domenica 30 dicembre 2012

ULTIME LETTURE 2012


Riparo al colpevole silenzio di un mese intero di assenza dal blog con alcune brevi ma succulenti segnalazioni (in inglese) per chiudere letterariamente l’anno in bellezza. Felice 2013 a tutti. 

L’edizione americana dell’Huffington Post regala ai suoi lettori un ebook che raccoglie il meglio degli interventi letterari dell’anno. Il libro elettronico contiene fra le altre cose, un ricordo di Nanette Vonnegut sul padre Kurt, un saggio sui posti preferiti per la lettura di Chuck Palahniuk, un tributo a Gore Vidal e Ray Bradbury, scomparsi quest’anno, e un articolo su come la diffusione degli ebook possa dare nuova linfa al mercato editoriale. Scaricatelo qui.  

Il sito Flavorwire indica quali sono state le riviste letterarie più innovative dell’anno, come la splendida “Reccomande readings” di Electric Literature o il quadrimestrale “Quarterly Co.” che invia per posta oggetti selezionati da artisti. Fatevi brillare gli occhi qui.

Se siete scrittori in fase depressiva, consolatevi: anche i grandi autori hanno attraversato momenti di simile scoramento. Ce lo ricorda sempre Flavorwire con una raccolta dei peggiori esempi di autocommiserazione di maestri quali Mark Twain o Dorothy Parker. Qualche esempio? “Sono solo un oscuro romanziere con un nome impronunciabile” (Vladimir Nabokov) o “Sono l’equivalente letterario di un Big Mac con patatine” (Stephen King). E io che credevo di esagerare nei miei momenti bui... 

Sul Los Angeles Times Michael Chabon tira le fila dell’anno appena concluso in un’intervista nella quale elenca i suoi libri, film e serie tv preferite del 2012 (e sì, ovviamente cita “Breaking bad” e “Homeland”). 

Infine la notizia più romanzesca di tutte: il giallista Dennis Lehane (i cui libri sono pubblicati in Italia da Piemme), ha perso la propria cagnetta Tessa a Brookline (Boston)  la vigilia di Natale. Sulla sua pagina Facebook allora ha messo un annuncio con ricompensa: chi la ritrova darà il nome a uno dei personaggi del suo prossimo romanzo. Se ambite alla fama letteraria e siete in vacanza natalizia nel Massachusets sapete cosa dovete fare. 



PS: Dopo il successo ottenuto dalle mie "Cinque cose che direi a un esordiente", Veronica Tomassini mi ha di nuovo voluto ospite del suo blog con un'intervista nella quale parlo di 'tina e di scrittura. La trovate qui.  


martedì 27 novembre 2012

5 COSE PER VERONICA

La scrittrice Veronica Tomassini mi ha chiesto un intervento per il suo blog nel quale fornire un consiglio per gli autori esordienti. Mi è venuto fuori un breve pentalogo (esiste la parola pentalogo?). Chi frequenta questo blog probabilmente mi ha già sentito parlare di queste cose. Tutti gli altri, trovano i miei suggerimenti in cinque punti qui.


sabato 24 novembre 2012

PREGHIERA INEDITA

Ogni tanto succedono queste cose incredibili, che salta fuori l'inedito di un autore superstar, dimenticato in qualche rivista letteraria di una sperduta università o nel classico scatolone di manoscritti. Questa volta la scoperta è assai significativa, perché lo scrittore in causa è nientemeno che Truman Capote e non si tratta neppure di un semplice racconto, ma di uno dei capitoli mancanti di "Preghiere esaudite", il suo ultimo romanzo, pubblicato postumo e incompleto (Capote aveva sempre dichiarato di averne scritto la versione integrale, ma alcuni capitoli risultavano, sinora, perduti). Il formidabile ritrovamento è stato fatto nell'archivio dei materiali dell'autore conservato presso la New York Public Library. 
Buon per noi, dunque, è tornato finalmente alla luce questo tassello mancante ed uscirà sul Vanity Fair americano di dicembre col titolo originale "Yachts and things". 
Nel frattempo però è possibile visionare on line qui la riproduzione fotografica del dattiloscritto (con le correzioni a mano). Quasi un modo per condividere l'esperienza del ritrovamento (anche piuttosto emozionante, devo ammettere). 

Ditemi grazie che ve lo segnalo.
Prego, non c'è di che. 



mercoledì 21 novembre 2012

NOI, I LETTORI


Ogni tanto capita di leggere libri che ci sembrano straordinari (alla lettera: perché escono dall’ordine stabilito delle cose e riescono a tracciare nuovi scenari). 
A me è successo con “Noi gli animali” di Justin Torres.

Di “Noi gli animali” non sapevo nulla. Mi ha colpito la copertina e la frase di Michael Cunningham che lo definiva un libro “che non assomiglia a nessun altro” (anni addietro, grazie a una citazione di Cunnigham avevo fatto un’altra, strepitosa scoperta, l’ “Autobiografia del rosso” di Anne Carson, quindi mi fido molto del suo gusto).

Sono tre le ragioni per cui lo considero una lettura importante. 
In primo luogo per la struttura: capitoli brevi e brevissimi, spesso autoconclusivi, dall’andamento quasi acronico (solo verso il finale il tempo si sposta in avanti, l’azione svela sviluppi futuri: per tre quarti del testo le azioni sembrano svolgersi in un eterno e contemporaneo passato). 

Molti, quasi tutti, i capitoli potrebbero essere estratti e letti come racconti, alcuni di una bellezza struggente. Ma non tutti possono vivere separati dagli altri. In questo la forma del romanzo è ibrida, e inclassificabile, e dunque personalissima. 

Poi, la lingua. Grazie anche all’ottima traduzione di Sergio Claudio Perroni, si capisce quanto questo libro si fondi sulla potenza della parola, su una lingua epica, che sembra nascondere epifanie in ogni riga. Alcuni esempi: 
“Il mistero di Dio è nel tre. Noi eravamo il mistero di Dio”
“Quando tornammo a casa da scuola, la cucina era tutta piena di papà”; 
“Bestemmiò me e Cristo, e le sue lacrime caddero, e io ebbi sette anni”. 

