martedì 29 ottobre 2013

NOVENE ISTERICHE

Oggi il quotidiano ligure "Il secolo XIX" pubblica un mio intervento su un triste fatto di cronaca di questi giorni. Lo riporto di seguito:

Deve essere davvero grave il peso che un ragazzo si porta sul cuore se decide di togliersi la vita a 21 anni. Vent’anni, l’età d’oro, magica, irripetibile, l’età più bella secondo le canzonette e i detti popolari. Per questo ragazzo, e purtroppo per tanti altri prima di lui, questa età invece è talmente spaventosa che ha preferito farla finita. Ha scelto la morte invece che il futuro: fa impressione pensarlo, ma è così. E un po’ di responsabilità è di tutti noi. Perché questo ragazzo era gay e temeva che nel nostro paese questo non gli avrebbe concesso di condurre un’esistenza serena, possibile. 
L’Italia è razzista. 
Cominciamo da qui. Cominciamo a dirlo, magari provoca qualche reazione. Del resto, un paese che induce al suicidio giovani e adolescenti tanto accogliente e comprensivo non può essere. Un paese che nega alcuni diritti fondamentali a una fetta di popolazione, che si oppone all’approvazione di leggi in grado di contrastare gli attacchi dettati dall’odio e dal pregiudizio non può che essere riconosciuto come razzista. Se lo merita. 
Facciamo un esperimento: provate a sostituire i termini. Provate a pensare che invece di omosessuali si stia parlando di persone di colore, o di ebrei, o di disabili. Pensate un paese che neghi il diritto di sposarsi a due persone perché sono nere o sono disabili o perché di origini ebraiche. Non suona mostruoso? 
Qualche settimana fa è apparsa sui giornali la notizia che nel giorno in cui era prevista la discussione in Parlamento sulla legge contro l’omofobia in alcune chiese erano state organizzate novene di preghiera affinché non venisse approvata. Quanto è grottesco tutto ciò? Un paese in cui si prega perché non venga promulgata una legge che contrasti l’odio. 
Forse sono io che non capisco. Non ci arrivo proprio. A me sembra al contrario che certe verità siano così semplici che non abbiano bisogno di spiegazioni, di lotte in ambiti politici, di schieramenti e opposizioni, di novene isteriche: picchiare qualcuno, torturarlo, sfigurarlo, solo per via del suo orientamento sessuale è un crimine abbietto, ingiustificabile, e va punito severamente. Punto. 
 Io non so quali angherie, quali insulti, quali soprusi abbiano spinto il ragazzo ventunenne di Roma (l’ultimo di un triste e lungo elenco) a gettarsi dalla cima di un palazzo, non posso neanche immaginare un simile abisso di disperazione. In compenso posso ben capire il contesto in cui il suo disagio si è sviluppato e ha preso il sopravvento.
Negare certi diritti equivale a ritenere certe persone meno degne. 
Non approvare una legge contro un certo crimine equivale a ritenerlo meno grave di altri, più giustificabile. 
Mi pare ovvio, ma per molti, a tutta evidenza non lo è. 
In quanto gay mi sono trovato continuamente a dover difendere posizioni che credevo scontate e che invece ogni volta è necessario ribadire. Per esempio, sul senso profondo e reale dei Gay Pride (la contestazione più comune e più becera: -  Se voi fate il Gay Pride allora perché io non faccio un Etero Pride? -. Perché ogni volta che passeggi mano per mano con la tua ragazza o la baci per strada lo stai già facendo il tuo Etero Pride, idiota). Anni di discussioni con colleghi, vicini di casa, amici, familiari. Un gay dichiarato è un politico domestico, deve per forza di cose diventare paladino di se stesso. 
Se le istituzioni arrancano però le risposte cominciano a venire da altre parti. Su modello del sito americano itgetsbetter.org è da poco nato lecosecambiano.org, un portale creato per sostenere proprio i giovani omosessuali vittime di bullismo e incoraggiarli a resistere. Il sito contiene testimonianze scritte e video di personaggi pubblici o semplici cittadini che vogliono lasciare un messaggio di incoraggiamento a questi ragazzi, a dire loro che suicidarsi è sbagliato, che non devono temere il futuro, che al mondo ci sono migliaia, milioni di persone pronte ad amarli e accettarli, che devono avere fiducia.
Speriamo che questo messaggio di speranza arrivi. Che non arrivino loro solo gli insulti, gli schiaffi, gli spintoni in corridoio, gli ammiccamenti sulle scale, l’epiteto sprezzante gridato dal bullo, - Frocio! -, e giù tutta la classe a ridere complice.
Speriamo che sulla cima del palazzo ci salga per guardare l’orizzonte, non per negare a sé un futuro.

