lunedì 2 novembre 2015

LA PAROLA AI LIBRAI: 13 - DANILO DAJELLI (MILANO)



Cosa ti ha spinto ad aprire una libreria?
Forse ci sono delle cose che ti appartengono e basta. Non è (solo) questione di sogni, ma di mestieri, vocazioni che abbiamo da sempre e che ognuno di noi ha il dovere di trovare per vivere bene. Io, ad un certo punto, non ho avuto dubbi su quello che volevo fare: volevo aprire una libreria. Non solo fare il libraio, ma costruirne, progettarne una mia, pensata e studiata come io immaginavo dovesse essere. Meglio: sapevo che prima dovevo imparare a fare il libraio, poi avrei potuto farlo a modo mio. E quello di Gogol and Company è stato un progetto che è andato avanti per anni prima che potessi vederlo concretizzarsi: un continuo scambio di idee con mia moglie, con amici, con persone di cui mi fido e che hanno visioni del mondo intelligenti, aperte, spesso diverse dalle mie, senza il cui contributo comunque oggi questo posto non sarebbe quello che è.

Come pensi sia cambiato il lavoro del libraio negli ultimi 10 anni?
Penso sia radicalmente cambiato. Oggi il libraio dev'essere soprattutto imprenditore. E questo non significa rinunciare alla figura sociale e culturale che fare questo lavoro implica, ma arricchirla.
Gli spazi in cui è possibile acquistare un libro si sono moltiplicati, diversificati ed espansi, così come sono cambiate le modalità e i supporti di lettura. Se pensi che ci sono distributori di libri nelle stazioni dei treni e che online gli utenti scaricano i libri (più o meno legalmente), per fare un paio di esempi, è evidente quanto il libro abbia radicalmente modificato le proprie forme di diffusione. La libreria, come è stata intesa negli ultimi vent'anni almeno, non esiste più. Come tantissimi altri spazi che hanno caratterizzato la vita sociale italiana negli ultimi decenni.
Ricordo con piacere il commento di un importante antropologo italiano che venne a visitare il nostro spazio a circa un anno dall'apertura. Disse che gli ricordava un'osteria per come la gente si muoveva e si parlava. Qui ci si incontra senza appuntamento, è un luogo in cui vale il termine “passare del tempo” nella sua accezione più ampia, dove puoi rimanere a sfogliare libri seduto su una poltrona, ma anche lavorare con il computer bevendo caffè americano, o trovare qualcuno con cui passare del tempo, conoscersi, scambiare idee e certe volte ritrovarsi. La libreria deve tornare a essere luogo d'incontro, di dibattito, spazio per fermarsi e per vivere esperienze che, nel nostro caso, sono sia letterarie che enogastronomiche. 


So che è impossibile, ma se dovessi identificare un tuo cliente standard più o meno come lo descriveresti?
Non mi è difficile rispondere perché abbiamo lavorato a lungo per fare in modo che il nostro cliente tipo fosse piuttosto giovane, tecnologico, attento non solo e non tanto ai fenomeni mainstream quanto più alle dinamiche underground. Una persona che frequenta questo spazio e che riesce a riconoscere con immediatezza quelli che sono i percorsi che esso offre: legati al mondo dei libri, della letteratura, all'arte, ma anche alle degustazioni di prodotti, o alle attività creative, alle serate musicali o di intrattenimento di vario genere. Una persona però che ci segua anche sul web, che comunichi con noi su tutti i canali possibili, che ci aiuti ad arrivare ad ancora più persone.
A fianco di quello che per noi rappresenta il cliente ideale, c'è un'altra tipologia di cliente importantissimo ed è l'abitante di questo quartiere. Il nostro è uno spazio che si è sempre proposto come presidio e riferimento, del quartiere in primis, poi del resto della città. 
Quello che però, secondo me, fa davvero tornare in questo posto, quello che – con lo stesso meccanismo - fa in modo che io torni in un posto che mi piace, è l'attenzione che ognuna delle persone che lavora qui dentro dedica a ogni cliente. Riconoscere, chiamare per nome, ricordare i gusti letterari di un lettore. Tutti piccoli accorgimenti che permettono di sentirsi accolti, guardati, ricordati,  in un'atmosfera che ha quantomeno le potenzialità per diventare familiare.

Qual è la soddisfazione maggiore che ti da il tuo lavoro?
Mi piace riconoscere ma anche essere riconosciuto. Quando passeggio per il quartiere e mi confronto con il panettiere, il fruttivendolo o il parcheggiatore mi piace essere riconosciuto come il libraio. Significa aver lavorato nel modo giusto con le persone del quartiere, aver oltrepassato il mero concetto di “commercio” per diventare “riferimento”. Mi fa sempre sorridere il ricordo del giorno in cui una ragazzina del quartiere è arrivata in lacrime in libreria per chiedere aiuto: il suo cane cucciolo era scappato ed era disperata. Ecco, Giulia che chiede aiuto nello spazio che ogni tanto frequenta, dove era certa avrebbe trovato ascolto e aiuto immediato rende esattamente quello che volevo dire nelle righe sopra.