Infine, l’evoluzione narrativa: il romanzo è scritto quasi interamente alla prima persona plurale. Il “noi” si riferisce ai tre fratelli protagonisti, una sorta di monade all’interno della quale è difficile scorgere le identità individuali, i tre fratelli sembrano essere facce dello stesso organismo, un unico animale che deve affrontare il mondo e sopravvivergli. Solo nelle ultime pagine la monade si infrange: non c’è più un “noi” collettivo, compare una frattura insanabile fra un “io” e un “loro”. Il protagonista da plurale si fa singolare (ora, finalmente, scopriamo chi è dei tre) e la sua unica possibilità di sopravvivenza è trovare un nuovo nucleo dove inserirsi, dove diventare di nuovo “noi”. 

Ho letto che Justin Torres ha impiegato sei anni, all’apparenza un’eternità per un libro così snello (meno di 130 pagine). Ma la densità della scrittura è tale che non è difficile capire perché sia costato tanta fatica.

“Noi gli animali” è uno di quei regali che noi i lettori dovremmo farci ogni tanto, per farci travolgere dalla potenza. 


martedì 13 novembre 2012

CONFESSIONI DI UN IDIOTA


Quest’estate ho sfiorato un incidente terribile. Ero su un treno che da New York portava a Boston. Il vagone era affollatissimo e io viaggiavo con una di quelle ingombranti valigie da viaggio intercontinentale. Giunto al mio posto ho visto che lo spazio sopra i sedili era già occupato da altri bagagli. Mi sono spostato più indietro. Mentre provavo a infilare la valigia in un alloggiamento libero il treno si è rimesso in moto e ho perso l’equilibrio. La mia valigia pesante è caduta sul passeggero di sotto e solo in quel momento, con un terrore assoluto, mi sono reso conto che si trattava di una madre con un’infante al collo. La donna ha gridato, tutti i passeggeri negli immediati dintorni hanno emesso un - Oh! - di spavento, io avevo gli occhi sbarrati e il sangue gelato nelle vene. Tutto è durato pochi secondi. In realtà, la valigia ha toccato il sedile e/o la testa della ragazza, scivolando a terra, non gli è precipitata in grembo. In pratica non è successo quasi nulla, ma al momento era difficile da stabile cosa esattamente fosse accaduto e che conseguenze potesse aver avuto. 
Quando mi sono chinato per controllare il danno, lei era protesa a verificare che non fosse successo niente al piccolo. Accanto alla giovane madre c’era una signora matura (forse sua madre, la nonna dell’infante), che mi inceneriva con lo sguardo. La comprendevo perfettamente. Io ero al di là della mortificazione, non sapevo bene che cosa dire (cosa si dice in queste circostanze?), ripetevo un mantra di inutili Sorry, sorry, sorry mormorati. Ero lì col fiato sospeso, in attesa di capire se ci fossero dei danni, cercando di ricostruire mentalmente la meccanica dell’accaduto. Solo quando ha capito che il bambino non era stato sfiorato, la ragazza si è voltata verso di me. Io ho detto, testualmente: - Forgive me, I’m a fool -, mi perdoni, sono un idiota. Lei ha risposto che era solo un incidente, che non era colpa mia e che l’importante era che il bambino fosse illeso. Era di una gentilezza sbalorditiva. L’altra donna non condivideva affatto il suo tono, mi fissava con odio ancora più manifesto.
Sotto il biasimo generale dello sguardo dei passeggeri ho portato la valigia all’estremità del vagone e l’ho abbandonata lì (l’arma del delitto, avevo vergogna persino a maneggiarla). Sono tornato al mio posto in uno stato di shock, non tanto per l’incidente in sé, che si era risolto nel migliore dei modi, quando per l’ipotesi agghiacciante di quanto avrebbe potuto andare peggio. (Un bagaglio di venti chili che piove addosso a un neonato: non riuscivo a pensare a niente di più tremendo). Dopo una decina di minuti mi sono fatto forza e sono andato di nuovo a controllare la situazione. Il piccolo dormiva, la ragazza era sorridente, la nonna continuava a odiarmi, ma con meno intensità. Ho chiesto scusa un altro centinaio di volte. 
Per il resto del viaggio ho cercato di leggere, di ascoltare musica, di rilassarmi. Sono riuscito vagamente solo mezz’ora più tardi a capire le parole del romanzo che avevo spalancato di fronte. Il mio cervello non era in grado di registrare informazioni al di fuori dei sensi di colpa.
Durante una fermata intermedia le vittime della mia incuria sono scese e, con mia sorpresa, la ragazza è venuta a salutarmi e a rassicurarmi di nuovo. (Sconosciuta che sei scesa dalle parti di New Haven, che non sai leggere l’italiano e che mai capiterai su questo blog, sappi che questo tuo gesto non lo dimenticherò mai).   

Ecco, sentivo di dover fare pubblica ammenda. Ci ho messo qualche mese, però ora lo confesso, perché ogni tanto di notte ci ripenso ancora e non prendo sonno. Perché lo so bene che gli incidenti capitano a tutti, ma solo un cretino come me può sollevare un peso del genere senza accorgersi che lo sta facendo sopra la testa della creatura più fragile di un intero convoglio. 


lunedì 29 ottobre 2012

DECALOGHI DI SCRITTORI - UN'AGGIUNTA D'AUTORE

Lo scrittore Paolo Cognetti, leggendo il mio post precedente, ha deciso di tradurre sul suo blog la lista redatta in inglese da Edgar Keret. La riporto anche qui. Eccola:


1. Godi della scrittura.
Gli scrittori raccontano sempre quanto sia duro il processo di scrittura, e quanta sofferenza provochi. Mentono. Alla gente non piace ammettere di godere del proprio lavoro. Scrivere è un modo di vivere un’altra vita. Molte altre vite. Le vite di un’infinità di persone che tu non sei mai stato, ma che sono assolutamente te. Ogni volta che ti siedi e affronti la pagina e provi a scrivere - anche se non ce la fai - sii grato per l’opportunità che hai di espandere lo scopo della tua vita. È divertente. È figo. È dandy. E non lasciare che nessuno ti dica il contrario.

2. Ama i tuoi personaggi.
Perché un personaggio sia reale, deve esistere almeno una persona al mondo in grado di capirlo e di amarlo, non importa se approvando o meno quello che fa. Tu sei la madre e il padre dei personaggi che crei. Se non li ami tu non li amerà nessuno.

3. Quando scrivi non devi niente a nessuno.
Nella vita se non ti comporti bene vieni sbattuto in galera o in un istituto, ma nella scrittura si può fare tutto. Se nella tua storia c’è un personaggio che ti attrae fisicamente, bacialo. Se c’è un tappeto che detesti, brucialo nel bel mezzo del soggiorno. Quando scrivi puoi disintegrare i pianeti e sradicare intere civiltà con uno schiocco di dita, e un’ora dopo la signora del piano di sotto ti rivolgerà ancora il saluto.