E’ per questo piuttosto che io pregherei. Ma di novene di questo tipo non ne sono state ancora organizzate, o mi sbaglio?

martedì 22 ottobre 2013

TACCUINITE


Se c’è una cosa che mi fa impazzire sono i taccuini d’autore. Quando vado in un museo e scopro una teca dove sono conservati i quaderni con gli schizzi e gli appunti dell’artista esposto mi entusiasmo. Se poi i suddetti quaderni includono collages, ritagli, fotografie e piccoli oggetti incollati sopra allora vado proprio in fibrillazione. Da sempre mi affascina l’idea del laboratorio creativo, indagare il processo che porta un artista a realizzare le sue opere e i taccuini corredati da minutaglie rappresentano un po’ l’unica traccia concreta, tangibile, di questo processo. Ma al di là di questa bella motivazione culturale, mi piacciono proprio in sé come oggetti, vorrei averli io a casa, vorrei esporli, vorrei rubarli.


Di recente la casa editrice inglese Thames & Hudson ha pubblicato i taccuini del regista e pittore Derek Jarman, scomparso precocemente nel 1994. Jarman aveva l’abitudine di realizzare quaderni d’appunti per ogni suo film nei quali raccoglieva pagine di sceneggiatura, articoli di giornale, pezzi di stoffa, foto di attori provinati, rametti di piante, lettere, biglietti da visita, banconote straniere, qualsiasi cosa insomma potesse essergli utile per creare l’atmosfera giusta per il suo progetto. 

La lussuosa edizione in volume contiene interventi critici e commenti di personaggi come Tilda Swinton, Jon Savage, Toyah Willcox, Neil Tennant dei Pet Shop Boys, ma è la riproduzione di alcune pagine dei taccuini che lo rende ai miei occhi un libro meraviglioso e irrinunciabile. Da giorni lo sfoglio con gli occhi luccicanti di emozione, e soprattutto indivia. Perché, diciamolo, la verità è che io vorrei, vorrei disperatamente essere in grado di realizzare taccuini così: con quella calligrafia meravigliosa e barocca, con quel gusto per l’impaginazione, con quelle immagini piene di note accanto. Vorrei essere quel tipo di artista. Ci ho pure provato a prendere più volte dei bei quaderni bianchi, delle moleskine, dei blocchi con le pagine setose in carte pregiate, nella speranza che mi inducessero a perseguire questa strada. Ma basta uno sguardo alla mia calligrafia per comprendere quanto l’impresa sia disperata. Desisto, sempre.
Guardo ammirato i taccuini degli altri, come il turista sul molo che fa ciao alla nave in partenza verso posti incantevoli e molto, molto distanti. 

mercoledì 16 ottobre 2013

DIVINA REGINA


Ci sono artisti che risultano affascinanti anche solo sulla carta. Un cantante che ha una doppia carriera, una maschile come cantante indie rock e una da travestito come voce di un duo techno-pop, beh, mi ha conquistato anche solo per l’idea. 
Signori, signore, e soprattutto signorine, vi presento il mio nuovo idolo, tale Reg Vermue. 
Originario dell’Ontario, Canada, Reg ha inciso ben sette album col nome di Gentleman Reg, dischi di rock intimista paragonati dalla critica allo stile di Elliot Smith e Catpower, nonché ha recitato in un breve ruolo nel film “Shortbus” di John Cameron Mitchell. 


