Ieri sera, per puro caso, mi sono ritrovato in un locale dove era in corso una festa dark. Come appena sbarcati da una capsula del tempo attorno a me decine di individui con chiome laccate, rossetti sbavati, orecchini sul labbro, croci argentate al collo, anfibi, pantaloni di pelle nera o minigonne su calze a rete traforate che ballavano Cure, Sisters of Mercy e “Siberia” dei Diaframma. L’impatto è stato talmente potente che mi ha riportato alla mente un’esperienza che avevo quasi del tutto cancellato dalla mia memoria: intorno ai 16, 17 anni, mentre ero studente in un liceo di Pavia, ero entrato in contatto con due ragazze dark di Genova, la cui amicizia avrebbe influenzato molto i miei mesi a venire. Nel Paleozoico dei contatti social nel quale vivevamo, il nostro incontro virtuale era avvenuto tramite un annuncio pubblicato su una rivista di musica. Non ho idea di quale fosse la rivista, né se fossi stato io a mettere l’annuncio o avessi risposto al loro, fatto sta che abbiamo cominciato a scriverci (lettere, avete presente? fogli di carta con parole vergate a mano, inseriti in buste e spedite fisicamente), finché loro due - che si chiamavano Carla e Silvia, anche se Carla si firmava Karla - mi hanno proposto di raggiungerle un mercoledì pomeriggio per incontrarci di persona. Così, fuori da scuola, ho preso un Intercity e sono sceso a Genova Brignole, dove ad attendermi c’erano loro due in piena divisa dark insieme ad altri due o tre amici, compagni di look. Io non ero esattamente dark quanto loro nell’aspetto, niente croci o creste fucsia in testa (il che mi sarebbe stato oltremodo facile, avendo una madre parrucchiera), mi limitavo a portare camicie o dolcevita neri e ad ascoltare un certo tipo di musica sul mio walkman. Quello che Karla e Silvia non mi avevano annunciato per lettera era che l’incontro non si sarebbe limitato a quattro chiacchiere e una birra in un bar del quartiere, ma prevedeva un pomeriggio da trascorrere in una discoteca. Io mi accodai dunque alle mie due nuove amiche e mi lasciai trasportare. Del locale ricordo pochissimo, però alcuni fatti basilari li ho conservati: intanto che per essere un mercoledì pomeriggio di gente ce ne fosse abbastanza, che quasi tutti sembravano usciti da un video girato a Londra più che provenire dall’entroterra ligure e soprattutto che per la prima volta in vita mia adoravo la musica che il dj stava suonando. Quelle due o tre orette assurde, in una discoteca votata a celebrare l’oscuro mentre fuori c’era un sole splendente, mi piacquero così tanto che divennero un appuntamento fisso. Continuai ad andare a Genova, non proprio tutte le settimane, ma almeno una volta al mese, coltivando il rapporto con le mie cotonatissime amiche e i loro compagni d’avventura. Se non sbaglio loro due erano più grandi, già diciottenni, e in fatto di cultura musicale erano molto più aggiornate di me. Spesso mi passavano cassette con brani che io non mi limitavo ad ascoltare, ma studiavo proprio, come frammenti di un linguaggio che ancora non padroneggiavo completamente e che volevo assorbire il più in fretta possibile. Furono loro due che mi fecero scoprire canzoni mai sentite prima, come “Tanz Mussolini” dei DAF, “Bela Lugosi’s dead” dei Bauhaus o “Like an animal” dei Glove, il progetto parallelo di Robert Smith dei Cure. Quando mi davano i nastri li accompagnavano da brevi indicazioni a voce perché potessi capire cosa aspettarmi dall’ascolto. Ricordo che Karla una volta mi aveva consegnato una cassetta che comprendeva alcuni brani dei NewOrder e che Silvia si era dissociata dalla scelta. Quando le avevo chiesto perché li detestasse tanto lei mi diede una risposta così sprezzante che non l’ho mai dimenticata: “Perché Ian Curtis è morto e loro ci ballano sopra”.
Col tempo ho smesso di andare a Genova e ho perso di vista le mie amiche dark. Non c’è stata alcuna rottura fra noi, semplicemente crescendo i contatti si sono affievoliti fino a spegnersi del tutto. Mi chiedo ora dove siano, che vita facciano, come ricordano quel periodo laccato.
Ieri sera, ripensando al me stesso adolescente che da solo andava a Genova pur di trovarsi con altra gente coi suoi stessi gusti musicali, ho provato una sensazione mista di patetismo e tenerezza. Mi ha fatto comunque riflettere sul fatto che per la musica mi sono sempre sbattuto molto: ho preso treni, fatto viaggi, visto concerti, fondato fanzine, comprato tonnellate di dischi, avuto illuminazioni e delusioni, incontri e scontri. Mi ha ricordato che la musica è parte di quello che sono perché l’ho sempre cercata, mai subita passivamente da una radio o una classifica di successi e che poche cose mi fanno imbestialire come quelli che dicono “A me la musica piace tutta”, senza rendersi conto che stanno denunciando la propria completa assenza di personalità.
Quindi, grazie amici dark che dal passato più remoto ieri sera vi siete vestiti, agghindati, truccati e colorati i capelli: mi avete riconciliato con il ragazzino un po’ sperduto ma ansioso di conoscenza che sono stato.