4. Comincia sempre dal centro.
L’inizio è come il bordo di una torta bruciacchiato dalla teglia. Puoi averne bisogno per ingranare ma non è davvero commestibile.

5. Cerca di non sapere come va a finire.
La curiosità è una forza molto potente. Non perderla per strada. Quando stai per scrivere una storia tieni sotto controllo la situazione e i bisogni dei tuoi personaggi, ma lasciati sempre sorprendere dalle svolte della trama.

6. Non usare niente solo perché “si fa così”.
Gli a capo, le virgolette, i personaggi che mantengono lo stesso nome anche se hai girato pagina: sono tutte convenzioni che esistono per servirti. Se non funzionano lasciale perdere. Il fatto che una regola sia stata applicata in ogni libro che hai letto non significa che debba essere applicata anche nel tuo.

7. Scrivi a modo tuo.
Se provi a scrivere come Nabokov, ci sarà almeno una persona che l’ha fatto meglio di te (si chiama Nabokov). Ma se scrivi a modo tuo sarai sempre il campione del mondo dell’essere te stesso.

8. Assicurati di essere da solo nella stanza dove lavori.
Anche se scrivere al bar suona romantico, avere altra gente attorno a te ti rende conformista, che tu te ne accorga o no. Quando in giro non c’è nessuno puoi parlare da solo o metterti le dita nel naso senza problemi. Scrivere è mettersi le dita nel naso, e in mezzo alla gente la cosa non viene naturale.

9. Lasciati incoraggiare dalle persone a cui piace quello che scrivi.
E prova a ignorare tutti gli altri. Quello che hai scritto semplicemente non è per loro. Non importa. Il mondo è pieno di scrittori. Se cercano bene ne troveranno uno che li soddisfa.

10. Ascolta tutto quello che ti dicono ma non dar retta a nessuno (a parte me).
La scrittura è il territorio più privato al mondo. Nessuno può insegnarti come ti piace il caffè, e nessuno può insegnarti come scrivere. Se qualcuno ti dà un consiglio che suona bene e senti che è giusto, usalo. Se il consiglio suona bene e senti che è sbagliato, non ci perdere nemmeno un secondo. Potrà andar bene per qualcun altro ma non per te.




martedì 23 ottobre 2012

IL PIACERE DELLE LISTE - SPECIALE "DECALOGHI DI SCRITTORI"


Se seguite questo blog ormai lo sapete, adoro leggere liste e invidio chi riesce a scriverne di efficaci. Ogni tanto mi dico “Adesso scrivo una bella lista per il blog”. Me lo dico e basta, però. Mica lo faccio. Per compensare allora ne ho selezionate alcune ottime di altri. 
Ecco alcuni esempi di decaloghi (o quasi) firmati da scrittori. 

Il giovane e talentuoso Giorgio Fontana spiega qui come scrivere articoli di giornale migliori.

Il celebrato autore di racconti brevi israeliano Edgar Keret qui fornisce le dieci “verità nascoste” che ogni scrittore dovrebbe conoscere [in inglese].

La scrittrice, blogger ed editor di riviste americana Roxane Gay illustra invece qui le 25 regole per essere uno “scrittore contemporaneo” [in inglese].

Il sempre sorprendente Giulio Mozzi, che di decaloghi sul suo blog Vibrisse, bollettino ne scrive di continuo, si è divertito (si fa per dire) a raccogliere qui le dieci peggiori cose che i lettori hanno scritto a proposito dei suoi libri sul sito della libreria on line IBS (un giorno lo farò anch’io, se sono di buon umore).






venerdì 19 ottobre 2012

COME INIZIA


Volevamo di più. Picchiavamo sul tavolo il manico delle forchette, sbattevamo i cucchiai contro le scodelle vuote: avevamo fame. Volevamo più baccano, più casino. Alzavamo il volume della TV fino a farci dolere le orecchie a furia di gente arrabbiata che urlava. Volevamo più musica alla radio; volevamo ritmo; volevamo rock. Volevamo muscoli sulle nostre braccia scarne. Avevamo ossa da uccello, cave e leggere, e volevamo più densità, più peso. Eravamo sei mani che strappavano, sei piedi che pestavano; eravamo tre fratelli, tre maschi, tre piccoli re asserragliati nella smania di avere di più.

Justin Torres 
“Noi gli animali”
trad. di Sergio Claudio Perrone
Bompiani, 2012


giovedì 18 ottobre 2012

TRIBUTO GRAFICO


I “lyrical videos” sono un fenomeno diffusissimo su YouTube: si tratta di clip musicali nei quali, invece di un contenuto filmato originale, vengono riportate solo le parole della canzone. A volte sono realizzati dai fan, altri dalle stesse case discografiche per sopperire all’assenza di un videoclip vero e proprio o per colmarne il vuoto mentre è in via di realizzazione. Si tratta di video molto scarsi, la cui cura grafica è minima. Raramente un lyrical video viene proposto come unico video ufficiale, però può succedere (l’esempio più celebre di tutti i tempi credo sia questo). 
La band australiana di electro-pop Parralox ha diffuso in questi giorni il lyrical video per il loro nuovo singolo “Sharper than a knife (Pete Hammond remix)” ed è una piccola rivoluzione. In questo caso la grafica gioca un ruolo fondamentale e l’utilizzo delle liriche diventa il pretesto per creare una sorta di tributo alla nascita del sound electro. 
Il video ripropone alcune delle copertine di dischi che hanno fatto la storia della musica elettronica (Depeche Mode, New Order, Kraftwerk, Human League, Joy Division, OMD...), iscrivendo le parole del testo al loro interno e quasi sfidando lo spettatore a riconoscerle mentre si vanno componendo. 
Uno splendido esercizio grafico e un raffinato gioco di complicità rivolto agli amanti di questo genere musicale (io quando ho riconosciuto l’omaggio a The Assembly, progetto di Vince Clarke durato lo spazio di un solo singolo, mi sono quasi commosso).  




martedì 16 ottobre 2012

ROMANZIERINI


Il quotidiano inglese The Guardian l’altro giorno ha pubblicato alcuni illustri esempi di “Romanzi in 140 caratteri”, firmati da alcuni noti scrittori anglosassoni (fra i quali David Lodge, A.M. Homes, A.L. Kennedy, Helen Fielding, Geoff Dyer...). 
Il più riuscito fra tutti mi è parso quello firmato da Jeffrey Archer (la traduzione è liberamente mia):

“E’ un miracolo che si sia salvato”, disse il medico. “E’ la volontà di Dio” disse la signora Schicklgruber. “Come lo chiamerete?” “Adolf”, rispose.

