mercoledì 30 settembre 2015

JOHNNY BE GOOD (TO MY iPHONE)

Durante lo scorso weekend ho fatto una delle esperienze più genuinamente milanesi degli ultimi tempi: sono andato da Johnny in Paolo Sarpi.
Da alcune settimane il mio iPhone mostrava preoccupanti segnali di insubordinazione: la tastiera smetteva improvvisamente di funzionare, per poi ripartire di colpo con una serie di vcfgjycuvtyò@@@%opuoòtzrxuò senza senso; il tasto centrale non rispondeva più, se non dopo insistite pressioni; la suoneria decideva autonomamente di quali sms segnalarmi l’arrivo, tacendone la maggior parte. (Whitney) Houston abbiamo un problema.
Come sempre in questi casi la mia filosofia è: ignora questi infausti segnali nell’attesa che tutto si sistemi da solo. Sarebbe interessante analizzare come mai questo atteggiamento non si sia mai rivelato efficace in tutta la mia esperienza terrena ma io continui a restarvi aggrappato tenacemente. Lasceremo tuttavia questo argomento per futuri approfondimenti. L’esito fallimentare della mia insensata filosofia postivista si è di nuovo dimostrato in tutta la sua lampante chiarezza sabato pomeriggio intorno alle 17.30 quando l’apparecchio ha cominciato a squillare e ho scoperto di non essere più in grado di rispondere: il touch-screen aveva perso del tutto la sensibilità e ogni mio tentativo di accedere alla chiamata (o di compiere qualunque altra operazione, inclusa quella di provare a spegnerlo) si rivelava nullo.
Dopo alcuni istanti di sobria e pacata analisi del fenomeno (“Cazzo, ma che sfiga, mi si rompe proprio di sabato sera, dove vado adesso, CAZZO, COSA FACCIO?, AIUTO, CAZZO CAZZO CAZZZZZZOOOOOO!”), mi è tornata in mente la formula magica che da settimane sentivo ripetere da amici e conoscenti. Ogni volta che mi capitava di avere problemi con lo smartphone in presenza di altri, c’era sempre qualcuno che suggeriva: “Portalo da Johnny”. Per i milanesi quello di Johnny il cinese è ormai un nome noto e familiare, come la Madonnina, i panzerotti di Luini o il bar della signora Lina, un elemento della mitologia cittadina che si tende a dare per acquisito con il resto degli abitanti. Il fatto che Johnny sia tutto fuorché un nome cinese non sembra aver mai turbato nessuno: è chiaro che si tratti di un nome d’arte, assurto ormai allo status di marchio. Infatti anch’io avevo sentito nominare svariate volte Johnny (Wired gli aveva addirittura dedicato un servizio, giusto per indicare il livello di stardom di cui stiamo parlando), ma sino a ora non avevo mai avuto bisogno dei suoi servizi, quindi ignoravo l’ubicazione precisa o gli orari di lavoro. Un’amica mi aveva dato il suo indirizzo via sms, ma appunto in questo momento anche quella informazione mi era irraggiungibile. Disperato, ho acceso il computer e ho provato a digitare su Google “Johnny Paolo Sarpi” (una chiave di ricerca che mi appariva di una vaghezza assurda quanto “Samantha Los Angeles”) e invece, con mio totale sbalordimento, a parte un hotel omonimo, le altre prime reference indicavano il negozio di riparazioni. Una riportava anche gli orari di servizio: “Oggi aperto fino alle 20.30”. Nessuna proposta erotica sussurrata in quel momento mi sarebbe parsa più eccitante di questa prospettiva: aperto fino alle 20.30 di sabato! 
Mi sono infilato in metrò per fare il più velocemente possibile: dalla fermata di Moscova mi sono fatto a piedi il quarto d’ora che mi separava da via Giordano Bruno, sede della “D.T.M. riparazioni”, il cui logo ufficiale nell’insegna luminosa era sormontato dalla ben più chiara e riconoscibile indicazione “JOHNNY”. 
Mettere piede nel negozio significa precipitare in una scena di Blade Runner con l’effetto 3d più stupefacente mai sperimentato, poiché il luogo è reale: uno stanzino rettangolare e profondo, i cui muri avrebbero un disperato bisogno di ritinteggiatura, con una serie di polverose vetrinette alle pareti che mostrano accessori di telefonia che paiono gettati lì più alla rinfusa che allo scopo di essere esposti. Del resto nessuno dei presenti ci getta neanche una distratta occhiata. L’attenzione di tutti è concentrata verso il bancone dove due cinesi (uno più giovane, sui 30 anni, e uno più maturo, sui 40, gradi di anzianità orientativi poiché l’attribuzione di età agli individui asiatici resta per noi occidentali una sorta di limite cognitivo insormontabile) si occupano con manifesta professionalità di accogliere le richieste dei presenti. Alle loro spalle si erge una distesa di reperti informatici in vari gradi di abbandono: monitor spenti, tastiere sventrate, cellulari impilati uno sull’altro, cavi elettrici, tablet coi vetri infranti, custodie di ogni dimensione, portatili in ricarica, hard disk esterni che lampeggiano insistenti. L’impressione che se ne ricava, va detto, non è affatto rassicurante. Più che un negozio sembra l’angolo di un magazzino, e del magazzino assomiglia allo stanzino degli scarti. Ma non facciamoci influenzare dalle apparenze. 
Prima di me ci sono tre persone. Nell’attesa ne giungono altrettante alle mie spalle. Lo sguardo sul volto di ciascuno è: allucinato. Hanno tutti (me compreso, ovvio) l’espressione di chi sta affrontando il disastro: l’orlo dell’abisso sul quale siamo affacciati è troppo spaventoso per guardare in basso e l’unico appiglio al quale possiamo tendere, ansiosi, tremanti, spauriti, è rappresentato dai due orientali dietro il banco. 
A un certo punto ho l’impressione che l’uomo immediatamente prima di me stia per mettersi a piangere: racconta che il telefono si è spento all’improvviso (“Si è bagnato” confesserà poco più tardi, vergognandosene, ma ammettendo finalmente l’orrida colpa) e al suo interno conserva ogni dato sensibile necessario per la sua attività di libero professionista (“Tutti i miei appuntamenti di lunedì!” aggiunge, con una nota di disperazione). Il cinese più maturo, che l’ha preso in carico, è del tutto indifferente al tenore emotivo della conversazione. Con un cacciavite microscopico apre il retro del suo Samsung, lo osserva da vicino con attenzione e al termine, come in un antico rito sciamanico, emette il suo verdetto:  “Asciughiamo, faccio backup tutti i dati, sostituzione battelia, tolna tla una ora, ottanta eulo”. “Tra un’ora?” chiede l’uomo, incredulo. Il cinese annuisce. Per un secondo temo che l’uomo stia per prendergli la testa fra le mani e cominciare a limonarlo. Non lo fa, ma è quello che il suo sguardo lascia chiaramente trasparire: il sollievo infinito di chi vede di nuovo salva la propria vita e non sa come dimostrare l’esplosione di gratitudine che sgorga dal suo cuore. (L’amica che mi aveva fornito l’indirizzo di Johnny mi aveva anche confessato che nel suo caso si trattava di un portatile contenente il lavoro di un intero anno, e quando il cinese le aveva annunciato di essere in grado di ripararlo e recuperare i dati al costo di 180 euro, lei si era messa a urlare “Ma io te ne dò anche mille!”, facendo la figura di una pazza e vergognandosene molto nei giorni a venire).  
Dopo il caso del telefono salvato dalle acque, il mio appare come ordinaria routine, solo più numerosi gli interventi: sostituzione batteria, tasto centrale, schermo e verifica dei collegamenti. Costo totale 130 euro, anche se l’operazione richiede un tempo maggiore. “Puoi venile domani mattina?”. Cioè, Johnny, o emissario di Johnny che tu sia, mi stai dicendo che siete aperti anche di domenica? Non formulo la domanda perché la risposta è già implicita nella sua proposta. Temevo di restare privo di cellulare per giorni e lo sarò solo per una notte. “Certo che posso”. Lui prende i miei dati e li trascrive su un adesivo che applica sul retro del mio apparecchio. Poi porta il mio telefono, insieme ad altri che si erano accumulati in questa manciata di minuti, in una stanza situata sopra il negozio. L’immagine inquietante  che si forma nella mia mente di una camerata-lager con una schiera di cinesi ridotti a schiavitù e costretti a riparazioni digitali senza sosta, attuando un meccanismo di sfruttamento che permette agevolmente le aperture fino a tardi tutti i giorni della settimana senza interruzione, è subito cancellata dall’egoistica e occidentale soddisfazione al pensiero che domattina avrò di nuovo il mio apparecchio funzionante. Sfreccio leggiadro verso la cena che mi attende, con l’inedita e quasi eccitante consapevolezza di essere isolato nelle comunicazioni per circa quattordici ore.  
La mattina seguente vado a ritirare l’apparecchio. Funziona tutto all’apparenza. Pago e torno a casa. Un paio d’ore dopo mi accorgo che persiste un problema grave: la parte destra del telefono è ancora priva di sensibilità touch-screen. La ricevuta che Johnny mi ha fornito reca la scritta “Certificato di garanzia Johnny”. Ne approfitto immediatamente e torno. Un altro cinese (stavolta più giovane e con una pronuncia italiana molto migliore, chiaramente di seconda generazione e forse, a giudicare dalla foto di Wired, proprio Johnny in persona) si scusa per l’inconveniente e mi chiede di ripassare più tardi. Quando mi ripresento il problema non è risolto: persiste tale e quale. Il ragazzo sembra seccato per questa mancanza di professionalità verso il cliente. “Aspetta qui” dice e va lui di persona a occuparsene, uscendo da una porta sul retro. Rientra poco dopo annunciando: “Sostituiamo un altro schermo, torna tra mezz’ora, ti assicuro che sarà a posto”. In effetti avviene proprio così. Al ritorno l’iPhone ha riguadagnato tutte le sue funzioni e non presenta più difficoltà di utilizzo.
Morale: il tutto mi è costato tre viaggi (abito dall’altra parte della città) e la perdita di una giornata intera fra una sostituzione e l’altra (durante un we in cui i normali negozi di riparazioni sono chiusi), ma alla fine Johnny mantiene fede al suo mito archetipo. 

