Sarà che da sempre ho una passione per le cover, e più strane sono meglio è. Paul Weller in versione rap giapponese? Ce l’ho. Carla Bruni che interpreta David Bowie acustico? Ce l’ho. I Kraftwerk in versione salsa? Ce l’ho. Cover heavy metal degli Abba? Pure. Insomma, una vasta collezione, sia fisica che digitale, in continua espansione. (Un giorno condividerò delle chicche, appena scopro il modo migliore per farlo).
Sarà per questo, dicevo, che proprio non capisco il clamore (relativo) che ha scatenato su blog e siti musicali la pubblicazione di “Con due deca”, la compilation di cover degli 883 da parte di diverse band del panorama indie italiano, prodotta e distribuita gratuitamente questa settimana da rock.it.
Si sono levati gli scudi: fan indignati all’idea che i loro beniamini si prestassero a rifare le canzoni di Max Pezzali, scrittori preoccupati di rivalutazioni storiche e culturali, puristi dell’indie disgustati dall’accostamento tra pop di massa e musica d’elité, commenti sprezzanti sullo stesso sito che ha lanciato l’operazione... In pratica, tutti scontenti.
Io proprio non capisco. Da cultore delle cover, so bene che il senso dell’operazione sta tutto nel lavoro di chi rifà il pezzo. Inventare un nuovo arrangiamento, dare una veste inedita, modificare ritmi e melodie, aggiungere o variare il testo: ogni brano diventa un banco di prova per la creatività dell’artista. Il valore culturale o musicale dall’originale di partenza è del tutto ininfluente.
Personalmente accoglierei con entusiasmo un cover project dedicato ai Nirvana quanto uno dedicato a Ivana Spagna. Certo, il tributo a Cobain sarebbe assai più scontato di quello alla tremenda Spagna, ma fremerei di curiosità per entrambi.
Non sono mai stato un fan degli 883, direi piuttosto che mi hanno sempre lasciato indifferente. Tuttavia non riesco a vedere in questo album di riletture alcun pericolo di revisionismo culturale. Il pubblico è meno cretino di quanto lo si dipinge. Non sarà un tributo a rendere Max Pezzali improvvisamente un maitre à penser. Gli 883 sono e resteranno un gruppo adolescenziale da radio in spiaggia, con buona pace di tutti. Invece trasformare “Hanno ucciso l’uomo ragno” in una ballata country (Numero 6), “Una canzone d’amore” in un pop-song vintage alla francese (Casa del mirto), “La regina del Celebrità” in versione electropop con testo gay al maschile (Egokid), “La regola dell’amico” in un rap interamente modificato (“La regola di D’Amico” di Dargen D’Amico) o “Nessun rimpianto” in un elegiaco canto gregoriano (Dimartino), sono operazioni quantomeno divertenti da scoprire.