Trovate tutti gli altri romanzi in formato Twitter qui


lunedì 8 ottobre 2012

IL BELLO DELLA DIRETTA


Ieri durante "Quelli che" è successa una cosa che mi ha fatto riflettere.

Victoria Cabello, parlando con Alba Parietti, le ha detto: - Sai che c'è un travestito che si fa chiamare Alba Paillettes? Fa uno spettacolo bellissimo -.
Una mezzoretta dopo, durante una pausa pubblicitaria, il Trio Medusa mi ha avvisato che sul loro account di Twitter erano arrivate centinaia di proteste per l'uso del termine "travestito" invece di "drag queen". Anche su FB ho notato messaggi simili. Ho subito informato Victoria che ha poi chiesto scusa in diretta e rettificato. 
La cosa però mi ha lasciato cmq un po' stupito. Posto che l'uso del termine travestito sia stato improprio, a me sembra più significativo che una conduttrice della domenica pomeriggio conosca il personaggio Alba Paillettes, ne abbia visto lo spettacolo e gli faccia i complimenti. Cioè, in centinaia a darle addosso per l'errore e nessuno a riconoscere l'intenzione più che positiva del riferimento? E poi, ditemi se sbaglio (e lo sto chiedendo sul serio, non è una domanda retorica), ma "travestito" è un dispregiativo? Se sì, da quando? Perché personalmente non l'ho mai inteso come tale. E per quanto politically correctamente la si voglia mettere, una drag queen è un uomo che fa spettacolo "travestito". Letteralmente. 
In un paese nel quale i gay non hanno alcuna forma di tutela giuridica attaccare una presentatrice perché ha fatto i complimenti a un "travestito" a me pare una cosa senza senso.
Ma, ripeto, forse sono io che mi sbaglio.

[Questo è il testo di un intervento che ho postato su Facebook stamattina e che ha creato un certo scalpore, con decine di commenti, centinaia di lettori e con qualche reazione a catena (per esempio, Matteo Bordone ne ha scritto a sua volta). Per questo ho deciso di riproporlo sul blog]


martedì 2 ottobre 2012

IL DOPO


La tre giorni di “Roland Macchine e Animali” è andata bene oltre le nostre più rosee aspettative: incontri affollatissimi (anche quelli all’apparenza più ostici), pubblico attento, partecipe e caloroso, atmosfera generale rilassata e molto divertente. Insomma, grazie davvero a tutti, noi organizzatori siamo entusiasti del risultato. E grazie soprattutto al pubblico del sabato, che ha scelto di venire ad Assab One anche se a Milano era in corso il diluvio. Siete stati eroici e noi vi abbiamo amati.


martedì 25 settembre 2012

ROLAND 2012


Dopo il successo dell’edizione 2011 (il “numero zero”, nella formula breve di una giornata), torna questo weekend a Milano “Roland, macchine & animali”, la manifestazione letteraria dedicata al mondo dell’editoria e ai meccanismi che lo regolano, ideata da Giorgio Vasta e Marco Peano e organizzata in collaborazione con Francesca Manzoni, Ilaria Bernardini, Elena Quarestani e il sottoscritto.
Il programma è molto ricco e si sviluppa per tre giornate, dal 28 al 30 settembre. Sono previsti incontri, letture, laboratori, concerti, premiazioni. 

Tra gli appuntamenti, vi segnalo gli incontri doppi con il fumettista Gipi e l’attore/autore Ascanio Celestini (presentati da Matteo Bordone) e con gli scrittori Walter Siti e Michele Mari (introdotti da Giuseppe Antonelli), una serata di letture collettive di racconti noir di autori milanesi (tra gli altri Paolo Cognetti, Giorgio Fontana, Violetta Bellocchio, Gianni Biondillo, Valerio Millefioglie, Gianni Miraglia...), presentata da me e Marisa Passera, e un reading musicale dello scrittore Paolo Nori accompagnato dal cantautore Dente. 
Se avete dei bambini in età scolare, sabato e domenica mattina ci sono due incontri dedicati a loro: uno con lo scrittore Fabio Genovesi e uno con l’illustratrice di favole Valentina Mai.
Per gli autori esordienti invece è imperdibile il laboratorio di editing dal vivo, tenuto sabato mattina dall’editor Giulio Mozzi sul nuovo romanzo, ancora in fase di stesura, di Vincenzo Latronico. Un modo per capire, in diretta, come si lavora professionalmente alla revisione di un testo.
I grafici e gli illustratori invece apprezzeranno la lezione di domenica mattina di Riccardo Falcinelli, il curatore dell’immagine delle edizioni minimum fax e di Stile Libero Einaudi.  

“Roland macchine e animali” si svolgerà presso gli spazi di ASSAB ONE, in via Assab 1 a Milano (zona viale Padova, metrò Cimiano, line verde). L’ingresso, con tessera associativa inclusa, è di 5 euro per l’intera manifestazione. In pratica regalato.
Trovate qui il programma completo e qui il sito con tutte le informazioni. 
Venite, sarà bello. 



lunedì 24 settembre 2012

IL DEBUTTO DI ELEONORA


Da giovedì scorso è in libreria un nuovo romanzo pubblicato da Indiana, di un’autrice giovane e di straordinario talento. A me è bastato leggere un capitolo del testo ancora in fase di stesura per decidere di contattarla e chiederle l’intero romanzo. In casa editrice ne siamo rimasti subito tutti entusiasti, tanto che l’editore le ha offerto un contratto giusto un attimo prima che si facesse vivo anche un altro editore (gigante) a corteggiarla. Carpe diem.

Eleonora (che ha solo 24 anni e che per mantenersi finora ha lavorato come operaia, centralinista di call center, l'impiegata e la commessa) non è un’esordiente in senso stretto. Lo è nella misura in cui arriva oggi a pubblicare il suo primo romanzo, ma in verità da anni ha già un pubblico vasto e appassionato delle sue storie. Con il nickname Caska Langley infatti è una delle più seguite autrici italiane di fan-fiction (un fenomeno letterario diffuso sul web, basato sulla narrativa prodotta utilizzando come personaggi i protagonisti di cartoni animati, saghe letterarie, televisive e cinematografiche). Con questa prova si presenta per la prima volta al pubblico dei lettori tradizionali.


