giovedì 16 giugno 2011

Esordire negli anni zero

In questi giorni ho letto due libri che poco hanno a che fare tra loro e che però mi hanno offerto spunti simili di riflessione.

Il primo è "Suonare il paese prima che cada", a cura di Andrea Scarabelli (Agenzia X editore). Come suggerisce il sottotitolo, "Musica dagli anni zero", si tratta di un saggio sulla musica italiana dell'ultimo decennio, e non nel senso di Marco Carta e Emma Marrone, quanto sul ruolo culturalmente più rilevante svolto dai gruppi e dai cantautori della scena indipendente italiana.

Tramite testimonianze dirette, scambi di email e lunghe conversazioni, i protagonisti della scena indie raccontano il loro percorso individuale e tracciano un quadro del decennio che hanno (e abbiamo) appena attraversato. E' proprio questa finestra temporale a rendere significativo il discorso. Gli anni zero infatti hanno rappresentato una svolta epocale per il mercato discografico mondiale. In una decade, il panorama musicale ha subito una rivoluzione: le major si sono sgretolate, i negozi di dischi hanno chiuso i battenti lasciando il ruolo di rivenditori a pochi grandi magazzini, internet è diventato il canale principale della distribuzione di musica (legale e, soprattutto, illegale), l'evoluzione digitale ha permesso che a chiunque di avere gli strumenti per registrare, produrre e far circolare le proprie canzoni, i social network hanno sostituito il ruolo dei promoter e degli uffici stampa. In una parola, è cambiato tutto. E se da consumatori ognuno di noi ha dovuto fare i conti con questi mutamenti radicali, è particolarmente interessante rivivere questo processo attraverso gli occhi di chi ha prodotto musica all'interno di questo scenario tellurico.

Il percorso dei Baustelle, qui raccontato dalla voce del leader Francesco Bianconi, rappresenta uno degli ultimi casi di carriera discografica dalle modalità classiche, e che infatti ha avuto il suo avvio negli anni '90: primi dischi prodotti da piccole etichette, un paio di video azzeccati tramessi da MTV, l'interesse di una grande casa discografica come la Warner, il contratto, il Festivalbar, l'arrivo al grande pubblico. Un tragitto che, secondo lo stesso Bianconi, oggi sarebbe "impossibile" anche per quelle nuove band molto valide che lui riconosce essere in circolazione.

Ecco allora, quasi da contraltare, l'avventura dei Tre allegri ragazzi morti di Pordenone, secondo le parole di Enrico Molteni: un gruppo che ha flirtato con le major per poi tornare a scegliere la strada dell'autoproduzione, creando una propria etichetta e chiamandola col titolo di una loro canzone, "La tempesta". La label, nata al semplice scopo di produrre i dischi del trio, a poco, a poco, ha cominciato a pubblicare i lavori di altri amici musicisti, ospitando gruppi significativi come Il teatro degli orrori o scoprendo nuovi artisti di grande rilevanza come Le luci della centrale elettrica, sino a diventare la più importante realtà discografica indipendente del paese. Il tutto fatto a budget ridottissimi, con vendite di dischi ai concerti o nei festival, con il coinvolgimento del pubblico tramite internet, con un approccio diretto e quasi artigianale.

E' cambiata la realtà, va cambiato dunque l'atteggiamento con cui ci si pone.

Per i musicisti questa rivoluzione ha significato doversi concedere anima e corpo all'impegno musicale, a costo di enormi sacrifici. Investire in se stessi, con una fede quasi cieca nel futuro, attraversando fasi di grandi incertezze. Sono significativi i racconti di Federico Dragogna dei Ministri, un gruppo che arrivava ad avere quasi duecento date in un anno, ma a condizioni tali da non ricavarci neanche trenta euro a testa a sera, o del cantautore Dente, che ha rinunciato a un impiego retribuito per dedicarsi a comporre canzoni, costringendosi a non uscire la sera per oltre un anno per evitare ogni spesa.

