembra sia tutto pronto. Poi lo mandi all'editore che lo rilegge, ci sono tante persone delle case editrici che controllano, se fai un errore lo correggono. Anche lo scrittore sbaglia!

Ti annoi quando scrivi le storie? No, non ti annoi però certe volte è un po' difficile una frase non ti viene bene, allora devi impegnarti.

Ma è divertente scrivere? Sì è divertente vedere che tu pensi delle storie le scrivi e poi la gente le legge, e vengono a dirti: ho letto la tua storia. A me certi libri li hanno pubblicati anche in Francia Spagna, a volte degli stranieri mi scrivono. È  bello perché le tue storie vanno dappertutto. Sono felice perché quando scrivi sei da solo a casa tua, è un lavoro solitario la scrittura, invece poi è bello avere le risposte di chi ha letto i tuoi libri, chi ti racconta come ha trovato la tua storia.
E se uno ti critica? Eh si può succedere anche quello, ti scrivono e ti dicono: questo libro non mi è piaciuto, ma ognuno di noi scrive i libri a modo suo, non è che c'è un giusto o sbagliato, o piace o non piace. A me per esempio non piace la fantascienza, ma ci sono altre cose che mi piacciono tantissimo. Ognuno ha i suoi gusti.

Perché fai lo scrittore?  Perché mi piace, senti che puoi raccontare delle storie e ti senti bravo a fare questa cosa, come giocare a calcio, se sei bravo ti viene voglia di continuare.

Ti emozionano i tuoi libri? Ti devono emozionare secondo me, se scrivi una cosa lunga che ci stai su tanti mesi è difficile che lo fai se non ti emoziona e non ne sei convinto. Io sono molto contento quando scrivo certe scene, perché mi emozionano.

Quali sono gli ingredienti per fare una storia? Bisogna avere soprattutto l'idea di un personaggio, un protagonista, e capire chi è, di chi parla questa storia. Poi ci sono anche altri personaggi che stanno intorno, e l'antagonista. Il protagonista può essere anche un animale o un albero, non è detto che sia un essere umano. Poi bisogna avere un'ambientazione, il luogo dove si svolge la storia. Se ambiento la storia in campagna succedono delle cose, se la ambiento in città succedono altre cose, o anche al tempo, se la ambiento in inverno accadono delle cose, in estate delle altre. Terza cosa bisogna che questo personaggio faccia qualcosa, il personaggio deve avere dei desideri: ad esempio se è una storia d'amore deve conquistare la sua fidanzata, se è in battaglia deve vincere eccetera eccetera. 

Da  quanti anni fai lo scrittore? Io scrivo veramente da quando ho 20 anni, ma ho iniziato a pubblicare a 25.

Secondo te è importante fare lo scrittore? Secondo me sì, è importante saper usare bene le parole perché se sai farlo puoi farti capire bene dagli altri, dare delle risposte, parlare a nome di chi non lo può fare. E in questo momento c'è più attenzione alle cose visuali, ma è importante conservare molta attenzione a quello che si dice.

(Nota: qui trovate anche le interviste agli altri scrittori che hanno preso parte al progetto, come Paolo Cognetti, Giorgio Fontana, Federica Manzon, Gianni Biondillo...)