Il romanzo si intitola “Comunque vada non importa” e racconta la storia di Darla, una ragazza praticamente sociopatica, che trascorre il suo tempo sepolta nel divano di casa a navigare su internet e a guardare anime giapponesi. I suoi unici contatti col mondo esterno avvengono attraverso pochissime amiche e il fratello gay Andrea. Questa confortevole ma malsana routine viene però spezzata all’improvviso e la realtà, con i suoi imprevisti e tragici stratagemmi, arriva a scuoterla, costringendo Darla a confrontarsi con il suo rimosso. 

Eleonora è un’autrice piena di idee e ha una scrittura dannatamente moderna, senza cedere al giovanilismo, in grado di parlare di manga, masturbazione, suicidio, amore e psicosi familiari con la stessa, disinvolta, determinazione. Leggendola si ha la (rara) sensazione di avere sotto gli occhi qualcosa di davvero nuovo. 
 La prima recensione (apparsa su “Wired” di questo mese a firma dello scrittore Marco Rossari) parla dell’attacco del romanzo come “Uno dei più belli degli ultimi anni” e definisce l’autrice “Una Sylvia Plath in salsa manga, indimenticabile”
Se volete scoprire qualcosa di più su questa originale scrittrice, leggete sul suo blog l’intervista che le ha fatto il direttore di “Playboy Italia” (yes, Playboy), divisa in quattro parti: qui, qui, qui e qui. E capirete che sto parlando di una ragazza che ha davvero qualcosa da dire.
Se invece vi fidate dei libri che consiglio, stavolta andate in libreria a occhi chiusi. Questo romanzo non può non piacervi.




sabato 15 settembre 2012

AVVENTURE CHE MI CAPITANO IN AUTOBUS QUANDO LEGGO (2)


Questo episodio è avvenuto una quindicina di anni fa.
Stavo attendendo un autobus che non arrivava. La banchina era affollata di gente in attesa, infastidita dal ritardo. Quando finalmente il mezzo è giunto alla fermata era carico di passeggeri. Il momento della discesa e della salita dei viaggiatori è stato caotico, con spintoni, lamenti, grida e imprecazioni. Sballottato io stesso qua e là, mi sono trovato davanti a un imprevisto posto libero e l’ho subito occupato. Per isolarmi dal tumulto che mi circondava, ho estratto un libro dalla borsa e ho cominciato a leggere. Pochi secondi dopo ho sentito una voce che diceva: - Uh, anch’io adoro leggere. Cosa sta leggendo? -
Ho alzato gli occhi dalla pagina e ho ho visto che la domanda proveniva dalla signora anziana seduta di fronte a me, sui 70 anni, capelli bianchi sotto una cuffietta, golfino azzurro, aria da nonnina ideale. 
Il volume che avevo fra le mani era un’antologia di giovani autori americani in lingua, mi sembrava complicato da spiegarle, così ho riassunto arbitrariamente in: - Un libro di racconti -.
- A me piacciono tantissimo anche i racconti. Io leggo di tutto. E’ uno dei pochi piaceri che ho dalla vita, perché, sa, io sono stata molto sfortunata - e, senza che io le dessi il minimo cenno di essere interessato, la signora si è lanciata in un resoconto sommario delle sue disavventure: figlia maggiore di una famiglia povera, composta da madre vedova e sorella minore, ai tempi della guerra aveva conosciuto un uomo che si era innamorato di lei, non ricambiato. Il pretendente non piaceva affatto perché era molto più vecchio, non bello e senza interessi culturali, ma era direttore di banca, un posto solido e di assoluto prestigio per l’epoca, sposarlo avrebbe significato regalare stabilità al resto della sua famiglia, quindi si è sacrificata e l’ha fatto. 
La donna parlava a un volume molto alto (forse aveva problemi d’udito, considerata l’età) e avevo l’impressione che l’intero autobus stesse assistendo alle sue confessioni. Lei però non dava cenno di preoccuparsene e continuava a rivelare ulteriori dettagli sulla sua sfortuna: il marito, dopo il matrimonio, si era rivelato genericamente “incapace di compiere i propri doveri” e mentre lei si avviava a subire una vita da infelice, la sorella aveva incontrato un ragazzo giovane e bello e, grazie alla nuova agiatezza, aveva potuto sposarlo liberamente. E a quanto pare, né la madre, né la sorella le avevano mai dimostrato la gratitudine che lei pensava di meritare per l’enorme sacrificio che aveva fatto per loro. 
Al termine di questo lungo monologo, la signora mi ha guardato fissa e ha concluso: - Non so se ha capito, ma io non ho mai provato un orgasmo in vita mia! -.
A quel punto io ero praticamente morto dall’imbarazzo e l’intero autobus di stava soffocando di risatine trattenute (chi più, chi meno). Però devo dire che la gioiosa frontatezza della signora mi aveva sorpreso e, visto che ormai la faccia me l’ero giocata, me ne sono infischiato degli astanti e ho cominciato a farle delle domande sul suo passato. Lei non aspettava altro e mi ha fornito un sacco di dettagli. 
Giunto alla mia fermata, le ho detto che mi auguravo sinceramente di raggiungere la sua età con la stessa vitalità. Lei ha risposto che ero “un giovane molto simpatico”.  Mentre scendevo dall’autobus tutti mi guardavano come se fossi il protagonista di qualcosa e, in effetti, lo ero stato. 


mercoledì 12 settembre 2012

AVVENTURE CHE MI CAPITANO IN AUTOBUS QUANDO LEGGO (1)


Anni fa ero su un autobus che stavo leggendo quando mi si è avvicinata una donna e mi ha chiesto, senza preamboli: - Mi scusi, possiamo scambiare numero di telefono? -.
Sorpreso dalla domanda, non ho saputo fare altro che chiederle: - E perché? -
- Perché vorrei frequentare gente interessante e l’ho vista che stava leggendo un libro e, niente, ho pensato che lei fosse una persona intelligente -.
Mentre la donna parlava l’ho osservata meglio e mi sono reso conto che non doveva essere completamente in sé. Aveva i capelli scarmigliati, gli abiti leggermente fuori posto (una giacchetta con metà del collo piegato verso l’interno, come se se la fosse infilata di fretta, senza darsi un’occhiata), si esprimeva con una strana lentezza, forse era sotto l’effetto di qualche medicina.  
Imbarazzato, ho detto: - Mi scusi, ma non credo sia il caso -.
A quelle parole la donna ha modificato subito espressione. Come se si fosse improvvisamente dimenticata di me, come se non esistessi già più, ha spostato lo sguardo verso l’interno dell’autobus e si è allontanata per andare a sedersi in un posto libero. Non sembrava ferita, o umiliata, dall’episodio. Sembrava proprio che l’avesse cancellato all’istante e ora guardava davanti a sé tranquilla. 
Ho provato a riprendere la lettura. Non ce l’ho fatta.