Da un paio d’anni però Reg si è dedicato a un nuovo progetto. In coppia col tastierista James Button della band di Toronto Ohbijou, ha fondato il duo dei Light Fires e si esibisce nelle vesti di “Regina the Gentlelady”. Dopo il singolo “Ten feet fall”, pubblicato quest’estate in edizione limitata su vinile bianco 45 giri, a settembre è uscito il primo album, “Face”, un’irresistibile raccolta di canzoni electropop come si facevano una volta (siamo nei dintorni degli Yazoo, per intenderci). Si tratta di un disco pensato sia per un circuito dance alternativo, che per gli amanti del pop non omologato. I testi non sono esattamente quelli della Tatangelo (su tutte, la felice intuizione del sintetico ritornello di If you’re bored: “Se ti annoi, allora scopa”, ma non dimentichiamo anche quello di I like to work: “Mi piace lavorare... Ti passo i ferri del mestiere, mettiti in ginocchio e ti mostro come si fa”, una vera poetessa). 


La migliore definizione del disco è quella offerta dalla recensione apparsa sul blog canadese “Ride the tempo”, che più o meno dice: “Questo album è la colonna sonora della libera uscita in città di una ragazza, o di chiunque voglia esserlo per una notte”.  
Un disco divertente, ballabile, con sonorità tra il revival e l'alternativo, di facilissima presa. E un personaggio alla voce che spacca già dalle fotografie. 


Domanda vostra: Ma Matteo come fai a scoprire sempre queste stranezze, eh? Come fai?
Risposta: Lo confesso: Reg Vermue è amico di miei amici di Toronto. Sono venuto a conoscenza dei Light Fires quest’estate solo perché hanno messo l’album in sottofondo una sera a cena. Diciamo quindi che sono a un grado di separazione da Regina the Gentlelady. E però, essendo di una generosità sconfinata, ho deciso di condividere la scoperta. 

Seconda domanda vostra: Non dirmi che possiedi anche il limitatissimo 45 giri in vinile bianco?
Risposta: Eccerto!



Vi lascio col video di "Ten feet tall".


martedì 8 ottobre 2013

PURI DI CUORE A BROOKLYN

Ripropongo di seguito una mia recensione pubblicata domenica 29 settembre su L'unità:



