Da quando faccio lo scrittore la domanda che mi viene posta più spesso è “Per cosa sta la B. di Matteo B. Bianchi?”. A questa ho già dato risposta decine di volte (- E’ inventata, l’ho inserita fra nome e cognome per evitare casi di omonimia. Gli artisti spesso hanno un nome d’arte, io ho una sola lettera d’arte -). Ma nell’ipotetica classifica delle domande più frequenti, al secondo posto probabilmente si classificherebbe quest’altra: “Ma tu sei (ti consideri) uno scrittore gay?”.
Non ho mai saputo dare una risposta decente e significativa a questa questione, perché non credo ci sia. Cosa dovrei dire? Sono uno scrittore e sono gay. Le due cose sono separate? Sono separabili? Ho scritto libri nei quali l’omosessualità aveva un ruolo centrale, altri in cui era quasi assente. Questo mi rende alternativamente scrittore gay e scrittore non sessualmente classificato? E soprattutto, è utile saperlo?
Una volta ho provato a fare un esperimento: ho risposto un sì convinto nel corso di un incontro e un no altrettanto convinto nel successivo. Le reazioni sono state le stesse (speculari e opposte): c’è chi mi ha contestato di lasciarmi condizionare dalla mia sessualità e chi mi ha contestato di rinnegarla. E comunque tutti hanno messo in discussione la mia risposta, nessuno la legittimità della domanda.
Il caso ovviamente non riguarda solo me ma centinaia di autori. Se ne parlo è perché l’altro giorno ho letto sull’Huffington Post un interessante articolo nel quale lo scrittore americano (a me sconosciuto) Ryan Quinn pone interessanti spunti di riflessione. Vi invito a ritrovarlo qui.
Riassumendo, Quinn ha da poco pubblicato il suo primo romanzo, "The fall", che ha per protagonisti due atleti, un ragazzo (gay) e una ragazza (etero). Il libro, a sorpresa, si è classificato al primo posto della classifica di Amazon “Best-selling gay & lesbian fiction”. Superata la soddisfazione di essersi ritrovato da esordiente in testa a una classifica, l’autore (non senza una certa ironia) ha cominciato a farsi delle domande: perché il mio libro viene classificato come gay? Il romanzo segue le vicende sportive e private di entrambi: perché la parte riguardante il ragazzo risulta più significativa dell’altra?
Il libro si è classificato secondo anche nella lista della “Best-selling sport fiction”, dopo John Grisham. Quinn si chiede: se Grisham oggi scrivesse un libro con un protagonista gay finirebbe nella classifica della gay & lesbian fiction? No perché l’autore non è gay? No perché finora non ne ha mai scritto?
Ryan Quinn, che ha un passato da sportivo, aggiunge anche di aver accettato per anni l’etichetta di “atleta gay”, in quanto gli sembrava significativo in ambito sportivo non nascondersi dietro false facciate e lo rendeva speciale. Allo stesso tempo, quando gli capitava di sentirsi dire dai compagni: - Tu non sembri affatto gay -, non sapeva come reagire all’osservazione (era un complimento? doveva ringraziare? doveva infastidirsi?).
Gestire le etichette non è mai facile. A volte, essere identificato in un genere, in una specifica corrente, ha i suoi vantaggi. Sarei un idiota se non riconoscessi come, al mio esordio, poter contare su una rete di associazioni, manifestazioni, librerie, rassegne legate alla comunità omosessuale mi abbia fornito un notevole sostegno e un veicolo importante per farmi conoscere dal pubblico. Altre volte la stessa etichetta però si è rivelata una pesante zavorra: ogni volta che vengo invitato da una trasmissione radio o da un festival letterario a commentare tematiche legate al mondo gay mi verrebbe da sottolineare che sono e resto comunque uno scrittore italiano, in grado di esprimere giudizi anche su altri temi e partecipare anche alle altre tavole rotonde a cui sono invitati gli scrittori presenti. Non è che io mi esaurisca nell’essere gay.
Anni fa ho letto un bellissimo racconto di Elena Stancanelli nell’antologia “Bloody Europe” (Playground) in cui raccontava della sua partecipazione a un festival londinese nel quale tutti, ossessivamente, prima o poi le rivolgevano la domanda Sei lesbica?, come se questo avesse una rilevanza nel giudicare il film che era andata a presentare.
Ma il punto di vista di Ryan Quinn sposta ancora più in là il discorso: nel suo caso, un romanzo di ambientazione universitaria e sportiva catalogato come “gay fiction” sembra promettere contenuti che non sono presenti (come l’omoerotismo negli spogliatoi, per dire). Allora, conclude l’autore, se l’etichetta è inevitabile, forse è il caso di cominciare a capire che la “letteratura gay” non è tutta omogenea, che esistono differenze al suo interno, a volte anche molto profonde.
Mi sembra una posizione interessante sulla quale ragionare.