All’epoca lavoravo in un’agenzia pubblicitaria e avevo raccontato l’episodio alla mia collega di scrivania. Il giorno dopo avevamo un impegno di lavoro fuori ufficio. In pausa pranzo siamo andati in una trattoria scelta per caso nei dintorni. Seduta a un tavolo, da sola, c’era la donna dell’autobus che pranzava. In una città grande come Milano è rarissimo incontrare per caso lo stesso sconosciuto nel giro di ventiquattrore in luoghi così distanti. Io ero davvero esterrefatto dalla circostanza, tuttavia quando i nostri sguardi si sono incrociati ho avuto la certezza che io l’avessi riconosciuta, ma lei no.   


giovedì 6 settembre 2012

AIMEE IN ITALIA


Aimee Bender, la visionaria e strepitosa autrice dei romanzi “Un segno visibile e mio” e “L’inconfondibile tristezza della torta al limone”, nonché delle raccolte di racconti "Creature ostinate" e “La ragazza con la gonna in fiamme” (bastano i titoli per intuirne il talento), è in Italia in questi giorni per partecipare al festival di letteratura di Mantova e fare alcune presentazioni in libreria. Questo sabato, 8 settembre, sarà a Milano, presso la Centofiori in piazzale Dateo n.5, alle ore 19. Tocca a me l’onore e il piacere di presentarla al pubblico. Se volete, ci vediamo lì.



PS: Se volete saperne di più sull'autrice, trovate qui uno special che gli ha dedicato la casa editrice sul proprio sito.  




martedì 4 settembre 2012

IL CARO, VECCHIO JOE

"If I'm as normal as I think I am, we're all a bunch of weirdos"

(Se sono normale come penso, allora siamo tutti una banda di strambi)

Joe Brainard


domenica 2 settembre 2012

I LIBRI NON SONO MAI ABBASTANZA


Non viaggio mai senza un libro con me. Anche se il viaggio consiste di sole cinque fermate di metropolitana. L’idea di avere del tempo a disposizione e non poterlo sfruttare per leggere mi atterrisce. Quando poi il viaggio è significativo (un treno, un aereo), di libri me ne porto una scorta. 
L’uso del tablet ha semplificato le cose, ma non le ha modificate in maniera radicale. Sul tablet ho generalmente pdf di lavoro da valutare o qualche rivista. Le letture di piacere rimangono, nella quasi totalità dei casi, cartacee. 
In genere porto scorte in eccedenza. Tre libri per un viaggio di quattro ore, sapendo che uno sarebbe sufficiente. Senza contare che è difficile per me, quando sono in giro, evitare di finire in qualche libreria e comprarne altri. Quasi sempre torno con più volumi nel bagaglio di quanti ne avessi all’andata. Si riproducono. 
L’ultima volta che sono stato negli Stati Uniti in vacanza (e l’ho raccontato sul blog) ho dovuto acquistare una borsa in più solo per i libri. 
Questa volta, dato che tornavo a New York per le ferie, ho deciso di fare il bravo. Il giorno prima di partire ho comprato un romanzone, uno di quei libri che da un decennio esatto rimandavo di leggere per la sua mole, 820 pagine. Il classico testo che uno ipotizza di poter leggere con calma, appunto, solo in vacanza. Mi sono detto che un tomo simile sarebbe stato sufficiente. Che là avrei sicuramente comprato altro e che non era neppure detto che lo finissi nei quindici giorni in un viaggio che prevedeva più giornate in giro per una metropoli che pomeriggi su una sdraio al sole. Quindi, vincendo ogni mia resistenza e interrompendo una tradizione che proseguiva da decenni, al momento di chiudere il bagaglio a mano ho inserito solo questo libro. 
Arrivato sull’aereo ho scoperto che si trattava di un vecchio modello, i cui sedili non erano dotati di microschermi individuali, quindi anche l’intrattenimento video era da escludere. Bene, mi sono detto, nessuna paura, mi sono detto, ho le mie 820 venti pagine da esaurire in queste otto ore di volo, mi sono detto, non panicare se hai un libro solo, mi sono detto, ottocento pagine sono ottocento pagine, cazzo, mi sono detto. 
E così, ho tirato fuori il mio bel volume nuovo, mi sono immerso nella lettura in fase decollo, e ho proseguito allegramente spedito per le prime centodieci pagine e poi è successa una cosa. Che il testo a pagina 111 non proseguiva su pagina 112. Non proseguiva da nessun’altra parte, per la precisione, perché per un errore di stampa il libro passava da pagina 111 a pagina 192, saltando ben sessanta pagine di contenuto. Ho provato a sfogliare il volume avanti e indietro, sperando che fossero state inserite in un altro punto. Una volta mi era successo di avere un libro i cui fascicoli interni erano stati rilegati in ordine sbagliato. Speravo (pregavo) che fosse lo stesso errore. No, niente. Quelle pagine non c’erano. 
L’unica volta che porto un solo libro mi capita un volume fallato. E io avevo ancora SEI ETERNE ORE E MEZZA davanti a me.
Che mi serva da lezione. 
Quando mi portavo quelle scorte di letture inutili avevo ragione. Fanculo il buonsenso.


sabato 4 agosto 2012

LA STORIA E' TUTTA MIA


Scrivere comporta una dedizione che pochi sono realmente disposti a concedere. Innumerevoli volte mi è capitato di sentire gente annunciare di essere al lavoro su un libro.  A volte si è trattato anche di persone con una certa professionalità (giornalisti, blogger) e di una notevole fama (cantanti, attori, in questo caso quasi sempre con anticipi di migliaia di euro già versati sul loro conto corrente da parte di grandi case editrici). Dichiaravano l'entusiasmo dell'inizio, la gioia di comporre le prime pagine, di mettere su carta i propri pensieri e/o i propri ricordi. Bastavano poche settimane perché tutta questa esaltazione evaporasse. I più abbandonavano dopo qualche capitolo. L'attore e il cantante mollavano tutto nelle mani di un ghost-writer, per salvare il contratto e l'anticipo già incassato ("Però la storia è tutta mia" si affrettavano a specificare, come se questo cambiasse qualcosa). 
Un'altra ingenuità legata alla scrittura riguarda appunto il valore dell’idea. L'idea per un libro, l'idea per un racconto. Non so quante volte mi è capitato di ascoltare frasi del tipo "Ho un'idea fantastica per un romanzo, solo che non ho il tempo per scriverlo", quasi a lasciare intendere che la sola differenza fra noi consistesse in una vita meno impegnata (la mia, dal momento che avevo anche il tempo per scrivere).



