venerdì 17 giugno 2011

INTERVISTE CHE NON MI HANNO FATTO, n. 4 (ESORDIENTI: LAVORI IN CORSO)

Ieri citavo il libro "Esordienti: lavori in corso" a cura del giornalista Nicola Perilli. Dal momento che il volume consiste esclusivamente di interviste rivolte a scrittori sul tema dell'esordio, direi che questo slot di domande fisse si presta perfettamente per la mia rubrica egodelirante sulle interviste che non mi sono state poste. Voilà.

Quando e come ha esordito?

Con un bluff. Nel 1993 erano usciti i primi volumi della serie "Millelire" di Stampa Alternativa. In quel periodo io stavo frequentando l'università e, in contemporanea, svolgevo il servizio civile in un istituto di assistenza per bambini psicotici. Ho pensato che l'esperienza che stavo vivendo potesse essere un soggetto ideale per un Millelire, allora ho scritto tre pagine e le ho spedite all'editore, Marcello Baraghini, fingendo che fossero estratte da un testo più lungo. Qualche giorno dopo Baraghini mi ha chiamato (molto presto, erano forse le otto del mattino, mi ricordo che stavo facendo colazione) e mi ha detto che avrebbero pubblicato il libro, di mandargli il resto. Io ero esaltatato ma anche terrorizzato, perché in effetti non c'era alcun resto: ho dovuto scrivere il libro nel giro di qualche settimana e spedirglielo. Credo di essere stato un rarissimo caso al mondo di esordiente che ha avuto proposta di pubblicazione prima ancora di aver scritto il testo.

Tuttavia considero questo solo il mio primo approccio al mondo editoriale, perché si trattava di un lungo racconto, non un romanzo. L'esordio vero e proprio è stato con "Generations of love" del 1999. In quel caso avevo mandato il dattiloscritto a tre editori: Feltrinelli, Einaudi Stile Libero e Baldini & Castoldi. Feltrinelli mi disse di no (con una lettera molto dettagliata che ne spiegava i motivi), da Stile Libero dissero che erano interessati, ma senza farmi una proposta concreta, in Baldini mi dissero di sì subito, e ovviamente firmai con loro.

Essere un esordiente oggi: cosa cambia rispetto al passato?

C'è Internet, quindi è cambiato tutto. Esistono infinite possibilità di pubblicare, attraverso siti, riviste, blog. E' anche più facile approcciare le case editrici (tutte hanno una loro pagina in rete, trovare i contatti è diventato elementare). Sono aumentate le possibilità, anche per una mutazione del gusto del pubblico (più incline a leggere autori nuovi) e di conseguenza, di interessa da parte degli editori.

Scelga un libro (non suo) col quale le sarebbe piaciuto esordire. Perché?

"Generazione X" di Douglas Coupland, perché ha fotografato un'era e perché era pieno di geniali trovate extra-testuali.

Quando ha smesso di sentirsi esordiente ed ha cominciato a sentirsi un professionista?

E' stato un processo molto lungo: prima di pubblicare, pensavo che mi sarei sentito scrittore solo dopo aver visto la mia firma su un volume pubblicato. Dopo l'uscita del Millelire continuavo a sentirmi un aspirante autore perché mi sembrava comunque una collana molto underground. Dopo la pubblicazione del primo romanzo per Baldini, ho cominciato a pensare che mi sarei sentito professionista solo dopo averne pubblicati due o tre o se avessi ottenuto un grosso successo di classifica... Mi sembrava che non ci fossero mai le condizioni necessarie. Solo di recente sono riuscito ad ammettere con me stesso di essere uno scrittore professionista, perché ho riconosciuto che quello che scrivo mi dà da vivere: che poi siano testi narrativi, articoli di giornale o copioni televisivi, poco importa.

Secondo la sua esperienza oggi per un giovane autore è meglio provare direttamente con i grandi editori o affidarsi all'editoria indipendente? O quale altra strada?