Nel corso degli ultimi anni Brooklyn sembra essere diventata il centro culturale del mondo: tutti i principali scrittori americani ci vivono, qui nascono le nuove riviste di narrativa di tendenza e hanno luogo i festival letterari, è lo scenario dove si svolge “Girls”, la serie tv che ha reso la sua giovane ideatrice Lena Dunham una star, ed è la capitale planetaria degli hispster. Forse un po’ troppo perché possa essere preso tutto sul serio. Ecco allora che cominciano timidamente a emergere tentativi di mettere in discussione, magari anche in maniera ironica, questo presunto primato. 
E’ il caso di “Trascurabili contrattempi di un giovane scrittore in cerca di gloria”, il nuovo romanzo di Michael Dahlie (edizione Nutrimenti, tradotto da Mirko Zilahi de’ Gyurgyokai), ambientato nel cuore pulsante della Brooklyn letteraria, il quartiere di Williamsburg.  
Ne è protagonista Henry, venticinquenne, laureato ad Harvard, aspirante autore, proprietario di un appartamento di lusso e soprattutto erede di ben 15 milioni di dollari. E’ grazie a questa sua disponibilità economica che viene coinvolto nella nascita di una nuova rivista letteraria, “Il demente”, da lui generosamente finanziata. Malgrado ne sia il principale contribuente gli viene però affidato il ruolo marginale di redattore indipendente e i suoi tentativi di proporre qualche racconto per la pubblicazione falliscono. La rivista gli fornisce tuttavia l’alibi di sentirsi parte integrante della scena culturale del quartiere, gli permette di frequentare presentazioni letterarie e gli fornisce argomenti di conversazione con Abby, una cugina di quarto grado di cui è infatuato. 
Presto il lettore si trova a scoprire che Henry è un perfetto ingenuo, incapace di far valere il proprio potere presso gli altezzosi redattori del Demente, trattenuto negli approcci con Abby dallo spettro della lontana parentela, pronto a subire rifiuti e umiliazioni senza mai mostrare traccia di frustrazione. Un puro di cuore come nella narrativa contemporanea non ne esistono più. Inutile dire che un simile personaggio è destinato ad avversità di ogni tipo, e infatti nel corso del romanzo gliene capiteranno parecchie, alcune gravi e altre sfacciatamente ridicole. Eppure è proprio la natura di Henry il punto di forza del libro: l’intensità con cui vive il rapporto con il suo migliore amico, il rimpianto commosso del padre scomparso, la scelta di scrivere racconti che hanno per protagonisti solo ultraottantenni... E’ quasi una boccata d’aria leggere di un personaggio tanto differente dai suoi contemporanei. 
Il “New York Times” recensendo il romanzo ha voluto ovviamente riesumare il Candido di Voltaire, ma senza andare tanto indietro nei secoli, l’Henry di Dahlie è un parente prossimo dei personaggi di Jonathan Ames (altro scrittore residente a Brooklyn), come l’Alan di “Sveglia, sir!” e il Lou Ives di “Io & Henry”. Se però gli eroi di Ames sono dei dandy impegnati a seguire modelli di eleganza e galanteria desueti ma con feticismi e fissazioni sessuali molto contemporanee, il protagonista del romanzo di Dahlie è un innocente ostinato, legato sì a valori forse antiquati, ma con la determinazione e l’incoscienza di un ragazzino. 
Non a caso il romanzo acquista potenza nel momento in cui Henry incontrerà la sua nemesi, un affermato attore hollywoodiano che lo assumerà come ghost-writer: lo scontro fra gli ideali romantici di uno e l’arroganza senza scrupoli dell’altro non potranno che provocare conseguenze nefaste. 
Il pregio di Michael Dahlie è di evitare miracolosamente di trasformare i suoi personaggi in macchiette, sebbene ci siano tutti i presupposti per farlo. Il romanzo sembra più aggirarsi nei territori della favola morale che del ritratto farsesco. 
“Trascurabili contrattempi di un giovane scrittore in cerca di gloria” è dunque un libro di una leggerezza elegante, al termine del quale non possiamo fare a meno di chiederci se sia Henry troppo puro per essere vero o se siamo diventati noi tutti troppo cinici per continuare a credere nell’esistenza dell’innocenza.  
Un’ultima curiosità: il titolo italiano del romanzo è del tutto posticcio, non ha nulla a che vedere con l’originale, ma non avrebbe potuto essere altrimenti. Negli USA il romanzo è uscito infatti come “The best of youth”, ossia “La meglio gioventù”. L’autore ha ammesso di averlo preso in prestito dal film di Marco Tullio Giordana, ma non è difficile intuire una doppia valenza ironica nella scelta: la meglio gioventù, quale quella snob, pretenziosa ed effimera di certi presunti ambienti culturali, o anche il meglio della giovinezza, ossia la catena di disastri che dovrà subire lo sventurato Henry prima di raggiungere una certa maturità, personale e sentimentale. In entrambi i casi, per meglio si intende proprio il peggio.


giovedì 3 ottobre 2013

LE PAROLE CAMBIANO


Nel marzo di due anni fa ho pubblicato un articolo su L’unità che poi ho ripreso su questo blog in un post. L’articolo riguardava l’uscita americana del libro “It gets better” di Dan Savage per sostenere gli adolescenti gay vittime di bullismo e aveva suscitato un enorme interesse. Tra le varie reazioni che aveva provocato c’è stata quella di stimolare la curiosità della casa editrice Isbn, che ne ha acquistato i diritti per l’edizione italiana. Con il titolo “Le cose cambiano” oggi il libro esce in Italia. E’ distribuito sia in libreria che in edicola (come allegato al Corriere della sera) e costa 7.90 euro. Come nel caso dell’originale americano, ispirato da un canale YouTube, anche questo è legato a un portale di testimonianze video, già attivo da qualche mese.
L’edizione italiana in volume raccoglie il meglio di quella USA più una serie di interventi scritti appositamente da autori italiani, fra i quali compaiono Ivan Cotroneo, Walter Siti, Aldo Busi, Anna Paola Concia, Alcide Pierantozzi, Piergiorgio Paterlini. Anch’io ho scritto un pezzo, ma al di là della mia presenza come autore sono particolarmente felice di aver contribuito indirettamente alla nascita del progetto in Italia. Per carità, forse sarebbe successo tutto comunque, magari solo un po’ più tardi o con altre modalità. Comunque l’idea che tramite un singolo articolo si sia messo in moto un intero movimento mi sembra essere una prova, eloquente, sbalorditiva, della forza che ancora hanno le parole.