giovedì 19 luglio 2012

ORO, ARGENTIERA E MIRRA

Come ogni anno, in questa stagione, torna "Sulla terra leggeri", il piccolo festival di letteratura e musica, organizzato tra gli altri da Flavio & Paola Soriga, Geppi Cucciari e il sottoscritto, che si svolge nella strepitosa cornice dell'Argentiera, in provincia di Sassari. Il programma di quest'anno è fittissimo e prevede tre serate di anteprime in varie località tra Sassari e dintorni, oltre al consueto weekend intenso al borgo. Tra gli ospiti di quest'anno ci saranno Fabio Genovesi, Daria Bignardi, Dente, Luca Telese, Brunori SAS, Federico Russo & Marisa Passera, Michele Serra, Luca Sofri, Matteo Caccia, Flavio Insinna, Luca Bottura e Piero Dorfles. Più un sacco di altra gente. 
Oltre al festival, sono previsti due laboratori per il pubblico: uno di scrittura radiofonica (tenuto dal giornalista Alberto Urgu) e uno sull'editoria (tenuto da Paola Soriga e me). 
Trovate il programma, l'elenco completo degli ospiti, le info sui laboratori e tutte le istruzioni per arrivarci qui.
Vi aspettiamo. 



PS Qui trovate anche dei divertenti video "promozionali" di Dente e Brunori SAS. 


mercoledì 11 luglio 2012

INDIANATE


Da qualche tempo non scrivo aggiornamenti sulla mia collaborazione con la casa editrice Indiana. In realtà ho colpevolmente tralasciato di segnalare su questo blog una delle uscite più importanti, quella che peraltro è stata accolta con maggiore attenzione dalla stampa, ossia “Sinapsi”. Si tratta del ritorno in libreria di uno degli autori di punta del movimento cannibale degli anni ’90, Matteo Galiazzo, che da dieci anni esatti ha smesso di scrivere e pubblicare. Il libro non a caso ha per sottotitolo “Opere postume di un autore ancora in vita”, perché per realizzare questa raccolta di racconti ho dovuto agire come nel caso di scrittori deceduti, ossia andare a ripescare testi usciti su riviste, antologie, fanzine e mai pubblicate in volume prima. Poiché Galiazzo ha rinunciato a scrivere ma è comunque giovane,  vivo e vegeto, a differenza dei curatori che operano con autori scomparsi ho potuto avvalermi della sua stessa collaborazione e avere accesso anche a testi inediti e operare con lui scelte sul materiale da includere o meno. Il libro (che comprende 22 racconti in oltre 300 pagine) si conclude con una lunga intervista che ho condotto personalmente, nella quale Galiazzo spiega (con ironia e acume) le motivazioni che l’hanno spinto ad abbandonare la scrittura. 
Chi non ha mai letto questo autore (è possibile, perché i suoi libri sono esauriti da tempo), farà una piacevole scoperta: Galiazzo è stato uno dei più talentuosi scrittori del decennio precedente ed era un delitto che rimanesse assente dagli scaffali delle librerie. 
Tutti i maggiori quotidiani e vari organi di stampa hanno recensito “Sinapsi”. Trovate qui i link a questi articoli.



Infine, sul Mucchio Selvaggio attualmente in edicola, c’è un’intervista a Douglas A. Martin sul suo romanzo “Una traccia del mio amore” (che include anche una domanda sulle reazioni di Michael Stipe alla pubblicazione del libro). La trovate anche on line sul tumblr dedicato a Martin.  


lunedì 2 luglio 2012

F.A.Q. ME


Da quando faccio lo scrittore la domanda che mi viene posta più spesso è “Per cosa sta la B. di Matteo B. Bianchi?”. A questa ho già dato risposta decine di volte (- E’ inventata, l’ho inserita fra nome e cognome per evitare casi di omonimia. Gli artisti spesso hanno un nome d’arte, io ho una sola lettera d’arte -). Ma nell’ipotetica classifica delle domande più frequenti, al secondo posto probabilmente si classificherebbe quest’altra: “Ma tu sei (ti consideri) uno scrittore gay?”. 
Non ho mai saputo dare una risposta decente e significativa a questa questione, perché non credo ci sia. Cosa dovrei dire? Sono uno scrittore e sono gay. Le due cose sono separate? Sono separabili? Ho scritto libri nei quali l’omosessualità aveva un ruolo centrale, altri in cui era quasi assente. Questo mi rende alternativamente scrittore gay e scrittore non sessualmente classificato? E soprattutto, è utile saperlo?
Una volta ho provato a fare un esperimento: ho risposto un sì convinto nel corso di un incontro e un no altrettanto convinto nel successivo. Le reazioni sono state le stesse (speculari e opposte): c’è chi mi ha contestato di lasciarmi condizionare dalla mia sessualità e chi mi ha contestato di rinnegarla. E comunque tutti hanno messo in discussione la mia risposta, nessuno la legittimità della domanda.

Il caso ovviamente non riguarda solo me ma centinaia di autori. Se ne parlo è perché l’altro giorno ho letto sull’Huffington Post un interessante articolo nel quale lo scrittore americano (a me sconosciuto) Ryan Quinn pone interessanti spunti di riflessione. Vi invito a ritrovarlo qui
Riassumendo, Quinn ha da poco pubblicato il suo primo romanzo, "The fall", che ha per protagonisti due atleti, un ragazzo (gay) e una ragazza (etero). Il libro, a sorpresa, si è classificato al primo posto della classifica di Amazon “Best-selling gay & lesbian fiction”. Superata la soddisfazione di essersi ritrovato da esordiente in testa a una classifica, l’autore (non senza una certa ironia) ha cominciato a farsi delle domande: perché il mio libro viene classificato come gay? Il romanzo segue le vicende sportive e private di entrambi: perché la parte riguardante il ragazzo risulta più significativa dell’altra?
Il libro si è classificato secondo anche nella lista della “Best-selling sport fiction”, dopo John Grisham. Quinn si chiede: se Grisham oggi scrivesse un libro con un protagonista gay finirebbe nella classifica della gay & lesbian fiction? No perché l’autore non è gay? No perché finora non ne ha mai scritto? 
Ryan Quinn, che ha un passato da sportivo, aggiunge anche di aver accettato per anni l’etichetta di “atleta gay”, in quanto gli sembrava significativo in ambito sportivo non nascondersi dietro false facciate e lo rendeva speciale. Allo stesso tempo, quando gli capitava di sentirsi dire dai compagni: - Tu non sembri affatto gay -, non sapeva come reagire all’osservazione (era un complimento? doveva ringraziare? doveva infastidirsi?).