E questi non sono i soliti aneddoti folcroristici che segnano gli esordi di ogni leggenda rock che si rispetti. Qui, a mio avviso, sta la vera, fondamentale differenza, rispetto al recente passato musicale. Una volta l'artista faceva sacrifici nell'ottica di venire prima o poi scoperto da un celebre produttore e vedere il proprio lavoro riconosciuto, con grandi investimenti economici e promozionali. Oggi questa prospettiva può essere catalogata come del tutto utopica: il musicista è consapevole che l'impegno che gli si richiede sarà continuo e i risultati relativi. In un certo senso si può tornare a parlare di vocazione musicale. Una scelta di vita a fronte di un'insopprimibile esigenza di esprimersi e comunicare.

Che un primo, potente effetto della rivoluzione musicale degli anni zero sia un ritorno all'onestà? Questo libro me l'ha fatto pensare.

L'altro volume che ho letto quasi in contemporanea è "Esordienti: lavori in corso" (Giulio Perroni editore). Qui ci spostiamo in ambito letterario. Il giornalista Nicola Perilli ha intervistato trenta scrittori ponendo a tutti le stesse domande: Come ha esordito? Che consiglio si sentirebbe di dare a uno scrittore emergente? E' meglio provare direttamente con un grande editore o affidarsi alla piccola editoria indipendente?

Si torna dunque a parlare di esordi, di percorsi individuali, di sacrifici e tentativi di fare arrivare la propria voce al pubblico. L'editoria non ha subito il tracollo che è toccato all'industria del disco (l'arrivo dei tablet e la diffusione degli e-book comporteranno le stesse conseguenze? E' un po' presto per dirlo). L'avvento di internet però anche in ambito editoriale ha mutato notevolmente lo scenario: editori on line, blog e riviste, nuove case editrici indipendenti che si fanno conoscere tramite la Rete.

Posto che alcune inclusioni nel volume non sono signficative (mi sembra irrisorio chiedere a chi già appartiene a certi circoli culturali, come Cristina Comencini, come abbia esordito), la lettura di queste interviste dimostra come per gli scrittori la via del debutto segni strade ogni volta differenti, quasi imprevedibili. La varietà delle esperienze è assoluta: c'è chi arriva a esordire con un colosso come Mondadori e ottenere un successo planetario (il caso Paolo Giordano), chi procede per piccoli passi (un racconto uscito su una rivista letteraria che porta alla pubblicazione di un romanzo presso un piccolo editore che desta la curiosità di un editore più grande...), chi gode dell'interessamento benevolo di un grande scrittore che gli funge da mentore.

Anche qui gli sforzi iniziali sono notevoli. Mesi, anni di impegno solitario, a fronte di nessuna certezza, e un percorso nel quale il talento non sempre è l'unico strumento necessario per emergere. Chi sta cercando di muovere i primi passi nell'ambito editoriale trarrà un certo giovamento nel leggere le traversie di chi l'ha preceduto in questo accidentato sentiero.

Il più bel consiglio allo scrittore emergente, fra i trenta presenti, mi sembra quello di Sandra Petrignani. Il più punk di tutti: "Di essere se stesso. Ascoltare la propria voce e esserle fedele. Fregarsene di tutto il resto, ma fregarsene davvero, profondamente".

Sembra quasi di tornare a sentire la voce dei cantanti dell'altro libro: esprimersi perché ce n'è il bisogno. Credo, in tutti casi, sia il migliore punto di partenza comunque.

1 commento:

MissMartinaB ha detto...

Quasi quasi lo cerco il libreria "esordienti:lavori in corso". Appena mi metto a scrivere mi assale un pessimismo cosmico e penso subito di smettere. Forse leggere le fatiche degli altri mi farà convincere che anche loro hanno attraversato ore buie. Non so se riuscirò a vedere la luce come loro, ma se non ci provo non lo saprò mai...