Adesso mando sms, navigo in rete e rispondo alla chiamate in scioltezza. E mi sento un pochino più milanese di prima.   



sabato 26 settembre 2015

LA PAROLA AI LIBRAI: 8 - TAMARA GUAZZINI (EMPOLI)



Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria? 
Confesso: ci sono capitata per caso. La librerie Rinascita a Empoli (come molte “Rinascita” nate negli anni settanta per volontà dell’allora PCI) esisteva già e a me fu chiesto di entrare per dare una mano ad organizzare manifestazioni esterne alla libreria. Era il 1982, avevo solo 22 anni e forse conoscevo meglio le questioni amministrative dei libri. 

Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni? 
Sicuramente è aumentata la burocrazia e il lavoro d’ufficio: serve tanto più tempo per il controllo dei costi che sono letteralmente lievitati. Compresi quelli legati agli approvvigionamenti, alla distribuzione: la logistica insomma. Penso, però, che più che il lavoro del libraio siano cambiate le aspettative dei lettori. Internet, gli ebook, la grande distribuzione, ci “spingono” ad essere sempre più efficienti, ad utilizzare sempre più le tecnologie ma anche ad essere più “accoglienti”, a personalizzare il rapporto con il cliente, che è quanto più ci distingue dagli altri canali. In questo mestiere, oggi come dieci anni fa, vince l’attenzione al cliente.  

So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?   
Infatti non c’è. Diciamo che è spesso simpaticamente disponibile alla “chiacchiera” e che è più spesso donna.E’ certo, però, che anche da noi non mancano certi “casi patologici” che tanto piacerebbero a Paolo Nori! 

Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?  
Sicuramente quando si riesce a soddisfare la ricerca del cliente con un consiglio, un suggerimento, una parola, e il libro giusto, naturalmente. 

Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia? 
La miopia e l’ottusa arroganza di certe politiche “scontistiche” che alcuni editori perseguono. Campagne che non hanno significativamente contribuito a far vendere di più, al contrario hanno fatto sballare tanti conti economici, soprattutto quelli delle librerie che, ricordiamolo, si reggono su uno “zero virgola” di margine netto. Comunque, da quando abbiamo deciso di non aderire più a campagne di questo tipo, salvo in rari casi, dove decidiamo con molta ponderazione, il mio fegato sta molto meglio. 

La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente? 
Un metro e quaranta di libri tutti alti uguali. Domanda facile da soddisfare ma abbastanza bizzarra. Oppure qualche studente che avrebbe voluto conoscere il riassunto verbale di un bignami. Ma a parte richieste, come dire, divertenti, qualsiasi domanda i clienti facciano vale la pena soffermarsi a pensare per capire, anche se ti chiedessero indicazioni per la stazione.  

Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio? 
Il trasferimento della libreria in un locale molto più grande e centrale e l’inaugurazione della nostra seconda libreria. Recentemente un nuovo cliente che ci ha fatto i complimenti per l’assortimento di tanti editori “non facili da trovare in tutte le librerie”. Sicuramente una serie di incontri con scrittori ed editori. E poi la realizzazione del nostro piccolo festival, Viruslibro, che quest’anno ha raggiunto la nona edizione e che, oltre ad avere una gran bella partecipazione di pubblico, viene richiesto,ogni anno, a gran voce dai nostri clienti… E poi, e poi, e poi… 

Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?  
Sì. Ogni città o quartiere dovrebbe avere almeno una libreria. Che sia un punto di incontro e di riprovo dove stare senza sentirsi estranei. Noi pensiamo di esserlo. Trattiamo anche lo scolastico, abbiamo una sezione di libri per la didattica e cerchiamo di avere il massimo dell’assortimento compatibile perché pensiamo che il primo servizio che possiamo dare ai cittadini sta nella possibilità di poter trovare – e anche di vedere prima di acquistare - i libri che si stanno cercando (ed anche quelli che non si sa di desiderare). 

Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare? 
Questa è una domanda che farei volentieri ai lettori. Ogni libreria indipendente, in quanto tale, ha una propria caratteristica. Qualcosa di “unico” che è in sé un valore. Credo che più o meno in tutte quante prevalga il senso dell’accoglienza e della proposta, che sia una proposta di pochi libri ma ben selezionati oppure di un assortimento ampio ma con un occhio di riguardo per i cosiddetti piccoli editori.

Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro? 
Per forza! Nelle due librerie siamo in dodici libraie (tutte donne) e se un libro c’entra in testa….

Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività? 
Non c’è un motivo solo. Io credo molto nella nostra forma societaria: siamo una cooperativa che oggi ha più di 800 soci. Ci lavoriamo in dodici, tutte socie/dipendenti. Ognuna diversa ma con un obbiettivo comune: continuare a far vivere la libreria consapevoli che è un lavoro duro ma che è anche il più bello del mondo!


Libreria Rinascita
Via Ridolfi 53
Via Sanzio, 199

 EMPOLI

LA PAROLA AI LIBRAI: 7 - LUCA POSSENTI (ROMA)


Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?

In realtà a lavorare in una libreria sono giunto per caso. Circa dieci anni fa avevo appena lasciato il mio lavoro di tecnico pre-sales in una multinazionale di telecomunicazioni e ne avevo abbastanza di un certo tipo di ambiente. Non lo sapevo in maniera cosciente, ma avevo davvero bisogno di una sorta di downshift lavorativo e di ritrovare un ambiente più intimo e umano, con tutti i pro e i contro che ne derivano. L'occasione è capitata quando la mia libreria di fiducia sotto casa aveva bisogno di una mano e mi sono prestato a dargliela. Da lì è nata un'amicizia e un nuovo lavoro. Quando poi lo scorso anno i proprietari della libreria sono andati “in pensione” dopo 35 anni di attività, ho fatto una scommessa insieme al mio compagno da 20 anni, Francescopaolo, e a dicembre abbiamo riaperto i battenti. Una scommessa rischiosa dal punto di vista economico (con una libreria di certo non ti ci arricchisci; se va bene, riesci a viverci); ma credo che soprattutto in tempi bui come questi – sia da un punto di vista economico che culturale - bisogna osare.



Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
La professione del libraio è a rischio di estinzione e dovrebbe essere salvaguardata dal WWF. I librai indipendenti sono attaccati dalle grandi catene e dalla grande distribuzione (come i supermercati) che per anni hanno potuto permettersi sconti enormi (ma che adesso si rendono conto di aver fatto i conti senza l'oste. Anzi i conti molti non li hanno mai pagati e ora stanno sottosopra); sono attaccati dai distributori editoriali, che sempre più chiedono garanzie economiche eccessive; la legge Levi che avrebbe dovuto proteggere i piccoli librai dagli sconti eccessivi che i grandi potevano permettersi si è ritorta contro tutti e le case editrici ne approfittano; sono attaccati dalla diffusione degli e-book e dalle grandi multinazionali che vendono libri online e, last but not least, dall'enorme produzione editoriale (“meno si vende, più si pubblica” è la regola). Senza dimenticare, infine, lo sconto al cliente, che ormai sembra obbligatorio: la gente forse non sa o non riflette sul fatto che il libro ha un prezzo imposto, quindi senza ricarico, che il margine di guadagno è molto ridotto e che da questo un libraio deve tirarci fuori i soldi della busta, del pacchetto regalo, delle bollette, dell'affitto e magari riuscirci a vivere. In aggiunta a tutto ciò, si legge sempre meno e soprattutto male: spesso i lettori vengono imboccati da giornali (con recensioni comprate) e tv (con spottoni ai soliti noti) e quei pochi libri che vengono letti in massa sono spesso di qualità scadente. Per questo il libraio vero, quello che legge, si informa, si confronta e infine consiglia o discute è oggi più che mai una figura fondamentale. Sempre che gli rimanga il tempo di farlo tra un conto e l'altro. 