Gestire le etichette non è mai facile. A volte, essere identificato in un genere, in una specifica corrente, ha i suoi vantaggi. Sarei un idiota se non riconoscessi come, al mio esordio, poter contare su una rete di associazioni, manifestazioni, librerie, rassegne legate alla comunità omosessuale mi abbia fornito un notevole sostegno e un veicolo importante per farmi conoscere dal pubblico. Altre volte la stessa etichetta però si è rivelata una pesante zavorra: ogni volta che vengo invitato da una trasmissione radio o da un festival letterario a commentare tematiche legate al mondo gay mi verrebbe da sottolineare che sono e resto comunque uno scrittore italiano, in grado di esprimere giudizi anche su altri temi e partecipare anche alle altre tavole rotonde a cui sono invitati gli scrittori presenti. Non è che io mi esaurisca nell’essere gay. 

Anni fa ho letto un bellissimo racconto di Elena Stancanelli nell’antologia “Bloody Europe” (Playground) in cui raccontava della sua partecipazione a un festival londinese nel quale tutti, ossessivamente, prima o poi le rivolgevano la domanda Sei lesbica?, come se questo avesse una rilevanza nel giudicare il film che era andata a presentare. 

Ma il punto di vista di Ryan Quinn sposta ancora più in là il discorso: nel suo caso, un romanzo di ambientazione universitaria e sportiva catalogato come “gay fiction” sembra promettere contenuti che non sono presenti (come l’omoerotismo negli spogliatoi, per dire). Allora, conclude l’autore, se l’etichetta è inevitabile, forse è il caso di cominciare a capire che la “letteratura gay” non è tutta omogenea, che esistono differenze al suo interno, a volte anche molto profonde.

Mi sembra una posizione interessante sulla quale ragionare. 


mercoledì 27 giugno 2012

SIGNORINA ALLE RISORSE UMANE

Da tempo gli Egokid mi chiedevano di collaborare a un loro videoclip. L'idea giusta è venuta una sera a cena in una piccola trattoria milanese, in compagnia dell'amico comune (e grande fan della band) Alessandro Fullin: un colloquio di lavoro nel quale vengono richieste agli intervistati competenze impossibili da parte di un'esaminatrice feroce. 
Il risultato è questo. 


mercoledì 20 giugno 2012

LA QUESTIONE DELLA VERITA'


Una situazione che ho visto ripetersi spesso: l’alunno del corso legge un suo racconto, io gli faccio notare che una determinata scena risulta confusa e poco credibile, lui ribatte con fierezza che le vicende che racconta sono accadute realmente e nel modo esatto in cui le ha riprodotte, io replico con candore che non me ne può importare di meno. Segue il consueto attimo di sbalordimento, lo sguardo attonito dello studente e l’immancabile, scandalizzata, domanda: - Cioè vuoi dirmi che in un testo autobiografico io dovrei raccontare il falso?!? -.
Non è questo il punto. 
E’ la domanda stessa a essere sbagliata e fuori luogo: perché uno scrittore si occupa di narrativa, non di verità. Sono due concetti separati e, talvolta, persino distanti.
Un lettore in una storia cerca personaggi vividi, un intreccio coinvolgente, un linguaggio brillante. Cerca illuminazioni, spunti, stimoli, riflessioni, stupore, persino riflessi di sé. La verità la cerca altrove (nei reportage, nei saggi, nei quotidiani). Qualora la cercasse in un romanzo, vorrebbe comunque che questa fosse coerente e solida. Nella vita reale spesso non lo è. Ma appunto, un racconto, un romanzo, non sono la vita reale, per quanto possano prendervi ispirazione anche diretta: sono la vita reale filtrata attraverso lo sguardo di un narratore. 
Il compito di chi racconta è quello di scegliere i materiali, organizzarli, dare loro una sequenza e una concatenazione, plasmarli fino a renderli una storia. Non a caso, narratori diversi posti di fronte allo stesso evento ne produrrebbero racconti profondamente diversi. 
Una delle lezioni più illuminanti che abbia mai ricevuto è stata durante un corso universitario nel quale l’insegnante ci aveva chiesto di scrivere le istruzioni per preparare una tazza di caffè. Un compito che era parso a tutti noi insensato e sterile. Quando è stato il momento di leggere ad alta voce i nostri elaborati, le differenze si sono rivelate sbalorditive: per quanto si trattasse di gesti meccanici e quotidiani, comuni a ogni italiano, ciascuno di noi ne aveva fornito una descrizione diversa: la conservazione del caffè, la quantità di miscela, la temperatura dell’acqua... Ognuno aveva una propria abitudine, una personale ricetta.
Noi siamo questo: differenze.
Piccoli scarti soggettivi che rendono la nostra esperienza inesorabilmente unica.
Quando scriviamo una storia non importa quale sia la verità: conta solo la nostra verità, quella che scegliamo di raccontare e come scegliamo di farlo.

[E poi, dal macro al micro, nel dubbio specifico posto da un aspirante autore in un corso di scrittura: di quale verità stiamo parlando? Se mi racconti l’esilarante episodio di quella volta che tuo cugino è caduto nel fango, l’amica che passa e vi vede, la vergogna, le matte risate, chi concerne questa verità? Tu, tuo cugino e l’occasionale amica? I tuoi futuri lettori (centinaia, migliaia, auguriamoci milioni), non erano certo lì, non conoscono l’esatta sequenza degli eventi, non hanno motivo né di metterla in dubbio, né di contestarla, ma soprattutto, non importa: per loro, in questo momento, tu, tuo cugino e la tua amica siete personaggi in una storia. Tramite voi si aspetta di rivivere la comicità (o il dramma, o la tensione, o l’inquietudine, o) del momento. E’ questo che tu, autore, devi dargli. Non la verità.]