Credo che esordire con un piccolo editore sia meglio da molti punti di vista: perché (in genere) l'autore viene seguito con maggiore attenzione; perché approccia il mondo editoriale con maggiore cautela, senza essere buttato al centro dell'arena; perché ai fini dell'interesse della critica non c'è quasi differenza fra un grande e un piccolo editore (se di qualità, s'intende); perché a tutti è concesso eventualmente di sbagliare il primo libro uscito per un editore indipendente, mentre un esordio sbagliato con un grande editore è un marchio che difficilmente si cancella.

Ma consiglio anche di non pensare sempre e solo in termini di pubblicazione. Oggi esistono tanti strumenti, come i blog o le riviste on line, per cominciare a far leggere le proprie cose. Avere un parere oggettivo su quello che si scrive è il primo passo concreto per fare i conti con la propria scrittura e imparare a migliorare. Meglio arrivare al debutto un anno dopo, con maggiore consapevolezza, che precorrere i tempi e ottenere risultati approssimativi.

Quale consiglio si sente di dare a uno scrittore esordiente?

Quello di leggere i suoi colleghi esordienti. Molte volte mi è capitato nei corsi di scrittura di constatare che tanti aspiranti scrittori ignorano il lavoro dei propri coetanei. Non hanno alcun metro di paragone, non cercano un confronto che invece sarebbe salutare e, in alcuni casi, confortante. Molti di loro non sono neanche consapevoli dell'esistenza delle riviste di letteratura o dei piccoli editori specializzati in esordienti, quando invece dovrebbero essere il loro primo riferimento. E' un po' come trovarsi ad allenare una squadra di calcio e scoprire che non hanno idea dell'esistenza di campionati regionali, ma sono tutti convinti di dover esordire in serie A.

Infine, quanto conta la lettura nel percorso di crescita di un autore?

E' l'unica cosa che conta. Si diventa scrittori perché si ama leggere. Se no, che senso ha?

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Matteo,

tutto vero quello che dici sugli esordienti (meglio con una casa editrice piccola per non essere gettati subito nel gorgo ecc.); io però ho una sensazione, che potrò confermare appieno solo tra qualche mese: sto preparando il mio prossimo libro con una casa editrice grossa e, francamente, a livello di lavoro sul testo, di strategie, di pagamenti, di contatti - per iscritto, per telefono e DI PERSONA - non c'è paragone con le mie esperienze precedenti con la piccola editoria: adesso mi sento seguito, sento che intorno a me c'è un progetto e un'attenzione pazzesca attorno al testo, alle mie mosse e alle loro. A volte ho avuto la sensazione che le piccole case editrici buttino il libro nella mischia e facciano poi fatica - viste le poche forze - a seguirlo per bene con uffici stampa, editing e così via. Non so che ne pensi.
Un abbraccio,
Andrea Tarabbia

Anonimo ha detto...

Mi sai indicare delle riviste letterarie e dei piccoli editori specializzate in autori esordienti?
Confesso, come tu stesso scrivi nel post, non ho idea di come muovermi. grazie in anticipo.
carlo.

Matteo B. Bianchi ha detto...

Per Andrea: certo la differenza tra una grande e una piccola casa editrice è innegabile. E però dipende anche dalle case editrici (per dire, una sensazione di grande attenzione me l'hanno sempre comunicata gli autori di minimum fax che, come sai, non è certo un colosso editoriale). Dico solo che debuttare con una piccola, buona casa è un passo misurato e spesso il più sensato.

Per Carlo. Trovi un po' di link alle riviste italiane sul blog del Birra:

http://birrariviste.wordpress.com/

MissMartinaB ha detto...

Io sono curiosa di leggere che cosa scrivono gli esordienti. Sul mio blog ho fatto un resoconto delle mie sensazioni dopo aver letto i racconti pubblicati su Nuovi Argomenti qualche mese fa, nel numero "Mai sentiti".
Adesso vado a dare una sbirciatina al link che hai messo per Carlo.
Grazie

Matteo B. Bianchi ha detto...

Martina allora non mancare di leggere gli esordienti pubblicati su 'tina:
www.matteobb.com/tina