giovedì 3 dicembre 2015

IN ASSENZA DI MOVIMENTO

Sono da anni un ammiratore di Oliver Sacks, che ha il grande merito di aver saputo coniugare narrativa e divulgazione scientifica con una formula del tutto personale, riuscendo ad avvicinare lettori anche digiuni di conoscenze specifiche a temi legati alla neurologia e alla psichiatria con un approccio entusiasta e contagioso.
Il suo ultimo lavoro (che purtroppo resterà tale, poiché è scomparso pochi mesi fa) è un’autobiografia intitolata “On the move” che ha creato un certo scalpore sulla stampa di mezzo mondo (da noi, “Il venerdì” di Repubblica gli ha addirittura dedicato una copertina) poiché in queste pagine Sacks compie un tardivo coming out, rivelando per la prima volta, a ottant’anni suonati, di essere omosessuale.   
La circostanza è sorprendente da svariati punti di vista. In primo luogo perché desta meraviglia che un uomo tanto reticente sulla propria identità sessuale senta il bisogno di svelarla in età così matura. Poi perché non si tratta della prima autobiografia di Sacks: nella precedente (“Zio Tungsteno”, sebbene concentrata particolarmente sull’adolescenza e la prima giovinezza) non ne faceva minimamente accenno. Infine perché è curiosa in sé la semplice constatazione che la sessualità di un neurologo (non uno sportivo, un cantante, un politico, un attore) faccia notizia. 
Va anche detto che nella comunità omosessuale mondiale parte dell’eco mediatica sia dovuta alle foto scelte per l’apparato iconografico del volume, e in particolare per quella utilizzata nella copertina, che immortala un’aitante Sacks ventottenne a cavallo di una moto BMW per le strade di New York: giubbotto di pelle, fisico prestante, cranio rasato, sguardo sexy da attore hollywoodiano. Che il giovane neurologo fosse un idolo erotico alla stregua di un Marlon Brando delle corsie ospedaliere nessuno poteva sospettarlo. In molti (nella mia cerchia di conoscenze, tutti) hanno trattenuto il fiato dallo stupore alla vista di quella immagine: un’ondata di lussuria retroattiva. 

La curiosità di leggere questa inaspettata autobiografia era dunque alta. Il libro è uscito ora anche in Italia, pubblicato da Adelphi (come il resto della bibliografia di Sacks), col titolo “In movimento” (traduzione di Isabella C. Blum, 400 pagine, 22 euro), ma si tratta, purtroppo, di una parziale delusione.
A differenza di altri testi di Sacks, ho avuto l’impressione di uno scarso bilanciamento fra il materiale più strettamente autobiografico e quello scientifico. Ripercorrendo la sua carriera, lo studioso rievoca molti dei temi sui quali ha centrato i propri libri (in particolare, in modo quasi ossessivo, sul volume “Su una gamba sola”), talvolta entrando troppo nello specifico per un libro che intende essere più il percorso di un’esperienza umana che di quella professionale. Gli ultimi capitoli del testo, dedicati alle nuove teorie sul funzionamento della mente, perdono in modo quasi completo il carattere autobiografico per sposare quello  divulgativo.   
Per quanto poi riguarda la propria sessualità, Sacks è senza dubbio onesto ma anche piuttosto avaro di dettagli. Meraviglia per esempio che avesse dichiarato da subito la sua omosessualità alla famiglia, in un’epoca nella quale non era facile compiere una simile scelta, benché avrebbe poi dovuto attendere anni prima di provare a dare corpo ai suoi desideri. Una coraggiosa esigenza di sincerità privata alla quale ha corrisposto a un riserbo pubblico durato quasi una vita. Tuttavia ogni tanto al lettore viene da chiedere perché abbia scelto di svelare questo aspetto se poi finisca per ridurlo a poche righe. Per esempio, dedica qualcosa come cinque pagine per raccontare una noiosa sosta forzata in un’area di servizio durata un intero weekend a causa del guasto della sua moto, mentre condensa una scena di seduzione avvenuta nel dormitorio dove alloggiava a tre righe. Nell’economia di un testo disarmonie simili si fanno notare. 
Attenzione, so che questo discorso rischia di essere frainteso e voglio spiegarmi meglio: non mi attendevo pagine bollenti di narrativa erotica, non avrebbe avuto senso da un uomo con quel carattere e con quel tipo di bibliografia alle spalle. Al contrario: le avrei trovate fuori luogo e forse del tutto gratuite. Allo stesso tempo non posso trattenere la mia delusione nel constatare che un autore che ha dedicato la vita ad analizzare con tanto acume i comportamenti altrui e che ha spesso dedicato la stessa curiosità scientifica verso se stesso (la perdita di sensibilità a una gamba, il potere della musica sulla propria capacità di concentrazione, la fascinazione infantile verso la chimica...) si riveli così poco incline ad esplorare un aspetto tanto rilevante dell’esperienza umana. Quando Sacks scrive, al termine di una delicata scena erotica avvenuta in un lago, che da quel momento non avrebbe più avuto rapporti sessuali per i successivi 35 anni, il lettore rimane oggettivamente sconcertato. Un così lungo oblio, senza spiegazione, né giustificazione di sorta, è quantomeno anomalo per un individuo qualsiasi; per chi sta scrivendo la propria autobiografia è invece un assoluto azzardo. 
Dico “il lettore” perché suppongo queste siano sensazioni condivisibili, ma non escludo che possa trattarsi di “il lettore Matteo B. Bianchi” e basta. Le delusioni hanno caratteristiche del tutto individuali, si sa.
Se il sesso non ha mai avuto un posto di rilievo nell’esperienza di Sacks, la vita comunque ha voluto regalargli una tardiva gioia, facendogli sperimentare per la prima volta il piacere di una relazione stabile dopo i 70 anni. Eppure, anche qui, avendo a disposizione un elemento potentissimo da un punto di vista narrativo, preferisce liquidarlo in poche (sebbene affettuose) righe. 

Non posso che considerarla come una prova ulteriore per rafforzare la mia tesi: che a un uomo che ci ha aperto così tanto la mente, neanche la forza di un amore tardivo è stata in grado di spingerlo ad aprirci il cuore.  


Nessun commento: