Una volta, intorno ai vent'anni, mi sono innamorato di un film.
So che è pratica comune dire "mi sono innamorato di questo libro/spettacolo/canzone/film" e chi si esprime in questi termini lo fa in maniera iperbolica. Nel mio caso invece si trattava di una definizione puntuale, di un sentimento effettivo.
Ero andato a vederlo con qualche amico e all'uscita dalla proiezione mi sentivo leggermente sotto shock, quasi inebriato. Come nei reali colpi di fulmine, per tutto il giorno successivo non sono riuscito a pensare ad altro e la sera seguente sono tornato a vederlo, da solo. Volevo riassaporare tutto da capo, verificare se la mia agitazione interiore fosse motivata. Lo era.
Per un'intera settimana ho continuato a tornare a vederlo, ogni sera. A volte portandoci dei nuovi amici, a volte in solitudine.
Era un cinema di seconda visione (a quell'epoca ce n'erano ancora) e ricordo che la cassiera, alla quinta o sesta sera mi ha guardato sbigottita e ha esclamato: - Ancora?! -. Non era riuscita a trattenersi. Io le avevo risposto, con assoluta naturalezza: - E non sarà neanche l'ultima -.
Credo di essere tornato in quel cinema nove volte consecutivamente.
La cosa assurda è che il film non era un granché. Una commedia indipendente americana ambientata nei sobborghi di Los Angeles, la classica storia di un gruppo di aspiranti attori che si riduce a fare la cameriera o il pizzaiolo, nella speranza (infondata) di realizzare prima o poi i propri sogni. Più lo rivedevo e più mi rendevo conto delle limitazioni oggettive della sceneggiatura, della regia, dei contenuti. E tuttavia non me ne importava. Ne ero innamorato.
Il protagonista era un attore che allora sembrava destinato a diventare una star e che invece di lì a poco sarebbe praticamente scomparso dagli schermi, a favore di una carriera teatrale. Ricordo che nei suoi confronti provavo un sentimento contrastante, quasi schizofrenico: osservandolo sera dopo sera non riuscivo a capire se ne ero totalmente infatuato o se mi identificavo in lui. Un cortocircuito sentimentale che forse solo un omosessuale può provare e che, da allora, non ho mai rivissuto in questi termini per nessun altro personaggio maschile.
E comunque capivo anche che ciò che stavo provando in quel momento non riguardava un singolo attore, ma l'intera pellicola. Quando tornavo a casa mi mancavano fisicamente gli strampalati inquilini di quella casa, avrei avuto voglia di parlare con loro, di condividere i loro sogni, di infondere loro coraggio e di farmi accettare nel loro gruppo. Ci pensavo in continuazione.
Poi, a poco, a poco, mi è passata. Ho smesso di andare al cinema, ho cominciato a pensarci meno, ho finito per dimenticarmene.
Anni dopo, rivedendone una replica notturna su una rete televisiva, ho provato quel misto di affetto e di imbarazzo che si prova verso certi vecchi amori (Che tenerezza e/o Ma come ho fatto a perdere la testa per uno così?).
Non mi è mai più successo di provare un simile uragano emotivo per uno spettacolo. Forse ero semplicemente giovane, inesperto, irrisolto. Né mi è capitato di sentire altri raccontare esperienze simili. Se è avvenuto anche a qualche amico si vede che ha preferito tenerlo per sé.
Qualche mattina fa, su Internet ho trovato un'intervista a questo dimenticato attore e mi ha fatto risvegliare questi lontani ricordi.
Non vi dico né quale fosse la pellicola, né chi fosse l'interprete. Davvero, non importa.
Però una confessione e un riconoscimento a questa bizzarra e insensata relazione sentivo di doverli dare.