So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
In una piccolissima libreria di quartiere come la nostra, il cliente standard è quello che entra e sa di poter contare su un consiglio buono, sa che il libraio già alla seconda volta ha capito quali sono i suoi gusti in materia di letteratura e può aiutarlo a scoprire nuovi titoli e autori in sintonia con le proprie preferenze. Sembra incredibile, ma una gran parte dei nostri clienti entra in negozio dicendo: “Buongiorno! Cosa mi fa leggere oggi?”.


Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
Quando passano in libreria solo per dirti quanto è piaciuto loro il libro che hai consigliato.


Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
Quando i genitori vengono al posto dei figli a comprare romanzi che hanno assegnato loro a scuola e si spaventano del titolo o si lamentano del numero delle pagine (“Oh, ma sono 200 pagine! Non lo leggerà mai! Ha mica un riassunto?”)


La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente?
Chiedono di tutto in realtà, neanche avessi un supermercato. Una delle domande più frequenti è “Ho sentito di un libro che mi interessava, ma non so né il titolo, né l'autore” (ma spesso riusciamo a capire di cosa si tratta). Ma purtroppo mi è capitato anche più di una volta in realtà di dover dire “Mi spiace, ma non posso farlo” alla richiesta di qualche cliente di comprare per lui/lei un libro online.


Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
Ogni volta che tornano per parlare del libro che hanno letto grazie a te e ti chiedono un nuovo consiglio o te ne danno uno in cambio. Ogni volta che si crea una piacevole discussione con o tra i clienti. Ogni volta che un cliente è diventato un amico. Ogni volta che un bambino è eccitato per l'uscita di un nuovo libro. Ogni volta che i laboratori per bambini che organizziamo spesso nei weekend sono apprezzati e partecipati. Ogni volta che hanno successo gli incontri con gli autori; recentemente è stato fantastico quello con Alessio Arena, bravissimo scrittore e cantautore, che oltre a parlare del suo romanzo “La letteratura tamil a Napoli”, ha suonato la chitarra e cantato. Per giorni e giorni la gente è venuta a ringraziarmi per aver organizzato l'incontro e l'eco di quella serata è ancora viva nel quartiere. O quello esilarante con Gaja Cenciarelli per il suo “ROMA (TUTTO MAIUSCOLO COME SULLE VECCHIE TARGHE)”, accompagnata per l'occasione, tra gli altri, da Giordano Meacci e Francesca Serafini, appena passati sul red carpet a Venezia per la sceneggiatura del bel “Non essere cattivo” di Claudio Caligari.


Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/alla tua città? Perché?
Penso di sì, o almeno lo spero. Ho scelto di continuare a fare questo mestiere perché credo che una libreria non sia solo un esercizio commerciale, ma possa e debba diventare un luogo di scambio di idee.


Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
Per i clienti l'opportunità di una chiacchiera, di un consiglio, in generale di una “coccola” che in un negozio di una grande catena non potrebbero mai ricevere. Quando il cliente inizi a conoscerlo, sai già che tipo di libro vuole leggere, per quale autore va matto, cosa evitare di proporgli e cosa invece puoi fargli provare di nuovo. Molti clienti con il tempo hanno cambiato gusti e sono/siamo cresciuti insieme. 


Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Capita di continuo. Il fatto di essere piccoli e indipendenti dà l'opportunità di proporre non solo il bestseller che il cliente trova ovunque, ma anche la piccola coraggiosa casa editrice (tanto per fare qualche esempio, la Playground o la Marcos Y Marcos) o l'autore che sai essere grande, ma che rimane invisibile per le leggi di mercato (ad esempio, la grandissima autrice canadese Helen Humphreys non va mai in classifica, ma da noi è ormai conosciuta e apprezzata quanto la Munro, se non di più). E poi ci permette anche di proporre libri su tematiche come quelle dell'omogenitorialità che, anche per motivi personali, ci piace vengano conosciuti.


Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
La prima parola che lessi (o meglio, riconobbi) fu “Motta” passando davanti ad un autogrill quando avevo solo 3 anni. Arrivai alle elementari, sapendo già leggere e scrivere e da allora non sono mai stato un giorno senza leggere un libro. Quindi direi che, sì, la passione per i libri (insieme al cinema e alla musica) è alla base del mio lavoro. Anche se poi non è così “romantico” come generalmente si crede e tocca fare i conti con cose più concrete e decisamente meno interessanti di un buon romanzo. 
Aggiungo che è un lavoro che gratifica spesso nel rapporto con la clientela e che può creare spunti di discussione e riflessione. Il che non guasta mai.



Libreria “Pagina 272”
Via Salaria, 272

Roma

LA PAROLA AI LIBRAI: 6 - FABRIZIO PIAZZA (PALERMO)


Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
La libreria non l'ho aperta io, ma i due titolari Salvo e Marcella, con i quali ho fatto conoscenza durante il mio stage da Marcos y Marcos al Salone del Libro di Torino del 1997. Il 20 giugno a Palermo si inaugurò Modusvivendi, io arrivai ad agosto per dare una mano temporaneamente, e alla fine ci sono rimasto per 18 anni, fino a oggi.

Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
Completamente trasformato, rivoluzionato, stravolto. Una volta erano i lettori che venivano a cercarti, il giovedì non facevi in tempo ad aprire i colli delle novità Messaggerie che già il giorno prima chiedevano questo o quel titolo, e il giorno dell'uscita non riuscivi nemmeno a registrarli al computer. Adesso è il libraio che deve andare a scovare potenziali lettori/lettrici. E come farlo? Qui risiede la creatività che rende ogni giorno più difficile ma più bella questa professione.

