mercoledì 13 novembre 2013

UNA MAIL PRIVATA CHE RENDO PUBBLICA

Ciao Matteo,
ti rubo due minuti per dirti una cosa sul post “Novene isteriche”. O meglio su una risposta che dai a un commento, quando, incazzandoti, scrivi: vai in analisi. Il punto è che usi queste parole per attaccare, richiamando (e quindi sostenendo) un implicito che è nella mente di tutti: se uno ha bisogno di andare in analisi è un gradino sotto chi è normale e il suo discorso non può essere valido, a priori.
Lo so, se uno ha problemi non può buttarteli addosso e smerdarti. Il problema però in questo caso è il fatto di non essere corretti o onesti, non il fatto di avere bisogno di andare in analisi. Non è per spaccare il capello in quattro; non mi so spiegare meglio. Tu ti offendi se uno offende chi è gay, ma offendi chi ha bisogno di "andare in analisi". Dire: vai in analisi, come aggressione verbale (in risposta a un'aggressione verbale mascherata da riflessione) equivale a dire: sei uno stronzo. Non è un fatto di senso immediato di quello che dici (magari uno ha veramente bisogno di andare in analisi), ma della connotazione che ha, dell'implicito che richiama, e delle parole come azione in una comunicazione (come dire: stai zitto, vai in analisi piuttosto, idiota - ti sto attaccando, e per farlo uso come arma il discredito sociale che ha chi ha problemi psicologici, o mentali. E indirettamente sostengo quella condanna sociale).

Baci
L.

Cara L.
la tua lettera mi sorprende e mi porta a riflette su quanto spesso i sintetici scambi di battute pubblicati su internet si prestino a fraintendimenti o a libere interpretazioni.
Io sono andato per due volte in analisi, in momenti diversi della mia vita. La prima dopo un grave trauma familiare, circa quindici anni fa; la seconda in tempi più recenti per scelta personale, il bisogno di chiarire meglio con me stesso alcune zone d’ombra che mi sembrava mi ostacolassero il cammino. Considero l’analisi (o l’assistenza psicologica in generale) non solo uno strumento utile per superare certe difficoltà, ma anche una scelta matura e consapevole. 
Inoltre ho studiato psicologia all’università, ho approfondito il discorso sia in ambito disciplinare che privato, per interesse personale.
Tutto questo per dirti che se invito qualcuno ad andare in analisi non ho alcun intento ironico o denigratorio. Intendo al contrario che l’esperienza possa giovargli. 
In particolare lo scambio a cui ti riferisci era la mia risposta alle esternazioni di un certo Paolo che sosteneva che i gay che desiderano adottare un figlio siano irrisolti personalmente e stiano cercando di colmare un vuoto. (cito dal commento: “Il senso di vuoto che molti gay hanno dentro non lo si riempie costringendo un bambino a crescere con due padri e senza una madre, ma accettando la nostra natura.) Una posizione che ritengo francamente inaccettabile e che mi sembra invece la chiara proiezione delle insicurezze di chi scrive. In questo senso l’ho invitato a ricorrere all’analisi. Ho l’impressione che le sue posizioni dogmatiche e ingiustificate riflettano una mancata maturazione, una capacità quantomeno approssimativa di giudicare e affrontare i sentimenti.
Inoltre, io non mi sono offeso perché, come dici tu, Paolo “ha offeso i gay”. Mi sono arrabbiato perché ha stabilito, in maniera arbitraria e insensata, un parallelo tra il bisogno di paternità e la mancata accettazione di sé. Secondo il paradigma stabilito da questo Paolo, io, in quanto gay e non desideroso di figli, sono dunque realizzatissimo e non ho alcun vuoto interiore (pertanto sono un idiota a essere andato in analisi due volte quando non ne avevo bisogno affatto).
Per rispondere alla tua lettera dunque, ritengo che il discredito sociale non stia nel mio - sincero - invito all’analisi, quanto nelle posizioni sclerotiche di questo presunto teorico delle relazioni omosessuali. 

Ti abbraccio,

M


1 commento:

Alberto ha detto...

Il punto l''hai centrato nel primo paragrafo: "i sintetici scambi di battute pubblicati su internet si prestino a fraintendimenti", soprattutto perché quando si parla di temi legati al nostro vissuto tendiamo all'ipersensibilità.

Leggendo il commento si intuiva che l'invito all'analisi dipendesse dall'irrisolutezza emersa dal suo ragionamento, tuttavia la mail mi ha fatto tantissima tenerezza.