Cos’è che ti fa davvero cascare le braccia?
La vittimizzazione della figura del libraio, martoriato difensore della cultura; le librerie da salvare per forza perché sono librerie; li libraio che non arriva a fine mese, nonostante metta l'anima nel proprio mestiere. Sono immagini iper-abusate di questi tempi, come il panda in via d'estinzione, no?
La società è cambiata, il commercio anche. È doveroso aggiornarsi e calarsi nel tempo in cui ci troviamo a vivere. Il nostro è un lavoro di costante ricerca, movimento, studio e aggiornamenti, è un lavoro che nasce dal confronto, dall'attenzione al mondo che ci circonda e alle sue evoluzioni. Con l'umiltà di imparare sempre, la volontà di  cambiare, quando necessario.

La cosa più assurda che ti ha chiesto un cliente?
Qual è il mio lavoro, per esempio. O se è possibile sedersi su una delle poltrone sparse nello spazio. O se si possono leggere o sfogliare i libri. Se il cibo proposto è gratis o va pagato. La costellazione di manifestazioni umane in uno spazio come il nostro è infinita e allo stesso tempo curiosa, alle volte insopportabile. Fa parte dei giochi, ammetto che spesso è anche divertente.

Il ricordo più bello della tua esperienza da libraio?
Ricordo con orgoglio quando fui invitato a raccontare l'esperienza di Gogol & Company all'interno della Scuola librai UEM. Dal banco alla cattedra nel giro di qualche anno.  Ci eravamo riusciti, Gogol & Company era diventata una realtà consolidata, adatta ad essere raccontata a chi condivideva la stessa vocazione, un progetto simile, magari presto ancora più evoluto.

Pensi che la presenza della tua libreria apporti un miglioramento al tuo quartiere/ alla tua città? Perché?
Se così non fosse chiuderei immediatamente il nostro spazio. Sono uno di quei milanesi insopportabili che si lamentano di tutto e tutti. D'inverno voglio il caldo e in estate il freddo.
Quando giro per il quartiere dove vivo e lavoro sono pretenzioso, spesso inorridito ma altrettanto spesso entusiasta. Voglio capire, partecipare, consigliare. 
Il nostro spazio ha contribuito molto alla crescita del Giambellino, che peraltro è una zona della città in totale e aperta trasformazione: la novità di Gogol & Company è stata immediatamente percepita dalla comunità come quasi necessaria. 
Prima di noi non c'erano librerie, nella piazza pedonale dove siamo collocati ci sono ancora almeno metà degli spazi commerciali vuoti, invenduti. La sicurezza sulla piazza e sulla strada è data dalle luci degli spazi come il nostro o come la pizzeria che abbiamo di fronte. Luce=presidio.
Vorrei, nella mia città ideale, uno spazio come il nostro in tutti i quartieri, magari aperto 24 ore al giorno, ognuno con una declinazione particolare, figlia del quartiere che lo ospita.
Utopia per ora, nel futuro chi può dirlo... 

Cosa può dare in più una libreria indipendente che i negozi delle grandi catene non possono dare?
Il riconoscimento di cui parlavo prima mi sembra un concetto da non sottovalutare. Nell'epoca dell'iper-edonismo, della virtualità (anche e soprattutto sociale) in cui mostriamo tutti gli aspetti del nostro vivere come istantaee, come post, come banner flashanti, l'essere salutati e ospitati può essere un valore prezioso. Sembra che leggere sia una caratteristica sempre meno pretesa ai colleghi della grande distribuzione. Per consigliare letteratura temo sia imprescindibile leggerne almeno un po'.

Ti capita di contribuire, nel tuo piccolo, al successo di qualche libro?
Quando ci appassioniamo a una lettura cerchiamo di condividerla con l'intera comunità di Gogol & Company. E adesso iniziamo a essere in tanti, nella comunità. Se piace un libro e tutti lo leggono significa venderne centinaia di copie, e mi pare di capire che possano essere numeri interessanti. 
I due esempi più recenti ci parlano di “Benedizione” di Haruf e di “Atti Osceni in luogo privato” di Missiroli come piccoli casi editoriali a casa nostra. Grandi vendite per due titoli non esattamente commerciali.

Cosa ti spinge ad andare avanti in questa attività?
Gogol & Company è una sorta di comunità. Mia figlia legge seduta in un angolo dello spazio, io e mia moglie e tantissimi amici lavoriamo sodo per far vivere il luogo che amiamo, leggiamo libri e beviamo birra. Siamo privilegiati e la mattina quando mi alzo ho voglia di lavorare e cominciare la mia giornata tra i libri.

Gogol and Company
via Savona 101


Milano

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