Negli ultimi anni ho sviluppato una vera passione per le autobiografie di popstar. Ne leggo di ogni tipo, dalla reginetta del pop anni ’80 al musicista rock di nicchia. Il piacere è sempre alto, i risultati spesso alterni: ci sono testimonianze vibranti e di grande valore (“Just kids” di Patti Smith è bellissimo), resoconti di ottima qualità letteraria (“Girl in a band” di Kim Gordon si avvicina alla prosa di certe narratrici americane contemporanee), esempi di eccessiva autoindulgenza (“I’ll never write my memoirs” di Grace Jones, scritto con Paul Morley, qua e là presenta delle cadute notevoli di tono) e clamorose delusioni (“Porcelain” di Moby rasenta l’imbarazzante).
Nessuna autobiografia però è paragonabile a quella scritta da Ben Watt, membro insieme alla compagna Tracey Thorn del celebre duo inglese Everything but the girl, noto in Italia soprattutto per il brano “Missing”, di enorme successo radiofonico e commerciale.
Il libro di Watt non assomiglia a nessuna altro memoir di star musicale per il semplice motivo che la sua vicenda è del tutto atipica e lontana anni luce dagli stereotipi sesso, droga e rock’n’roll che caratterizzano il genere.
Alla giovane età di 29 anni Watt ha cominciato a sperimentare una serie di difficoltà fisiche, quali affanno, dolori al petto, difficoltà di respirazione, stanchezza continua: non era ancora trentenne e provava i disturbi di un anziano. Questi sintomi dapprima gli hanno reso difficile l’attività professionale (quasi impossibile affrontare un tour in quelle condizioni), poi si sono fatte tanto gravi da impedirgli una vita normale. Visite specialistiche ed esami non indicavano niente di anomalo, ma la situazione continuava a peggiorare, finché un attacco cardiaco l’ha costretto a una corsa al pronto soccorso e al ricovero immediato. Col tempo ha scoperto di soffrire di una sindrome rara, quella di Churg Strauss, che l’ha costretto a una degenza lunga e dolorosa.
Watt ha raccontato la sua personale odissea nel memoriale intitolato “Un paziente”, nel quale rivela possedere le qualità di un vero narratore: il testo è appassionante e onesto, quasi alla stregua di un romanzo. L’autore non nasconde la rabbia e la frustrazione che la malattia gli procura, ma riesce anche a cogliere motivi di speranza e di ironia nel microcosmo che lo circonda, fra malati, medici, infermiere e familiari in visita. La prospettiva ribaltata di un artista che passa dalle luci del palcoscenico ai freddi neon di una corsia d’ospedale rende ancora più singolare la sua testimonianza. Tra le difficoltà che si trova ad affrontare c’è anche quella di chi, sapendolo un musicista famoso, attribuisce il suo stato di prostrazione alla vita di eccessi tipica delle rockstar. Anche un cugino lo chiama in ospedale per invitarlo con tono condiscendente a mettere la testa a posto e a smetterla con “questo modo di vivere privo di senso”, dando quasi per scontato che se si trova ricoverato è per un abuso di droghe o alcol. Un paradosso che rende la sua condizione di malato ancora più fastidiosa da sopportare.
Avevo letto il testo all’epoca della sua pubblicazione in inglese e per qualche tempo avevo anche cercato invano di proporne la pubblicazione in Italia agli editori coi quali collaboravo all’epoca. Oggi scopro che finalmente è stato tradotto, grazie a una nuova casa editrice di nome Carbonio. Ne sono davvero felice e mi fa molto piacere segnalarne l’uscita.
Raccontare la gravità della malattia senza cadere nel patetico o nel tragico è sempre difficile: Ben Watt ce l’ha fatta.
Time Out l’ha definito addirittura “il miglior libro scritto da una popstar”. Forse non arriverei a tanto, ma è senza dubbio uno dei più meritevoli di essere letto.
E se l’editore Carbonio volesse proseguire la benemerita opera di divulgazione letteraria della famiglia Watt, mi sentirei di consigliare con totale entusiasmo la traduzione anche della recente autobiografia della compagna di una vita di Ben, Tracey Thorn: “Bedsit disco queen” (più o meno “La regina della musica disco da cameretta”) è un piccolo gioiello, la storia di come una ragazzina timida che canta in casa di nascosto quando i genitori non ci sono perché si vergogna finisce per diventare quasi controvoglia una star del pop. E quando gli U2 offrono a lei e Watt di accompagnarli in una tourné mondiale, lei chiaramente rifiuta.
In sintesi, gli Everything but the girl sono una coppia felice da oltre trent’anni, sono entrambi musicisti di chiaro talento e grande successo, si sono pure rivelati scrittori notevoli. Forse dovremmo cominciare a odiarli.
Ben Watt
UN PAZIENTE
Storia vera di una malattia rara
(Traduzione di Nicola Manuppelli)
Carbonio editore
Carbonio editore
Pagg. 206, Euro 17,50