martedì 8 ottobre 2013

PURI DI CUORE A BROOKLYN

Ripropongo di seguito una mia recensione pubblicata domenica 29 settembre su L'unità:



Nel corso degli ultimi anni Brooklyn sembra essere diventata il centro culturale del mondo: tutti i principali scrittori americani ci vivono, qui nascono le nuove riviste di narrativa di tendenza e hanno luogo i festival letterari, è lo scenario dove si svolge “Girls”, la serie tv che ha reso la sua giovane ideatrice Lena Dunham una star, ed è la capitale planetaria degli hispster. Forse un po’ troppo perché possa essere preso tutto sul serio. Ecco allora che cominciano timidamente a emergere tentativi di mettere in discussione, magari anche in maniera ironica, questo presunto primato. 
E’ il caso di “Trascurabili contrattempi di un giovane scrittore in cerca di gloria”, il nuovo romanzo di Michael Dahlie (edizione Nutrimenti, tradotto da Mirko Zilahi de’ Gyurgyokai), ambientato nel cuore pulsante della Brooklyn letteraria, il quartiere di Williamsburg.  
Ne è protagonista Henry, venticinquenne, laureato ad Harvard, aspirante autore, proprietario di un appartamento di lusso e soprattutto erede di ben 15 milioni di dollari. E’ grazie a questa sua disponibilità economica che viene coinvolto nella nascita di una nuova rivista letteraria, “Il demente”, da lui generosamente finanziata. Malgrado ne sia il principale contribuente gli viene però affidato il ruolo marginale di redattore indipendente e i suoi tentativi di proporre qualche racconto per la pubblicazione falliscono. La rivista gli fornisce tuttavia l’alibi di sentirsi parte integrante della scena culturale del quartiere, gli permette di frequentare presentazioni letterarie e gli fornisce argomenti di conversazione con Abby, una cugina di quarto grado di cui è infatuato. 
Presto il lettore si trova a scoprire che Henry è un perfetto ingenuo, incapace di far valere il proprio potere presso gli altezzosi redattori del Demente, trattenuto negli approcci con Abby dallo spettro della lontana parentela, pronto a subire rifiuti e umiliazioni senza mai mostrare traccia di frustrazione. Un puro di cuore come nella narrativa contemporanea non ne esistono più. Inutile dire che un simile personaggio è destinato ad avversità di ogni tipo, e infatti nel corso del romanzo gliene capiteranno parecchie, alcune gravi e altre sfacciatamente ridicole. Eppure è proprio la natura di Henry il punto di forza del libro: l’intensità con cui vive il rapporto con il suo migliore amico, il rimpianto commosso del padre scomparso, la scelta di scrivere racconti che hanno per protagonisti solo ultraottantenni... E’ quasi una boccata d’aria leggere di un personaggio tanto differente dai suoi contemporanei. 
Il “New York Times” recensendo il romanzo ha voluto ovviamente riesumare il Candido di Voltaire, ma senza andare tanto indietro nei secoli, l’Henry di Dahlie è un parente prossimo dei personaggi di Jonathan Ames (altro scrittore residente a Brooklyn), come l’Alan di “Sveglia, sir!” e il Lou Ives di “Io & Henry”. Se però gli eroi di Ames sono dei dandy impegnati a seguire modelli di eleganza e galanteria desueti ma con feticismi e fissazioni sessuali molto contemporanee, il protagonista del romanzo di Dahlie è un innocente ostinato, legato sì a valori forse antiquati, ma con la determinazione e l’incoscienza di un ragazzino. 
Non a caso il romanzo acquista potenza nel momento in cui Henry incontrerà la sua nemesi, un affermato attore hollywoodiano che lo assumerà come ghost-writer: lo scontro fra gli ideali romantici di uno e l’arroganza senza scrupoli dell’altro non potranno che provocare conseguenze nefaste. 
Il pregio di Michael Dahlie è di evitare miracolosamente di trasformare i suoi personaggi in macchiette, sebbene ci siano tutti i presupposti per farlo. Il romanzo sembra più aggirarsi nei territori della favola morale che del ritratto farsesco. 
“Trascurabili contrattempi di un giovane scrittore in cerca di gloria” è dunque un libro di una leggerezza elegante, al termine del quale non possiamo fare a meno di chiederci se sia Henry troppo puro per essere vero o se siamo diventati noi tutti troppo cinici per continuare a credere nell’esistenza dell’innocenza.  
Un’ultima curiosità: il titolo italiano del romanzo è del tutto posticcio, non ha nulla a che vedere con l’originale, ma non avrebbe potuto essere altrimenti. Negli USA il romanzo è uscito infatti come “The best of youth”, ossia “La meglio gioventù”. L’autore ha ammesso di averlo preso in prestito dal film di Marco Tullio Giordana, ma non è difficile intuire una doppia valenza ironica nella scelta: la meglio gioventù, quale quella snob, pretenziosa ed effimera di certi presunti ambienti culturali, o anche il meglio della giovinezza, ossia la catena di disastri che dovrà subire lo sventurato Henry prima di raggiungere una certa maturità, personale e sentimentale. In entrambi i casi, per meglio si intende proprio il peggio.


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