mercoledì 7 ottobre 2015

LA PAROLA AI LIBRAI: 12 - BEATRICE DORIGO (TORINO)



Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
Una buona dose di incoscienza senza dubbio! Credo fosse il mio sogno di bambina, alimentato nel corso degli anni da una famigerata formazione umanistica e il desiderio di passare la mia vita fra i libri, che sono forse l’unica costante che ho sempre avuto.

Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
Da un lato è più facile in tanti risvolti pratici: grazie a Google puoi identificare i libri che ti vengono richiesti da clienti che hanno pochissime informazioni (tipo: ne hanno parlato a Radio Tre la settimana scorsa, parla di un bambino, l’autore è uno psichiatra, forse ha la copertina blu), i programmi gestionali dei magazzini ti consentono di vedere in tempo reale e con un margine d’errore quasi nullo la giacenza del libro, grazie ai social hai più opportunità di dialogo con i clienti. Dall’altra, devi essere sempre più brava ad entrare realmente in contatto con le persone, a spingerle a fidarsi di te e della tua competenza. Devi dare ai lettori un motivo per scegliere te e la tua libreria anziché la grande distribuzione. Devi aggiornarti molto, studiare, organizzare eventi interessanti: comunicare bene chi sei, che cosa fai, e per quali motivi io, lettore, devo uscire di casa e venire a trovare proprio te.

So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
Buoni lettori, sia maschi che femmine, mediamente tra i 30 e i 60 anni, che sanno cosa vogliono ma sono disposti ad ascoltare i tuoi consigli, e che curiosano volentieri fra le novità.

Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
Potermi avviluppare nella coperta e leggere anziché fare le pulizie di casa perché “È per lavoro”! Ma anche il momento magico in cui qualcuno torna in negozio e ti dice che il libro che hai consigliato era bellissimo: mettersi a parlare dei personaggi e delle situazioni come se fossero vecchi amici in comune. 

Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
Chi si lamenta della chiusura delle librerie indipendenti con toni da “O tempora, o mores!”, ma poi non ci ha mai comprato un libro. E anche chi fa acquisti solo online e poi si indigna se le librerie non sono disponibili per fare presentazioni dei libri che ha scritto. 

La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente?
Un bastone per le tende. L’ho guardato e gli ho detto “Forse ha sbagliato negozio, questa è una libreria”, e lui, impassibile, mi ha risposto “Ah, e quindi non ce l’avete?”.

Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
Aver consigliato un libro per una ragazzina che non leggeva niente la cui mamma, lettrice famelica, era disperata. Dopo quel consiglio, la ragazzina ha cominciato a venire in libreria quasi una volta alla settimana, si è appassionata ai libri, ha cambiato approccio verso la lettura. Mi piace pensare di averla aiutata, anche se in maniera indiretta, a “sbloccare” una grande passione.

Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Le librerie indipendenti di solito hanno un legame molto forte col territorio, e la Gang del Pensiero non fa eccezione. Credo che le librerie siano importanti perché danno al quartiere e alla città un legame molto pratico, molto stretto con la cultura, che, se rimane idea astratta, non serve a nessuno. È uno spazio in cui i genitori e i figli scelgono insieme le storie da leggere, in cui puoi incontrare di persona un autore che ti ha tenuto compagnia con i suoi personaggi, in cui puoi semplicemente rilassarti e perderti per dieci minuti in altri mondi. Questa primavera abbiamo proposto ai nostri clienti di venire a leggere in vetrina per mezz’ora: e tanti di loro ci hanno ringraziati, perché hanno colto l’occasione per rubare del tempo alle incombenze quotidiane e ritagliarsi uno spazio solo per sé. Questo per me è un fatto emblematico di quello che la libreria dovrebbe rappresentare nel territorio. E poi le librerie sono belle: anche questo è qualcosa che si riflette in positivo sulla città!

Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
La libreria indipendente è più personale, assomiglia a chi la crea. Penso che ci siano ottimi librai anche all’interno delle librerie di catena, ma spesso non godono di un ampio margine d’azione. Nella vetrina della libreria indipendente puoi mettere chi vuoi, puoi dare spazio ai piccoli, scegliere titolo per titolo, costruirti un’identità precisa. Puoi scegliere di premiare un libro un po’ sfigato ma che secondo te merita. Fai già una scrematura, anche fra i titoloni di punta che “devi” avere. E di solito, anche per questioni numeriche, riconosci i tuoi clienti, ti ricordi i loro gusti, chiedi notizie dei nipoti, ti prendi il tempo per farci quattro chiacchiere, perché ognuno di loro è – davvero – importante. Credo che le librerie indipendenti siano adatte alle persone curiose, a quelle che amano il contatto umano, e che vogliono scegliere un libraio un po’ come scelgono un amico. Poi secondo me chi ama leggere compra libri dappertutto, perché non sa resistere.

Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Dal 2008 a oggi ho venduto un sacco di copie de “Il Vangelo Secondo Biff”, ma non so se Christopher Moore l’ha mai saputo!

Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
Per me è il lavoro più bello del mondo, e forse anche l’unico che so fare davvero bene (spero, in realtà me lo sto dicendo da sola, quindi non so se vale). Non so se è destino che le librerie prima o poi scompaiano, ma spero di no, e più da lettrice che da libraia. È che mi piacciono le persone. E forse i libri sono una scusa per arrivare al cuore delle persone.


LaGang Del Pensiero 
Corso B. Telesio 99

Torino

1 commento:

Anonimo ha detto...

Dovessi mai passare per Torino, cara Beatrice... entrerò sicuramente a trovarti. Un vero piacere leggere questa intervista.
Simone