mercoledì 23 novembre 2011

IL TEMPO DI JENNIFER


Qualche settimana fa vi avevo annunciato l'uscita del mio romanzo preferito di quest'anno, "Il tempo è un bastardo" di Jennifer Egan. Ora che il volume è in libreria copio qui di seguito la lunga recensione ho pubblicato due settimane fa sul quotidiano L'unità.  




Quando in aprile Jennifer Egan ha vinto il Pulitzer con "A visit from the goon squad" sui media italiani si era diffusa la voce che a ottenere il più prestigioso premio letterario americano fosse un romanzo scritto in Power Point, ossia il software usato in tutti gli uffici per realizzare tavole e diagrammi illustrativi. Si trattava, ovviamente, di un'esagerazione. In realtà, il volume contiene un solo capitolo illustrato sotto forma di tavole, tuttavia resta un libro molto particolare: benché il resto sia pura narrativa non si può certo affermare che ci troviamo davanti a un romanzo tradizionale.

Ora che finalmente esce in Italia pubblicato da minimum fax col titolo "Il tempo è un bastardo", nell'ottima traduzione di Matteo Colombo, i lettori potranno rendersi conto di persona del perché sia talmente originale da aver conquistato in patria un'infinità di premi, non ultimo il National Book Award, soffiandolo al grande favorito Jonathan Franzen.
Il libro è costituito da tredici storie correlate fra loro. Difficile, e riduttivo, definirle "capitoli". Non a caso l'autrice ne ha pubblicate numerose come singoli racconti su riviste letterarie. Testi autoconclusivi dunque, che però riuniti acquistano un senso generale, come piastrelle colorate che, una volta avvicinate, si rivelano tessere di un grande mosaico.
Non è certo la prima volta che un autore sceglie di scrivere un romanzo in forma di racconti. Citiamo per esempio il best-seller internazionale di qualche anno fa "Manuale di caccia e pesca per ragazze" di Melissa Banks, la cui protagonista era ritratta in racconti che partivano dalla sua adolescenza fino ad arrivare alla completa maturità. Quello che Jennifer Egan ha fatto però è qualcosa di più azzardo e ambizioso: ha lavorato sui testi come entità individuali, non ha seguito alcun ordine cronologico, ha dato spazio a una ventina di personaggi. In altre parole, ha mischiato le tessere del puzzle, come se volesse suggerire il disegno conclusivo senza mai tracciarlo.
Le due figure principali attorno alle quali ruota il libro sono un produttore musicale, Bennie, e la sua assistente, Sasha. Il lettore li incontra in varie fasi della loro vita e del loro rapporto. Il libro si apre con un incontro di Sasha adulta dall'analista. Nei capitoli successivi la ritroviamo ragazzina mentre assiste a un concerto rock, madre di famiglia matura e sistemata in una villetta borghese di provincia, giovane irrequieta mentre vaga nei vicoli di Napoli vivendo di piccoli furti ed espedienti: sembrano tante donne, ma è sempre la stessa, colta in momenti differenti della propria esperienza. Anche Bennie lo vediamo come produttore di successo, adolescente cantante scatenato in un gruppo punk, professionista in declino alla ricerca di un riscatto... Attorno a loro una miriade di comprimari (figli, mariti, mogli, fratelli, compagni di univesità, persino vecchi flirt dimenticati) che a volte sono relegati nel ruolo di comparse, altre assurgono a quello di protagonisti.
L'andamento del romanzo è continuamente oscillante fra momenti storici, punti di vista e intensità differenti, in un arco temporale che va dagli anni '70 sino al 2020. Ogni volta il lettore non sa cosa aspettarsi, si abbandona al flusso che l'autrice ha programmato per lui. La Egan ha dichiarato di aver impiegato molto tempo per stabilire la consequenzialità dei capitoli, come una sapiente dosatrice di indizi ed emozioni. L'insieme che si compone alla fine è dunque un grande affresco post-moderno.
L'ispirazione principale dell'autrice è stata la lettura integrale della Recherce. Il modo di rappresentare la vita e le esperienze individuali di Proust l'ha spinta a concentrarsi sulla complessità e la frammentarietà del vivere contemporaneo. Per questo ha scelto di focalizzare la sua attenzione su singoli episodi piuttosto che su una trama corale. A spingerla verso questa libertà narrativa è stata anche un'altra grande influenza, ma di ordine cinematografico, quel "Pulp fiction" di Tarantino nel quale lo spettatore è catturato dalle diverse vicende prima di arrivare a capire la relazione che le lega.
La complessità strutturale non deve però spaventare. La vera forza del romanzo sta proprio nella straordinaria qualità delle sue storie: una PR chiamata a rinnovare l'immagine di uno spietato dittatore, un giornalista che si prende delle libertà con l'attricetta che deve intervistare, un safari in Africa nel quale un figlio s'invaghisce della giovane amante del padre, le pagine di diario di un'adolescente del futuro in formato Power Point.
La potenza visiva di questi episodi non è sfuggita ai produttori televisivi. Così come è successo per "Le correzioni" di Franzen, anche il romanzo della Egan è stato opzionato dal canale via cavo HBO per una riduzione televisiva. Trattandosi della stessa rete che ha prodotto serie tv spettacolari del livello de "I sopranos" e "Six feet under" è legittimo avere aspettative elevate sul progetto.
"Il tempo è un bastardo" è un romanzo profondamente contemporaneo, che racconta senza svelare, che apre scenari e li richiude, e al termine lascia una curiosa sensazione di inedita pienezza. E se è difficile trovarne equivalenti letterari il motivo va ricercato nel tema del libro stesso, quello musicale. Questo libro è come un album: si può scegliere di ascolarne le singole canzoni, ma è nell'ascolto completo che se ne assapora tutta la potenza. 


4 commenti:

vinz ha detto...

A me ha ricordato il Jonathan Coe travolgente de "La Casa del Sonno".
Miglior complimento non potrei fare ad un romanzo. :-)

Stefano vr ha detto...

La tua interessante recensione mi ha incuriosito non poco...e poi come non leggere il romanzo che ha soffiato un premio a quel pallone gonfiato di Franzen?...(Vinz? dov'è finito quel grande Coe???)

vinz ha detto...

@Stefano: eh si, Coe ha avuto quelle due vette assolute, "la famiglia Winshaw" e "la casa del sonno" e poi...si e' spento inesorabilmente.
Tra l'altro e' davvero un peccato che nessuno abbia fatto film/serial dei suoi libri. Cioe', lo fanno con Franzen, capito!!!!!!

Anonimo ha detto...

sempre belle scelte i pulitzer. anche quello dell'anno scorso e di due anni fà