So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
Non esiste un cliente standard, perché non esiste una persona uguale all'altra. Quando devo consigliare un libro, cerco di capire sempre chi ho davanti, spesso chiedendo quali sono i suoi libri preferiti e regolandomi di conseguenza. Anche se non sempre è facile, cerco di non imporre i miei gusti. Naturalmente se si ama un libro è più facile condividerlo, farlo apprezzare ad altri. L'obiettivo è instaurare un rapporto di fiducia in modo che alle prossime visite la domanda sia: "e adesso cosa mi fai leggere?"

Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
Sapere che ci sono persone che si fidano a occhi chiusi, che scelgono la tua libreria anche se a meno di un chilometro c'è chi pratica lo sconto selvaggio. Far parte di una rete che non si riduce alle quattro mura della libreria, ma che comprende un modo di fare cultura che è l'unica ormai praticabile, quella dell'apertura al territorio.

Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
La richiesta di sconto, come se fosse ormai assodato che il libro debba essere svenduto. Amazon e la grande distribuzione hanno reso cronico un vizio determinato dalla mancanza di una legge che regoli in maniera chiara la filiera editoriale. La legge Levi è stato solo un primo passo ma adesso ci vorrebbe un intervento più deciso e risolutivo, sul modello francese.

La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente
In pole position due richieste: "Vendete anche libri?" e "Ma i libri normali dove li tenete?". Quest'ultima in realtà mi inorgoglisce, perché spesso in libreria diamo spazio e vetrine a titoli che non stanno nelle classifiche nazionali perché sostenuti dal marketing dei grandi gruppi editoriali.

Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
Sono tanti ma ne voglio citare due, uno recente e l'altro molto lontano nel tempo: la presentazione dell'ultimo romanzo di Miriam Toews "I miei piccoli dispiaceri" (Marcos y Marcos) che abbiamo contribuito a lanciare in tutta Italia con una serie di iniziative sui nostri social. E la scoperta di un autore come Paolo Nori quando esordì con Fernandel con un romanzo che si chiamava "Le cose non sono le cose". Autore e editore in quei mesi continuavano a chiedersi come mai da Palermo continuassero ad arrivare richieste di questo romanzo in cui faceva la sua comparsa per la prima volta l'eteronimo di Learco Ferrari.

Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Su questo non ci sono dubbi. Senza librerie, e senza librerie indipendenti in particolare, le città diventano tutte uguali, un unico grande centro commerciale dove le peculiarità spariscono. Siamo un baluardo di resistenza urbana e culturale.

Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
Un aspetto decisivo, che probabilmente sarà quello che salverà molte librerie dalla chiusura. Mi riferisco alla forza aggregante dei libri. Cito solo il nostro Modusclub, un circolo di lettura che ogni mese riunisce in un luogo diverso 50/60 persone a discutere di uno stesso libro, in luoghi diversi della città. A fine agosto abbiamo discusso di Carrère nel bellissimo Bed & Book di Marco Mondino e Alice Vitiello. E nell'appuntamento di inizio novembre saremo in un posto unico in città, la casa museo Stanze al Genio di Pio Mellina. Un appartamento che ha al suo interno una straordinaria collezione di quasi 3000 maioliche datate tra Cinquecento e Novecento. I libri così vengono sdoganati ed entrano a far parte di un più grande tessuto culturale.

Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
L’entusiasmo del primo giorno. La convinzione che i libri ci rendano persone migliori.

Libreria Modusvivendi
Via Quintino Sella 79
Palermo

martedì 22 settembre 2015

LA PAROLA AI LIBRAI: 5 - GAIA FABBRI (LA SPEZIA)



Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
L’amore smodato per i libri e il caso. Lavoravo in una piccolissima casa editrice, quando hanno smesso di pagarmi lo stipendio ho deciso di iscrivermi alla Scuola Librai Italiani. Poi è arrivata la libreria.

Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
La libreria ha solo un anno, quindi non ho una grande esperienza con cui confrontarmi. Credo però che i librai di oggi, soprattutto quelli indipendenti, debbano tenersi costantemente aggiornati (anche sulle novità tecnologiche che interessano il settore) e conoscere molto bene lo strano prodotto che vendono. Almeno per quella che è la mia esperienza, si vendono praticamente solo i libri che si sono letti (e amati).

So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
Credo di essere molto fortunata, le persone che incontro in libreria sono molto curiose, spesso entrano per chiedermi cosa sono le strane case editrici che vedono in vetrina, hanno voglia di storie e di chiacchiere, non per forza riguardanti i libri. 

Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
La soddisfazione maggiore è data soprattutto dalle persone che si fidano dei miei consigli, che tornano dicendomi che il libro di cui abbiamo parlato era proprio quello di cui avevano bisogno in quel momento. Da quando faccio questo lavoro ho incontrato persone straordinarie, molti clienti, scrittori, editori. Sono soprattutto gli incontri il motivo per cui credo che questo sia il lavoro più bello del mondo.

Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
I rari clienti che chiedono gli sconti, quelli che si rapportano al libro come se fosse una merce come tutte le altre, spesso anche gli agenti che passano dalla libreria e credono di avere le risposte a domande che invece io non mi pongo neppure. L’editoria a pagamento.

La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente?
Se per caso vendessi anche ceri da chiesa.

Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
Una sera, dopo uno spettacolo tratto dalle Lettere alla fidanzata di Pessoa, un cliente fuori dalla libreria parlava al telefono e diceva: “Sono appena uscito dalla libreria nuova dove ho visto uno spettacolo bellissimo. E che atmosfera, sembrava di essere a Parigi!”
E pochi giorni fa una mattina mi sono trovata in libreria Marco Cassini.

Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Lo spero! Per ora in parecchi mi dicono che sentivano la mancanza di un posto dove si potesse chiacchierare di libri e cultura, conoscere gli scrittori, incontrarsi e confrontarsi. Mi auguro di continuare per questa strada e ampliare il numero di persone coinvolte.

Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
Il rapporto umano, l’amore per questa professione, per i libri e per gli incontri, la competenza del libraio e anche la voglia di imparare qualcosa dagli altri.

Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Non credo, ma sicuramente vendo molte copie dei libri che amo intensamente. Mentre questo non cambia nulla per le grandi case editrici, credo che per i piccoli editori possa fare la differenza.

Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
Non mi sono mai divertita tanto nella mia vita, anche se è un lavoro faticoso le soddisfazioni che regala valgono decisamente l’impegno che richiede.


Libreria Liberi Tutti
via Tommaseo 49 

La Spezia

LA PAROLA AI LIBRAI: 4 - ROBERTO TARTAGLIA (MILANO)


Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
Non è una cosa che ho cercato mi è capitata. Ho sempre fatto il libraio come dipendente e un giorno mi è stato proposto di rilevare la Libreria Centofiori. Non ho ragionato e l’ho fatto. Fare i librai indipendenti è da incoscienti.

Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
È cambiato moltissimo, l’evoluzione del mercato editoriale in questi ultimi anni ha avuto un’accelerazione pazzesca, sia nel bene che nel male. Ci sono più libri, c’è molta più confusione bisogna usare moltissime energie per tenersi informati. Il libro è arrivato ovunque si può comprare in qualsiasi posto. La libreria non è più l’unico posto deputato all’acquisto dei libri.

So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
La libreria si trova in un quartiere di Milano semi centrale. La maggioranza degli abitanti sono benestanti, forti lettori e spesso lavoratori del mondo editoriale. Ho clienti esigenti molto preparati consapevoli delle proposte editoriali. Noi riusciamo a fargli trovare quello che cercano.

Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
Mi riallaccio alla risposta precedente. Avendo clienti molto esigenti la maggior soddisfazione è riuscire a vendergli libri che loro non sapevano di voler leggere e che sono quelli giusti per loro.

Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
Ci sono tante cose, una su tutto la continua richiesta dello sconto. Per colpa di politiche commerciali a mio avviso miopi, è ormai dato per normale che il libro si debba comprare scontato. Ma a noi piccoli librai lo sconto di cessione viene comunque calcolato sul prezzo imposto, e lo sconto di cessione è spesso molto inferiore a quello della GDO e delle librerie di catena.

La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente?
Sono veramente tante. Si va dalla fotocopia a il cercavo un libro con la copertina azzurra.

Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
Quelli più belli sono quando ricevi complimenti per la tua libreria.

Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Ne sono convinto. Ogni libreria non può che migliorare il quartiere in cui sta.

Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
La risposta è molto lunga e complessa. Ma in sintesi quello che può fare è dare una proposta non omologata, fatta di scelte oculate e ponderate. Dettate dall’esperienza e dalla passione. Ogni libreria indipendente è diversa dalle altre. Mentre le librerie di catena sono uguali le une alle altre.

Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Certo, noi siamo una libreria di proposta e quando ci è piaciuto un libro lo diamo in mano a tutti quelli che entrano.

Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
È un bel lavoro mi piace il contatto con i lettori la possibilità di condividere le tue letture il fatto che ogni giorno è diverso non è un lavoro di routine si impara e si conoscono sempre cose nuove.


Libreria Centofiori
Piazzale Dateo, 5 
Milano


lunedì 21 settembre 2015

LA PAROLA AI LIBRAI: 3 - AMEDEO BRUCCOLERI (AGRIGENTO)



Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
La mia grande passione per i libri e per sfidare la mia città. Quando ho aperto la libreria, 11 anni fa, c'erano solo due cartolibrerie.

Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
Tantissimo, le nuove tecnologie (e-book, e-commerce, etc) hanno trasformato quasi radicalmente il rapporto quotidiano con i libri. Se oggi, un libraio non si informa di continuo, rimane tagliato fuori. Devi operare una necessaria selezione di titoli, per evitare che la tua libreria diventi un magazzino di carta.

So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
Selettivo, molto colto, ben informato

Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?Veder ritornare i clienti soddisfatti e felici per aver seguito un tuo consiglio

Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
L'ignoranza del lettore medio italiano. Ti chiede solo i libri che vede presentare da Fabio Fazio. E l'attuale gestione delle case editrici maggiori, che si concentrano solo sui numeri. 

La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente?
Se poteva portare un libro a casa (chiaramente senza pagarlo) per riportarlo un paio di giorni dopo. Un'altra mi ha chiesto di cambiarle un libro regalatole un anno prima  acquistato in una libreria di Como

Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
Un bambino di 4 anni, che dopo essere andato via dopo un laboratorio di lettura, è risalito per le scale e ritornato per darmi un bacio e ringraziarmi per il suo pomeriggio. Era felice, per l'iniziativa, almeno quanto lo ero io per la sua sensibilità.

Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Perché sono da sempre a favore  della diffusione e la libera circolazione della cultura. Non per la sua conservazione. Una libreria diventa il motore portante di questo meccanismo. 


Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
Sull'argomento, potrei scrivere un libro. Evito qualsiasi risposta per evitare di far scoppiare il solito casino inutile sulle differenze fra libraio indipendente e libreria di catena.
   
Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Spesso. Io consiglio quasi sempre libri di piccole case editrici, indipendenti, che leggo con grande attenzione. Non acquisto più best seller da anni

Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
Una specie di autolesionismo masochista che mi fa pensare, ancora oggi, che la lettura
di un buon libro possa contribuire a far pensare e riflettere l'uomo. A cambiare la sua vita in meglio

Libreria Capalunga
Parco Letterario “Cerchio Nel Caos”
Contrada Caos

Agrigento

mercoledì 16 settembre 2015

LA PAROLA AI LIBRAI: 2 - ALDO ADDIS (SASSARI)


  • Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
L'ho ereditata da mio padre. Sono tra gli ormai pochi fortunati che svolgono il mestiere dei genitori. La libreria è nata nel 1974, io avevo 7 anni. Dalla morte di mio padre, nel 1991, ho rilevato io l'attività. Avendo sempre sognato di poterlo fare….

  • Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
Secondo me, pur tra mille diversità(l'enorme aumento del numero di pubblicazioni, l'informatizzazione, l'avvento del digitale, la crisi economica che per la prima volta ha investito anche il mondo editoriale, il modificarsi delle abitudini di lettura) il mestiere di libraio era e resterà sempre quello di mettere in relazione chi scrive e pubblica libri con chi li legge. Proprio oggi che si parla di disintermediazione, che qualcuno paventa un mondo del libro in cui ci sarà solo chi scrive e chi legge, penso che siano ancora più necessari i mestieri del libro. Ed in particolare la figura del libraio, come quella del bibliotecario, avranno sempre più un ruolo nel promuovere bene i libri e gli autori che valgono, distinguendoli da tutto ciò che sta emergendo soprattutto col fenomeno del self publishing e dell'editoria a pagamento, dove non c'è alcun filtro da parte di un editore, nessuna professionalità che garantisca la qualità del libro.

  • So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
Ogni libreria ha un target diverso. Da noi il cliente tipo è il lettore forte, molto preparato anche sui cataloghi e aggiornato sulle ultime uscite. Questo determina la necessità per noi di essere all'altezza sempre, e dunque di aggiornarci e leggere continuamente libri e recensioni. ma è un grande vantaggio: ascoltare i consigli di lettori così bravi è un arricchimento per tutti noi, tanto che spesso li "sfruttiamo" con gli altri clienti.

  • Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
Per quel che riguarda la professione del libraio, resta il riconoscimento da parte della comunità in cui vivo, del ruolo imprescindibile che svolgiamo, quello di promotori culturali, oltre che di commercianti. E come presidente di Lìberos la soddisfazione migliore la provo quando mi rendo conto che portare autori e occasioni di incontro in tanti paesi e città che normalmente non hanno queste opportunità, produce risultati in termini di crescita culturale e sociale, e ne sono prova i dati sulla lettura in Sardegna che, al contrario del resto d'Italia, sono in aumento. Come direttore della Scuola Librai Italiani, invece, la soddisfazione migliore è quella di dare l'opportunità a tanti giovani di svolgere il nostro mestiere, in un momento difficile e complicato: grazie ad un'adeguata formazione il mestiere di libraio continuerà ad essere fondamentale nel mondo editoriale.

  • Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
Due cose soprattutto: la prima è l'incapacità della nostra classe dirigente di portare avanti politiche serie di promozione culturale. Spesso per assoluta ignoranza del fatto che in realtà investire in cultura fa crescere un territorio sia dal punto di vista sociale che economico. E recenti studi affermano che c'è una stretta dipendenza tra benessere, salute, e partecipazione culturale. Con tutto ciò che ne consegue.
La seconda cosa che non sopporto è relativa al nostro mondo: c'è ancora qualcuno che pensa di potersi salvare da solo, che l'insuccesso o il fallimento dell'altro possa portare benefici a se stesso. E' impossibile che si possa uscire da questa crisi se non si mettono insieme energie e risorse. Il mondo del libro ha le capacità, le intelligenze, le risorse e le persone per farlo. Insieme.
   
  • Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
L'ultimo: il 3 luglio abbiamo consegnato gli attestati agli allievi della Scuola Librai: tra di loro c'era mio figlio. 

  • Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Se non lo pensassi cambierei mestiere. Sono convinto che il vero valore di un libraio sta proprio nella sua capacità di incidere sulla crescita culturale, sociale ed economica della comunità in cui opera

  • Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
Non farei distinzioni di formule, né tantomeno di insegne: la differenza tra le librerie la fanno i librai che ci stanno dentro.

  • Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Assolutamente sì. Ci sono autori e libri che oggi sono famosissimi, ma che all'inizio hanno avuto bisogno del nostro consiglio per generare quel passaparola tra i lettori che a tutt'oggi resta la vera chiave del successo di autori e libri. Molti scrittori sardi che oggi sono letti e apprezzati anche all’estero, devono una parte del loro successo al rapporto privilegiato che si è instaurato con noi librai. 

  • Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
Chiamala vocazione, passione, ma anche malattia: non saprei pensare ad un'attività più gratificante per me. E' quello che ho sempre voluto fare, e non ho cambiato idea...


Aldo Addis
Libreria Koinè
via Roma 137
Sassari

lunedì 14 settembre 2015

LA PAROLA AI LIBRAI: 1 - ANDREA GELONI (PIETRASANTA)




Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
È quello che ho sempre voluto fare. Solo che pensavo fosse impossibile campare vendendo libri (e in effetti un po’ lo è). 

Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
Lo faccio da meno di dieci anni, ma anche confrontandomi con i colleghi credo che il lavoro del libraio indipendente sia da una parte più complicato e dall’altro più stimolante. Non ti puoi sedere mai. Una base di competenze ci vuole, ma non puoi prescindere da un aggiornamento continuo, dal sapere di cosa si parla sui social e persino su Vanity Fair. Essere “sul pezzo” è fondamentale. Ma lo è anche non perdere di vista che siamo bravi solo se leggiamo. Ossia se poi chiudiamo i social e Vanity, e apriamo un libro. Una specie di doppia identità necessaria.  

So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
Io sono un libraio fortunato. Ho molti clienti ai quali basta che dica “questo”: e sono soddisfazioni, perché vuol dire che il consiglio precedente è andato a segno. Ma forse professionalmente sono più importanti quelli che hanno anche qualcosa da insegnarmi, in un’ottica di scambio tra umili e appassionati lettori. Però il mio cliente standard è anche uno a cui piace chiacchierare, non necessariamente di libri. Forse siamo diventati presidi di scambi di umanità, in senso lato.

Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
Il vero libraio è san Giovanni Battista: noi indichiamo il Messia. Quando punto la pistolina sul codice a barre del Conte di Montecristo, e so che la persona che ho davanti sta per incontrare Edmond Dantès, e che quello sulla pistolina è l’umile dito che indica la luna: quello è il momento migliore.

Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
Quelli che pensano che un libro sia una merce come le altre. Con tutto che pago le fatture e l’affitto come gli altri commercianti: ma chi pensa che un libro vada promosso con i trucchetti del marketing non ha capito nulla. Poi lo so che i grandi numeri si fanno anche coi trucchetti del marketing, ma preferirei che chi si occupa di grandi numeri tacesse su cosa vuol dire fare il libraio, che è un’altra cosa. A ciascuno il suo. E poi sì, lo devo dire: quelli che hanno il conto in Banca Etica e comprano i carciofi bio e lo zucchero integrale e poi però non si fanno problemi a comprare i libri su Amazon.

La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente?
A parte l’ormai vasta letteratura sugli strafalcioni – che fanno anche tenerezza, e li faccio anche io – la cosa più assurda, diciamolo, sono gli sconti. Gli sconti sui libri sono assurdi, e nei paesi civili infatti sono vietati, cosicché i libri costano meno per tutti. Noi ovviamente facciamo piccole promozioni (quel poco che è sostenibile) e sulle spese medie qualcosa levo, ma mi trovo davanti gente che da per scontato che io possa comportarmi come chi ha margini che sono più grandi dei miei anche di dieci volte. Poi capita che chi chiede lo sconto sul librino da otto euro poi ti chieda se è ancora in commercio il fotografico nel quale si parla della villa medicea ove risiede. Giuro, è successo. Mentre chi conosce davvero il valore dei soldi, e dei libri, è meno facile che chieda sconti.

Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
Quando Vargas Llosa venne in libreria e mi pagò con la carta, e io vidi sulla carta “Mario Vargas Llosa” e pensai: ma guarda questo, oltre allo stesso nome ha anche una somiglianza impressionante. Giuro. E poi quando venne la Vanoni, canticchiando “L’uselin della comare”. E poi i clienti normali, quando vengono a farti vedere il bimbo appena nato, o quando portano gli amici. Ma non finirei più.

Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Non è che lo penso: lo so. Ma non è che sto lavoro lo faccio io da solo. Lo fa anche chi frequenta le librerie indipendenti. Un centro storico senza una libreria – e purtroppo ce ne sono tanti - è come un cono senza il gelato. Però tanti si lamentano solo quando le librerie chiudono, perché fa cittadino responsabile e attento. Bisognerebbe pensarci prima, finché le librerie sono aperte. Le istituzioni, certamente, ma anche le singole persone.

Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
A parte la comodità per il cliente di non dover stare a spiegare al commesso che Tristram Shandy non è l’autore di Vita e opinioni, essere indipendenti per un libraio vuol dire promuovere quello che davvero ci piace e non quello che decidono gli uffici marketing che hanno pagato tot di diritti e devono rientrare delle spese. Essere liberi di mettere in prima fila il titolone della grossa casa editrice (perché è indubbio che spesso con maggiori mezzi si stampino autori migliori) ma anche di affiancarci il grande scrittore sconosciuto pubblicato dalla piccola casa editrice. E anche essere liberi di dire alla cliente che conosci bene, e che si fida di te: guardi che di quel libro secondo me può fare a meno. 

Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Ehi, parli col suggeritore del titolo Morte dei marmi! Quindi certo che sì. A parte questo (che è una cosa a cui tengo tantissimo, anche perché è venuta chiacchierando, mentre Fabio Genovesi girottolava in libreria, senza brainstorming o indagini di mercato) è indubbio che nel sottobosco delle case editrici indipendenti le librerie indipendenti riescono a fare molto. Sono numeri che farebbero sorridere i grandi manager, ma che spesso fanno la differenza sia per noi che per loro. Poi ora coi social è tutto più semplice, sia fattivamente che in potenza, se riusciamo a fare sempre più rete. Se io so che a Fabrizio Piazza (libraio indipendente a Palermo) è piaciuto un libro, siccome c’è stima, so che un’occhiata gliela devo dare anch’io, e che probabilmente piacerà anche a me e ai miei clienti.

Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
Le mie socie, i miei clienti. E poi l’idea che sia possibile fare bene il proprio lavoro. Parlo del mio, certo, ma parlo di tutta la filiera. Dagli scrittori, agli editor, ai traduttori, agli editori, agli agenti, ai librai. Forse non si percepisce da fuori, ma se non ci fosse una passione fortissima, coi numeri che girano saremmo tutti a casa. Invece stringiamo i denti e resistiamo, non si sa nemmeno fino a quando, e a volte nemmeno a cosa stiamo resistendo. Ma sappiamo perfettamente, senza il minimo dubbio, che ne vale la pena. 

Andrea Geloni
Libreria NINA
Via Mazzini, 54 

Pietrasanta (Lu)



LA PAROLA AI LIBRAI


L’editoria è in crisi. Il mercato del libro sta attraversando una fase delicata e incerta di trasformazione: l’avvento del digitale, le piattaforme per l’autopubblicazione, la fusione dei grandi gruppi editoriali, il crollo delle vendite, i social network che sottraggono tempo alla lettura tradizionale. In questo confuso scenario, nel quale anche le previsioni a breve termine sono difficili da fare, molte piccole case editrici sono costrette a chiudere e ancora di più sono le librerie indipendenti che abbassano la saracinesca. Ma quelle poche che resistono, come riescono a farlo? In anni di attività come scrittore, attraverso presentazioni, incontri, festival e manifestazioni, sono entrato in contatto con numerosi librai e spesso sono rimasto affascinato dalla loro passione, dalla loro preparazione e dall’entusiasmo col quale svolgono il loro lavoro. Sono loro che reggono in piedi, senza alcuna agevolazione e spesso senza nessuna riconoscenza, un tessuto culturale che permette a questo paese di essere ancora vivace e reattivo, anche in zone dove sembrerebbe impossibile esserlo. Così mi sono chiesto, ma loro come stanno vivendo questo momento? Cosa pensano? Come percepiscono il loro ruolo? Che difficoltà incontrano e che soddisfazioni provano? Ho stilato una serie di domande e le ho inviate ad alcuni amici sparsi per la penisola. A partire da oggi comincio a pubblicare le loro risposte, via via che mi giungono. 

Trovate la prima qui


(PS: Se siete anche voi dei librai e volete dire la vostra, fatemelo sapere).